Non sarebbe un errore storico affermare che, tra i grandi Decapitati del regime di Terrore che seguì la Rivoluzione francese, ci fu persino il cardinale Richelieu. Anche se risultava morto giusto 151 anni prima di perdere la testa.
Il suo capo reciso – non il suo cranio scheletrito, ma proprio la testa della sua mummia ancora in carne, spiccata dalle lame feroci dei rivoluzionari –, ebbe poi una storia travagliata, che possiede qualche motivo di interesse.
Nel 1793 un manipolo di repubblicani si impossessò del cadavere del primo ministro di Luigi XIII, che riposava nella chiesa della Sorbona, e lo fece a pezzi.
Il Simbolo della Monarchia, fu ghigliottinato seduta stante con mezzi rudimentali, artigianali.
I sicari scatenati dal Terrore volevano anche distruggere il bel sepolcro che ne custodiva le spoglie; l’archeologo Alexandre Lenoir, che assisteva a quei vandalismi, con coraggio si oppose, proteggendo i marmi col proprio corpo. Fu subito ferito da un colpo di baionetta, ma la scultura di François Girardon che sormonta il monumento, si salvò.
Diversa fu la sorte del cadavere: “il cardinale, che ho personalmente visto ritirare dal suo feretro” – così racconta Lenoir –, “s’offriva allo sguardo con l’aspetto di una mummia rinsecchita ma ben conservata. La dissoluzione non aveva per nulla alterato i suoi tratti. Un colore livido era diffuso sulla sua pelle. Aveva gli zigomi sporgenti, le labbra sottili, il pelo rosso (le poil roux), anche se i capelli apparivano incanutiti dall’età. Uno degli scherani del governo del 1793, credendo di vendicare, nel suo furore, le vittime di questo crudele ministro, tagliò la testa di Richelieu, e la esibì agli spettatori, che si trovavano in quel momento nella chiesa”.
Del capo reciso si impadronì presto uno speziale di rue de la Harpe, che la custodì per molto tempo in un armadio. Ma quando si sposò, la moglie ebbe paura e disgusto di quella macabra reliquia, e gli impose di disfarsene. L’ambito trofeo fu venduto a un deputato, M. Armez. Si disse che costui fece un tentativo, in tempi meno inquieti, per renderlo ai parenti di Richelieu. E che non ricevendo alcun segno di interesse o di risposta, lo conservò tra le mura di casa. Studi successivi hanno dimostrato invece che Armez riteneva che quel cranio gli appartenesse di diritto, e s’era fatto un punto d’onore di trattenerlo tra le cose sue. Neppure dopo la sua morte la famiglia del deputato consentì che la testa recisa venisse restituita ai cattedratici della Sorbona, che ne avevano fatto richiesta.
A metà dell’Ottocento, scrive dunque Feuillet de Conches: “questa testa terribile, personificazione della monarchia assoluta che era riuscita a sopprimere la monarchia aristocratica, erra ancora sulla terra, come uno spettro sperdutosi dal mondo dei morti (comme un spectre égaré du mond des morts)”.
Nel 1866, subendo le pressioni dell’imperatore Napoleone il Piccolo, gli Armez finalmente permisero che il capo mozzato “si riunisse” nel sepolcro alle altre spoglie del cardinale, almeno a quel che ne era rimasto. Le dita, per esempio, erano già diventate pregiati “souvenir”.
Per l’occasione, il 15 dicembre fu celebrata una messa assai modesta, di cui la stampa quasi non parlò. Si intonarono canti funebri, e l’abate Perraud, teologo della Sorbona, prese la parola rimproverando severamente Richelieu per la sua pericolosa propensione a allearsi con i protestanti.
Una successiva riesumazione delle spoglie, accertò tramite autopsia che il cervello del cardinale era praticamente “doppio”: “Quest’organo”, secondo la cronaca riferita dal Journal de Medecine de Paris, “contrariamente al solito, ha un odore delizioso, una reale fragranza… Ma il fatto ancor più sorprendente è che in questo cervello il numero degli abituali ventricoli è raddoppiato: ognuno di essi ne custodisce uno più piccolo al proprio interno”.
In verità, dell’anatomia del cardinale, sappiamo davvero tutto.
Châteauneuf, scrivendo alla Duchessa di Chevreuse, chiamò Richelieu “Cul pourri“, alludendo alle sue celebri emorroidi. Le lettere ovviamente caddero nelle mani del potentissimo cardinale, il cui rancore non conobbe ostacoli. La facezia aprì a Châteauneuf le porte di una dura prigionia.
Armand-Jean du Plessis de Richelieu, commendatore dell’Ordine dello Spirito Santo, primo ministro di Luigi XIII, vissuto tra il 1585 e il 1642, era veramente un uomo crudele, e non fu mai molto amato dai Francesi. Nei Tre Moschettieri di Alexandre Dumas (1844) ha il ruolo del vilain, ispiratore di tutte le perfidie di “Milady”.
Cesare Lombroso, a sua volta gran collezionista di teste mozze, si occupò del cardinale e ne mise in luce il carattere, considerandolo un “epilettico” (fondamentalmente, tali erano per lui anche l’Uomo e la Donna Delinquenti).
Esiste una “Maledizione di Richelieu”, che pareggi quella (probabilmente fittizia) del faraone Tutankhamon?. Forse. I rivoluzionari che, ai tempi del Terrore, profanarono le tombe di Saint-Denis pagarono duramente il loro sacrilegio: molti di loro, come racconta Georges Duval, morirono pochi giorni dopo, per le pestilenze contratte svuotando i feretri.
[in copertina: Il cardinale Richelieu nel suo letto di morte, di Philippe de Champaigne]