I- Superfici
Cito da Borges: “È davvero terribile che vi siano specchi: sempre ho avuto il terrore degli specchi. Credo che anche Poe lo provasse. C’è un suo lavoro, uno dei meno noti, sulla decorazione delle abitazioni. Una delle condizioni che pone è che gli specchi siano situati in modo che una persona seduta non sia riflessa”.
Lo specchio, insomma, non deve importunarci. Si va, verso lo specchio, con un atto di volontà e di forza d’animo, e solo se si è pronti a sostenerne la visione: atto in cui l’autosuggestione non è assente. Malanno e depressione invece colgono – ha ragione Poe – chi è costretto a soggiornarvi davanti. Le reazioni possono essere le più scomposte, a cominciare proprio da quelle dei Narcisi. Noi non desideriamo la vicinanza di qualcuno (o di qualcosa) che ci ricordi di continuo che “esistiamo”. È come se ci rinfacciasse una sorta di Responsabilità.
Guai, poi, ad imbattersi per caso in uno specchio: siamo come spettri, là dentro.
Sostiene ancora Borges: “bastano due specchi contrapposti per ottenere un labirinto”.
A volte ne basta uno solo, se dentro ci sono io.
II- Galateo
C’è una specie di “Galateo” o “Etichetta” dello Specchio. Che ha motivazioni profonde. Fissare uno specchio senza sapere perché, non si fa mai.
Riferisce Bioy Casares che il celebre generale Gordon, eroe di Khartoum, dava un dollaro a tutti i disertori che gli si presentavano, durante l’assedio della città, e faceva in modo che mostrassero i loro volti in uno specchio. Quindi chiedeva loro se approvavano il loro aspetto. “È evidente” scrive nel suo diario il generale, “che nei paesi nei quali non ci sono specchi, un uomo deve essere un completo estraneo per se stesso, e prima di morire è giusto che venga presentato a se medesimo”.
III- “Faithful for Ever”
Come il cane che fa da guardia, anche lo specchio deve sempre essere “fedele”.
Lo specchio migliore – dice Stendhal – è quello che non deve esistere, che scompare, come oggetto, durante l’uso: “Uno specchio non deve mettere in rilievo il proprio particolare colore, ma riflettere fedelmente l’immagine che riproduce”. Questo specchio che sembra sparire mentre s’usa, per trasformarsi in puro scambio (di sguardi) sarebbe piaciuto a Marx, se il filosofo avesse cercato tra i letterati le prove “metafisiche” delle sue scoperte sul Capitale.
La verità è che: noi non guardiamo mai lo Specchio. Sempre: quello che c’ è dentro – per esempio, il mio Volto – che non è mai lo Specchio.
Altrettanto fa lo specchio con ciò che normalmente non si può vedere: il mio volto, per Me. È nel gioco di questi due Invisibili (lo specchio, il Volto), che si sfiora e si intuisce pienamente la Metafisica degli specchi.
IV- Gli Specchi Assassini
“A Conza, un uomo fu arso vivo da un lampo scaturito da uno specchio”, narra Giulio Ossequente nei Prodigi. Il fatto avvenne nel 165 a.C., consoli Tiberio Gracco e Manio Giovenzio. La fonte d’Ossequente è ignota, e lo specchio omicida non è citato da nessuno dei suoi scrittori preferiti (Livio, Plinio, o Seneca). Probabilmente, lo storico latino allude a un’applicazione delittuosa dei famigerati Specchi Ustori di Archimede: la prima “Arma Totale” messa a disposizione dell’Antichità.
È pure vero, e lo ricordo, che per secoli si è dibattuto se quest’invenzione bellica di Archimede non fosse altro che una leggenda. Descartes, per esempio, nella Dioptrique, volle dimostrare che gli Specchi Ustori non scaldavano più che l’esposizione diretta ai raggi del sole. Kircher e Buffon lo contraddissero, attraverso esperimenti. Un convinto archimediano, l’ottico di Lione Villete, nel Seicento convogliò i raggi solari in specchi parabolici di ferro per fondere il ferro .
Ci si imbatte per la prima volta, credo, in uno Specchio che “uccide” vigliaccamente, leggendo i Discorsi a Tavola di Lutero. «Il dottor Basilio [Monner] ambasciatore in Francia, diceva che era straordinaria la malizia degli Italiani i quali testé avevano avvelenato uno, dopo che aveva guardato in uno specchio. “Sono degli omicidi sottili gli Italiani: possono uccidere tutti i sensi”», commentò l’ambasciatore.
Il grande studioso del Malocchio Nicola Valletta riporta: “è registrato negli Atti dell’ Accademia di Parigi del 1739 che, avvicinatasi una vecchiaccia ad un tersissimo specchio, ed innanzi a quello per qualche tempo trattenutasi, lo specchio assorbì tal grassume, che raccolto insieme si sperimentò essere un potentissimo veleno”.
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