In copertina: il “bacio” tra Brezhnev e Honecker (due leader del “Socialismo Reale” del XX secolo) fotografato da Régis Bossu in occasione del trentennale della DDR il 5 ottobre 1979. Una delle immagini più note del Novecento. Lo scatto è diventato anche un murales, realizzato dall’artista russo Dimitri Vrubel sulla East Side Gallery, la più lunga porzione del Muro di Berlino ancora in piedi, oggi trasformata in una galleria a cielo aperto.
I- Un’espressione corrente tra gli innamorati, che poi fingono innocenza, è: “Vorrei mangiarti”. “Voglio mangiarti” scrisse in una lettera il grande letterato giapponese Edogawa Ranpo al suo amante, un ragazzo molto giovane. Salvo poi correggere, in una conversazione successiva: “ma è un desiderio solo platonico”. I Poeti – anche i più grandi – hanno espresso sovente questa opinione: e cioè che l’Amore stesso sia, in genere, un atto di Cannibalismo. Non consumato; almeno non del tutto. Il più delle volte – se proprio si vuole usare questa orribile parola, che era meglio lasciare al farmacista – cannibalismo “sublimato”, ma sempre cannibalismo. Per Novalis, “la donna è il più alto alimento visibile, il passaggio del corpo all’anima”; e l’appetito sessuale è dunque , probabilmente, anch’esso desiderio di mangiare: è un residuo d’antropofagia. L’amante è un cannibale. Dice un frammento del suo lascito: “La concupiscenza della nudità dei corpi umani. Potrebbe essere un segreto appetito di carne umana?”. E così il letterato-filosofo descrive l’atto amoroso: «Anima e corpo si toccano nell’atto: chimicamente o galvanicamente, o elettricamente, o focosamente. L’anima mangia il corpo (e lo digerisce) istantaneamente; il corpo concepisce l’anima (e la partorisce) istantaneamente».
Se davvero, durante l’atto d’amore, si consuma un rito cannibalico (come Novalis ritiene), il “Bacio” preliminare allora ne è solo l’assaggio. Col quale l’amante si offre liberamente “in pasto” a chi è amato. Nei baci più passionali, che, tra due amanti, sono quelli più “liquidi”, la deglutizione sostituisce la masticazione, la pregusta. Spesso, nell’attesa – sempre rimandata –, di ingerirla, l’innamorato si “abbevera” dell’amata, o viceversa.
Che l’anima, durante un bacio infocato, salga all’altezza del cavo orale per esser meglio tratta all’amo dalla lingua altrui e quindi “trangugiata”, é opinione che Platone espresse in un distico licenzioso, dedicato al suo amato Agatone:
“L’anima sulle labbra avevo quando Agatone baciai:
venuta ell’era, tutta turbata, come per fuggire”.
Un poeta adolescente, giovane amico di Aulo Gellio (che lo cita senza farne il nome), si augurava in una sua poesia – ispirata, appunto, da Platone –, di morire mentre baciava ardentemente il suo amato, poco più che un pargolo. E ciò perché la sua anima, affiorata alle labbra per la passione, “spinta dall’amoroso fuoco”, andasse oltre i limiti del corpo, e, lasciandolo morto, vivesse per sempre dentro quel fanciullo.
Spirare in un bacio cannibalico: è infine questa l’aspirazione trionfale dell’Amor Post-socratico.
II- “Novecentotre specie di morte sono state create nel mondo”, sentenzia il Talmud. La Sapienza ebraica deduceva il numero di cause di decesso per “gematrià” , interpretando il Salmo 68, 21: “Per la morte vi sono uscite”. Il valore numerico delle consonanti di “uscite” è, per l’appunto, 903.
Tra le specie prese in considerazione dai Rabbini, “la più grave di tutte è il soffocamento, e la più dolce è il bacio della morte […]. Il bacio della morte è come togliere dal latte un capello”.
Il “Bacio della Morte” è, in realtà, il “Bacio di Dio”.
Questo spirare, dolcemente, come aspirati da un tocco di labbra ultraterrene, è descritto nella Bibbia: Mosè, per esempio, lasciò il mondo così. Il Profeta, vecchio, stanco di infinite peregrinazioni, angustiato e deluso dalla sua gente –, lui, che già “bocca a bocca” s’intratteneva e parlava normalmente col Signore –, fu “baciato” da Dio, che “gli raccolse l’anima in un bacio”. Ebbe, come estremo dono, una fine da mistico, non da condottiero di popoli.
Talvolta, però, anche agli uomini e alle donne comuni – alieni a ogni ardore estatico, e a ogni contatto sentimentale col Divino –, è sufficiente un solo bacio, per morire.
“Ho conosciuto”, racconta a questo proposito il vescovo Simone Maiolo nei suoi Colloqui (1607) , “una adolescente, promessa sposa, ma ingenua, alla quale un bacio, rapitole senza il suo consenso, benché da un giovane che le era fidanzato e gradito ai genitori, costò addirittura la Vita. Da quel bacio ella si immaginò disonorata, e questa impressione, presso di lei, fu così viva, che, nonostante godesse allora di perfetta salute, morì nel breve intervallo d’un’ora”.
Il baciatore assassino non fu solo perdonato, ma premiato. “I genitori di questa sventurata vittima della pudicizia […] diedero la loro figlia cadetta di poco più giovane in moglie al medesimo giovanotto, inconsolabile per la perdita della sua innamorata” .
L’aneddoto riferito, benché vero, potrebbe anche apparire ai lettori una datata e simpatica boutade. Ma non c’è nulla da sorridere se si pensa che la concezione del Bacio come “peccato mortale” (fatale per l’Anima, lesivo per la Salute) ha serpeggiato nello spirito cristiano fino alla fine del secolo XX (e anche oltre, a giudicare da certi siti odierni).
Il presbitero domenicano Antonio Royo Marin (1913-2005) nella sua Teologia della perfezione cristiana, testo pubblicato a metà del Novecento e ancora seguitissimo, ha stabilito definitivamente (§ 602, 2) che per il cattolico o la cattolica, Baci e Abbracci:
“a) Costituiscono peccato mortale quando con essi si vuole eccitare direttamente al piacere venereo, anche se si tratta di parenti e familiari (e a maggior ragione tra questi, per l’aspetto incestuoso degli atti).” E che:
“b) Possono essere molto facilmente mortali i baci passionali tra fidanzati (anche se non si tenta il piacere disonesto), soprattutto se sono sulla bocca e si prolungano per qualche tempo, perché è quasi impossibile che non rappresentino un pericolo prossimo e movimenti carnali in sé o nell’altra persona. Nella migliore delle ipotesi costituiscono una grandissima mancanza di carità nei confronti della persona amata, per il grande pericolo di peccare a cui la si espone. È incredibile che queste cose vengano fatte in nome dell’amore (!)”.
Il punto esclamativo non è una mia aggiunta irriverente: compare nel testo originale di Royo Marin.
Date queste premesse, c’è da dubitare sull’onestà, e sugli effetti collaterali. del Bacio dato dal Principe Azzurro a Biancaneve. Perché se da una parte quel tocco umido di labbra meritoriamente richiamava in vita l’innocente fanciulla avvelenata dalla strega, dall’altra, causa gli indiscutibili “movimenti carnali” che procurava (addirittura rianimando un corpo già defunto), secondo Royo Marin sicuramente avrebbe precipitato entrambi nell’Inferno. Danno ancora più grave se si considera che Biancaneve, fino a un momento prima, era in Paradiso.