I- Francesco d’Assisi, quando si denudò, e il vescovo gli gettò per coprirlo il proprio mantello, fuggì verso la campagna cantando a piena voce languide rime d’amor cortese, venute dalla Francia. Dicono che fin da adolescente il Santo ammirasse entusiasticamente i poeti di quelle contrade e le leggende che essi raccontavano. Conosceva bene il ciclo di romanzi arturiani e a loro in parte si ispirava: offrì i suoi servigi alla Povertà e combatté in suo nome una dura battaglia contro le regole del clero; e chiamò pure uno dei suoi discepoli prediletti il proprio “cavaliere della tavola rotonda”. Questi, uno dei tre confratelli che lo seguirono da subito, era Egidio, e spinto da Francesco girò il mondo, dimostrando d’essere, più che missionario, un autentico “cavaliere errante”. In territori musulmani, sfidava apertamente e disarmato i saraceni, pur di convertire al cristianesimo un mucchietto d’anime deviate.
I suoi Detti appartengono alla più pura tradizione religiosa e spirituale del medioevo. Ma è ciò che di lui, come mistico, dissero i contemporanei, che lo rende un personaggio difficilmente ripetibile.
Egidio proclamò un giorno agli altri frati di Assisi d’essere nato quattro volte «“La prima volta,” disse “sono nato dalla mia madre carnale; la seconda volta, nel sacramento del Battesimo; la terza volta, quando entrai in questo santo Ordine; la quarta volta, quando Dio mi fece la grazia della sua Apparizione”».
Era così, non mentiva. Frate Egidio era apparso a Dio, l’aveva davvero visto, “faccia a faccia”.
Si narra:
“Nell’anno sesto dopo la sua conversione, quando dimorava nel monastero di Fabriano, una notte giunse su di lui la mano del Signore. Mentre pregava con ardore, fu colmo d’una consolazione divina così grande che gli sembrò che Dio volesse trarre la sua anima fuori del corpo perché egli potesse contemplare in chiarità i suoi segreti. Ed egli cominciò a sentire come il suo corpo si spegneva, prima nei piedi e poi più su, finché l’anima uscì fuori.
E stando fuori del corpo, così gli pareva, secondo la volontà di Colui che al corpo l’aveva legata, l’anima sua si dilettò di contemplare se stessa per la straordinaria bellezza di cui lo spirito santo l’aveva adornata. Poiché essa era dolce e luminosa oltre ogni misura, come lui stesso narrò prima di morire”.
Superata la fase dello “Specchio”, “quest’anima santissima fu portata via a contemplare i segreti celesti che egli non volle mai rivelare”. Tra essi, certamente ci fu la Visione diretta del Signore.
Quando Gesù gli apparve visibilmente, si racconta pure che il beato Egidio, «durante la mirabile visione, per l’ineffabile odore mandava alte grida e credeva di morire, perché non poteva sostenere tale contemplazione. I frati del luogo erano spaventati da quelle grida. Egli, in un momento, sentì tale ineffabile odore e così smisurata dolcezza spirituale, che pareva ridotto all’ultimo punto della vita. E un frate, sentendo ciò, cominciò a impaurirsi grandemente, e, andato dal compagno di frate Egidio, gli disse: “Vieni da frate Egidio, che muore”».
Fu poi felice, Egidio, che il Signore gli si fosse mostrato non “da tergo”, come a Mosè, ma frontalmente?
No, non lo fu mai, tutt’altro.
La sua avventura di oculare Testimone ebbe l’epilogo più triste e inaspettato. Che ci fa riflettere, ma che, a ben pensare, è il più ovvio.
Chi vede Iddio, infatti, perde la Fede.
La smarrisce per sempre. Non può più “credere”, dal momento che sa. Questa è la prima conseguenza, per l’Uomo, se Dio cessa d’essere “nascosto”.
Una volta, come soprapensiero, quasi fosse in intimo dialogo con Paolo (2 Corinzi, 12, 2-4), il Frate francescano disse – o rispose –: “Conosco un uomo che ha visto Dio così chiaramente da perdere ogni fede”. Era lui, Egidio.
Frate Andrea rifletté a lungo su quanto era accaduto al suo confratello, poi un giorno nel convento l’affrontò: «“Tu affermi che Dio, in una visione, ti ha tolto la Fede; dimmi, di grazia, se hai la Speranza”. Egli rispose: “Colui che non ha la Fede, come potrebbe avere la Speranza?”».
Gli era rimasta, per fortuna, la Carità: l’Amore per il prossimo che, quando la sofferenza religiosa brucia negli Esseri Umani come una stimmata, non si può non possedere.
Alcune decadi dopo la quarta nascita di Frate Egidio – concisa con la sua Ascesa e Apparizione al Signore – Frate Andrea, ancora lui, cercò di consolarlo, argomentando retoricamente: «Se io andassi in paesi lontani e qualcuno mi chiedesse se ti ho conosciuto e tu come stavi, potrei forse rispondere così: “Sono passati trentadue anni da che è nato frate Egidio [ossia dall’Apparizione a Lui di Dio]; e, prima di nascere, aveva la Fede, ma dopo essere nato egli l’ha persa”.
Frate Egidio replicò: “È così come hai detto. Certo, la mia Fede di prima non era così retta come avrei dovuto; e comunque, Dio me l’ha tolta. Ma a chi la possiede nel modo compiuto in cui bisogna possederla, anche a lui Iddio la toglierà. In seguito ho commesso una cosa per cui meritavo che una corda mi fosse legata intorno al collo e mi si trascinasse per tutte le strade di questa città per essere ingiuriato”». Di cosa si trattasse esattamente, non si sa.
Ma Frate Andrea trovò un pertugio nelle sue malinconie, chiedendogli: «Se tu non hai la Fede, che cosa faresti se fossi un prete e volessi celebrare la messa solenne? Come potresti dire: “Credo in un Dio?”. Dovresti dire, a quanto sembra: “Riconosco un Dio”». Frate Egidio fu improvvisamente edificato da quell’invenzione, da quel gioco di parole. «Con il viso raggiante, così rispose cantando a voce alta: “Riconosco un Dio, il padre onnipotente”».
Martin Buber, che ha raccolto queste testimonianze da antiche cronache medievali, nel suo reverente libro Confessioni estatiche laconicamente ci ricorda che Egidio d’Assisi, entrato, tra i primi, nella conventicola di San Francesco nel 1208, morì laggiù nel 1262: privato della Fede, ma, immaginiamo, con lo sguardo sempre velato dalla Visione nostalgica di Dio. La Chiesa lo riconosce come beato; non l’ha mai fatto, però, Santo.
II- Un giorno san Luigi IX, re dei Francesi, conosciuta la fama di Egidio, frate di Assisi, andò a trovarlo. Si presentò al monastero senza insegne reali, in incognito, da povero pellegrino, con un seguito sparuto di cavalieri vestiti – o meglio, stracciati –, come vagabondi. Egidio a quel punto, informato che c’era un anonimo derelitto in visita, uscì dalla sua cella quasi ebbro, per andargli incontro. “Corse alla porta e i due si strinsero con impeto in un abbraccio meraviglioso, e in ginocchio si baciarono con grande devozione, come se si conoscessero per antichissima amicizia. E quando si furono scambiati i segni dell’amore profondo, non si dissero nemmeno una parola, e anzi, facendo in modo di osservare il silenzio più assoluto, si separarono”.
Su loro, spiegò poi il Frate ai suoi compagni sbigottiti, brillava in quel momento la luce e lo “specchio eterno” della saggezza divina: per cui i due si erano fatti reciproche rivelazioni e si erano intesi senza bisogno di parole, sostando nel più perfetto dei Silenzi.
In quell’abbraccio muto e misterioso, Egidio probabilmente conversò in spirito su un fatto accaduto in precedenza a re Luigi:
«Viene riportato nella Vita di san Luigi, re di Francia, che un santo padre, celebrando la messa presso la Santa Cappella del Palazzo, a Parigi, cadde in estasi nel momento in cui consacrava l’Ostia Divina. Quelli che assistevano alla funzione allora scorsero con enorme Sorpresa, apparire, tra le mani del prete, il più bello e il più amabile di tutti i fanciulli: e tutto questo durò quasi un quarto d’ora. Parecchi degli astanti uscirono per avvertire gli altri, che corressero a vedere questo miracolo; convennero in molti, e lo constatarono.
San Luigi era molto vicino al luogo del prodigio: giunsero ad avvertirlo, pregandolo di esserne anche lui testimone; ma il re rispose:
“Io credo in modo così perfetto che Gesù Cristo sia realmente presente nell’Eucaristia, che non ho bisogno d’andare a vedere questo miracolo per persuadermene: infatti io credo sia presente nell’Ostia più fermamente che se lo vedessi; e davanti a Dio non voglio perdere il merito che ho acquisito con la mia Fede”».
Suppongo che quel miracolo della Sainte Chapelle sia avvenuto assai prima dell’incontro con Egidio, databile probabilmente verso il 1260. In ogni caso, immagino che il frate e il re si scambiassero i segni d’una commossa complicità. Perché avevano sostenuto la stessa prova: uno, Egidio, perdendola, l’altro, il re, vincendola, perché aveva saputo resistere alla tentazione di “vedere” il Signore Gesù (anche se in veste di Bambino).
Il Sapere, come è ovvio, uccide la Fede.
Dio, direbbe Pascal, deve restare nascosto. Vederlo apparire, infatti, è sempre stato fatale, all’Uomo.
E così è – o dovrebbe essere – per i voli estatici che consentono al Mistico di approdare in Cielo.
Per una forma d’igiene intrinseca alla Santità, si dovrebbe tornare da lì senza ricordi.
Confida Chamfort: «Fisserei volentieri sulla porta del Paradiso il verso che Dante ha collocato su quella dell’Inferno: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”». Mi pare che il vero motivo pel quale quell’insegna è esposta – come monito, di sicuro, per le anime che transitano dal Purgatorio – vada al di là delle intenzioni un po’ blasfeme di Chamfort.
In Paradiso il Beato si nutre ormai di visibili certezze. Mentre: chi soffre, spera solamente. Non ha nessuna sicurezza.
E Sperare è già dubitare.