I- Le contese tra gli Autori antichi, in campo poetico o generalmente “artistico”, non vanno giudicate col metro dei libreschi “Premi” moderni: non erano minuetti gestiti da stampa e editori, erano realmente pericolosi e qualche volta fatali.
Quando i letterati si iscrivevano a Lione ai concorsi d’eloquenza, ai tempi di Caligola, sapevano bene cosa rischiavano, in caso di sconfitta: l’umiliazione, le percosse, l’annegamento.
L’Imperatore stesso organizzava e sorvegliava la contesa. Riferisce Svetonio: “i premi ai vincitori” vennero “consegnati dai vinti che inoltre furono costretti a comporre per loro un panegirico. Quanto ai concorrenti che avevano particolarmente deluso, pare che siano stati obbligati a cancellare i loro scritti con una spugna e con la lingua, a meno che non avessero preferito essere battuti con bastoni e gettati nel fiume vicino”. Alberto Savinio, nella sua encomiabile Nuova Enciclopedia, precisa che il fiume in questione era il vorticoso Rodano.
II- Oggi sono invece i Critici che decretano vita o morte dei testi letterari: il che è un po’ come trascinare i loro autori in un’arena virtuale, per farli uccidere o graziarli. Opinava Lichtenberg a proposito della fortuna di certe opere a stampa: “Considero le recensioni come una specie di malattia dell’infanzia che prende più o meno tutti i libri appena nati. Vi sono casi in cui i libri più sani muoiono e i deboli sopravvivono”. È capitato, continua a capitare. Se non ho letto male, il romanzo che apre La Ricerca del tempo perduto di Proust oppure, per fare solo un altro esempio, Il Gattopardo di Tomasi da Lampedusa, furono rifiutati dagli Editori a causa di una cattiva presentazione e, quando furono respinti, erano già in ottima compagnia.
Ma le opere bocciate rimangono comunque a disposizione di eventuali e futuri lettori, mentre il loro Autore più spesso che non si creda finisce all’altro mondo proprio a causa dei giudizi altrui. E può essere per lui fatale tanto la stroncatura quanto l’encomio d’un critico, o d’un manipolo di giurati entusiasti.
Un Fato tanto imperscrutabile quanto ottuso si accanì sui più grandi poeti tragici della Grecia. Eschilo (ne parlo a lungo nella Fantaenciclopedia) fu ucciso da una tartaruga, Euripide fu sbranato dai cani, e si racconta che Sofocle – ma non è sicuro – sia morto di gioia, il giorno in cui vinse un premio come miglior trageda. Ed era per lui non la prima, ma la diciottesima volta. Spesso il letterato soggiace a forme di vanità che lo conducono alla tomba.
Walter Benjamin riteneva che i recensori professionisti costituissero una gilda legalizzata di macrò: quel tipo d’uomini che vivono alle spalle dei libri, li sfruttano e li maltrattano – esattamente come se fossero sgualdrine. Benjamin stesso si guadagnava da vivere scrivendo critiche di Libri.
A parziale difesa dell’intera categoria, ricordo che l’esercizio della critica letteraria è stato, soprattutto nei tempi antichi – ma non solo – anche un mestiere nocivo per chi lo praticava. In specie quando imperava il dispotismo. L’intellettuale che difendeva i propri rigorosi e raffinati gusti rischiava la galera, se non il rogo.
Stobeo racconta che il poeta «Filosseno venne condannato da Dionisio ai lavori forzati nelle Latomie perché aveva criticato le poesie del tiranno. Richiamato un giorno da Dionisio per ascoltare di nuovo la recita di qualche componimento, rimase seduto per un certo tempo, ma poi si alzò e, quando Dionisio gli domandò: “Dove vai?”, egli rispose: “Torno alle cave”».