Nei tempi antichi, anzi fino ai tempi più recenti (1985-1986) non esisteva ancora la “Prova del DNA” per stabilire chi fossero i veri genitori di un infante o di un adulto: ci si arrabattava dunque con forme di indagine tradizionali o improvvisate, e certe volte si sottoponeva la questione addirittura al giudizio dei regnanti.
I- Gli Psylli, ad esempio, appartenenti a un “clan del Serpente” – stanziati in Africa ai tempi dei Romani, e da allora, s’ immagina, scomparsi –, emettevano i loro “Certificati di Paternità o Stato di Famiglia” solo al termine di una vera e propria Ordalia Anagrafica. L’accertamento veniva loro consentito dalla mitridatica dimestichezza che solo la loro etnia vantava col veleno dei rettili. Così descrive Eliano l’Ordalia, nella Natura degli Animali:
“Quando uno Psillo sospetta della fedeltà della moglie e la odia, pensando che abbia commesso adulterio, e dubita che il figlio nato da lei sia un bastardo e non un autentico figlio della tribù, lo sottopone a una prova rigorosa: prende un paniere pieno di ceraste [serpenti dal morso mortale] e vi mette dentro il fanciullo, così come fa un orefice il quale, per verificare la genuinità dell’oro, lo pone in mezzo al fuoco. Le ceraste si rizzano infuriate minacciando col loro veleno il bambino, ma se, appena egli le tocca, subito si acquietano, allora quell’ uomo di Libia si convince di essere il padre non di un bastardo ma di un figlio legittimo”.
Freud, ne Il caso di Schreber, precisa che quel popolo abitava nelle vicinanze dell’odierna Tripoli.
Secondo Erodoto, un altro popolo, quello degli Ausei, aveva problemi simili, ma si dimostrava molto più tollerante. Costoro “non conoscono le nozze. Praticano la comunanza delle donne, senza matrimoni e accoppiandosi come animali. Quando un bambino di una donna comincia ad assumere una sua fisionomia, entro tre mesi gli uomini si riuniscono e lo dichiarano figlio di quello a cui più assomigli“.
In fin dei conti, anche la “Prova del DNA”, seppure più infallibile, non fa che confermare la pratica “popolare” di attribuire i figli ai padri che più a loro somigliano, a prescindere se siano nati dentro o fuori del matrimonio.
II- La più famosa delle Ordalie Anagrafiche è certamente quella, biblica, del “Giudizio di Salomone”, una sentenza divenuta poi proverbiale come esempio di saggezza, astuzia, ed Equità. Leggiamo questa storia nel Primo Libro dei Re (3:16-28), e vale credo la pena di riproporla integralmente:
«Un giorno andarono dal re due prostitute e si presentarono innanzi a lui. Una delle due disse: “«”Ascoltami, signore! Io e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito mentre essa sola era in casa. Tre giorni dopo il mio parto, anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e non c’è nessun estraneo in casa fuori di noi due. Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si era coricata sopra. Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco – la tua schiava dormiva – e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io”.
L’altra donna disse: “Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto”. E quella, al contrario, diceva: “Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo”. Discutevano così alla presenza del re.
Allora il re ordinò: “Prendetemi una spada!”. Portarono una spada alla presenza del re. Quindi il re aggiunse: “Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all’una e una metà all’altra”.
La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: “Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!”.
L’altra disse: “Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!”.
Presa la parola, il re disse: “Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre”.
Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunziata dal re e concepirono rispetto per il re, perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per render giustizia».
Bertolt Brecht riscrisse questa storia intitolandola Il Cerchio di gesso del Caucaso, e sostituì, al re Salomone, un ubriaco, a dimostrazione che anche i popolani sapevano esser giusti.
Un nuovo “Giudizio di Salomone”, in un caso simile, fu reclamato a Padova, nel 1777. Ne parla la fantastica Encyclopédiana.
Una levatrice, incinta, era stata chiamata per assistere una donna durante il parto. Fatalità volle che venisse colta dalle doglie, lei stessa, proprio in quel momento.
Nacquero così, contemporaneamente, due maschietti. Nel trambusto, una serva li mise nella stessa culla, senza che si potesse distinguerli in alcun modo.
Uno dei neonati morì subito; il superstite fu reclamato, come proprio, da entrambe le madri.
Contrariamente al leggendario “happy end” del caso analogo, il Tribunale di Padova non seppe a chi dare ragione.
Paradossale qui, non è tanto il verdetto, quanto il ruolo delle partorienti. Sono solo due, ma per entrambe il parto è stato assistito e favorito da un’ostetrica. Come nel caso del barbiere che fa la barba a tutto il paese e poi a se stesso, solo un Bertrand Russell potrebbe districarsi in questo labirintico “paradosso della levatrice puerpera”.
Comunque, sarebbe interessante risolvere oggi un “cold case” come questo con la prova del DNA. Basterebbe testare i discendenti dell’una e dell’altra.
Nella Bibbia, si tramanda d’un secondo Giudizio di Salomone, stavolta senza Salomone. Anche il verdetto fu completamente diverso: ma i protagonisti della vicenda potrebbero essere gli stessi: due madri, due bambini, dei quali, uno, morto.
Durante la terribile carestia che accompagnò l’assedio di Samaria, e che è narrata nel Secondo Libro dei Re (6, 4:30) si ricorse, per sfamarsi, a atti cannibalici.
In quei tempi, quando “la testa di un asino morto si pagava ottanta sicli d’argento, e un quarto di kab di bulbi d’ornitogalo costava cinque sicli d’argento”, una madre disperata avvicinò il sovrano d’Israele, e indicandogli un’altra samaritana, gli riferì: “Questa donna mi ha detto: Dammi il tuo bambino, perché lo mangiamo oggi: domani mangeremo il mio. Noi abbiamo dunque cotto il mio figliolo e l’abbiamo mangiato. Il giorno dopo le ho detto: dammi il tuo bambino, perché lo possiamo mangiare; ma essa ha nascosto il suo figliolo”. Il re si stracciò le vesti, e non punì le donne, ma se la prese col profeta Eliseo.