I- Nelle epoche arcaiche, prive di quel che nel XX secolo si chiamò “Cinema” o “Televisione”, si salvava ugualmente la memoria del Defunto, facendolo interpretare, durante le sue pubbliche esequie, da un “Mimo” mascherato.
Fu, a questo proposito, degno di fama il funerale dell’Imperatore Vespasiano. Non perché fosse particolarmente sontuoso, ma per le battute di spirito che lo accompagnarono.
Vespasiano infatti era molto amato dal popolo romano per il suo senso di giustizia e le sue vittorie militari, ma si era pure guadagnato la nomea di avido e di tirchio, meritata soprattutto per quanto aveva fatto prima di giungere al potere. Ad Alessandria lo si chiamava il “Salumaio”, appellativo che prima di lui aveva designato un re “sordidamente avaro”. Così, riferisce Svetonio, «persino durante il suo funerale l’archimimo Favore, che, portando la sua maschera imitava, secondo l’usanza, i suoi detti, i suoi gesti, avendo chiesto ad alta voce ai tesorieri, quanto era venuta a costare la cerimonia e il corteo, quando quelli gli risposero: “Dieci milioni di sesterzi”, esclamò: “datemene centomila a me, e buttatemi nel Tevere!”».
Più inquietante fu invece l’Onoranza che venne tributata a Pertinace.
Non appena gli succedette, Settimio Severo omaggiò questo Imperatore con un “Funerale Immaginario” (funus imaginarium – lo chiama, appunto, la Historia Augusta). In mancanza del corpo (smembrato e perduto durante il colpo di stato precedente), il maestoso corteo funebre accompagnò solo un simulacro del sovrano detronizzato. Il protocollo, in questi casi, prevedeva che un pupazzo, un manichino in tutto simile al defunto assente, fosse adagiato su un letto d’avorio e ricoperto di stoffe d’oro. “Questa figura, pallida come un malato agonizzante, riceveva la visita di un medico, dopo di ché il principe veniva dichiarato ufficialmente morto”.
Traiano morí a Selinunte, e lì fu cremato. Non fu presente, quindi, ai suoi funerali a Roma. Si dovevano ugualmente cerebrare nella capitale le esequie dell’Imperatore, che oltretutto coincidevano col suo Trionfo: aveva infatti stravinto nell’ultima campagna di guerra. Italo Calvino racconta che Traiano alla cerimonia fu sostituito “da un manichino di cera, che fu poi bruciato con gli onori dovuti a un imperatore destinato a ascendere al cielo”.
II- Ricorda Feuillet de Conches, che ancora fin verso il XIV secolo, in Francia, si usava sostituire il morto con un “mimo”, non importa neppure fosse somigliante al trapassato, in modo che tutte le onoranze, i lamenti, i piagnistei venissero indirizzati a quell’imitatore. Il mimo, disteso sul catafalco, aveva la faccia spalmata di biacca, per simulare l’esanguità della morte, e rimaneva inerte e rigido per tutto il tempo del funerale.
Secondo lo studioso, il ricorso a degli attori professionisti era necessario, se si volevano contenere le spese: perché con questa messinscena si sostituiva il dispendioso costume di far realizzare a degli artisti una maschera mortuaria del defunto, obbligatoria nel caso il morto fosse un principe, o persona di rango. Il benedettino don Vaissette “fa menzione, nell’annale 1300, di un tal Biagio, che aveva ricevuto una somma di cinque soldi per aver fatto il morto al funerale d’un certo Jean de Polignac”.
Per gli stessi motivi economici, nei secoli successivi si abbandonò del tutto il ricorso alle controfigure: le esigenze dello “Spettacolo” furono ignorate e i morti tornarono a interpretare i morti, cioè se stessi, nel proprio funerale. Ma il contraccolpo sul mercato del lavoro dei Mimi deve essere stato tremendo.