Charles Hoy Fort, statunitense, può essere considerato il pendant “immaginario” del suo connazionale Ralph Waldo Emerson: frequentatore dei dirupi della pubblicistica, esploratore di picchi innevati da precipitazioni inverosimili o paesaggi realmente imbrattati di piogge “lovecraftiane”. La Natura per lui era la quintessenza della Stranezza. Una Frontiera poco salutare, dentro la quale era possibile sperimentare ogni perturbante bizzarria. In questa sua incessante ricerca si spinse assai più in là dei suoi precursori: Livio e Giulio Ossequente, o gli altri Maestri della “Letteratura Prodigiale” che batterono i suoi stessi sentieri.
Collezionista di fatti “rari” e “maledetti”, ma documentati, Fort fu un instancabile rabdomante e divoratore d’aneddoti bislacchi, e si batteva per riscattarli dai ruoli marginali nei quali la Scienza e la cronachistica li avevano relegati.
A questo scopo raccolse una sterminata biblioteca di appunti e di ritagli, annotando altrettanti fenomeni inspiegabili avvenuti sopra e sotto ogni cielo del pianeta. Nel suo archivio si contavano almeno 25 mila schede di notizie, tutte stenografate.
Fort amava catalogare gli acquazzoni strabilianti – piogge di mucche e di incudini di ferro, piogge petrose, piogge di crocefissi (nel 1503), piogge di sangue (famosa quella di Guascogna nel 1017), oppure piogge di alligatori (come nel 1843, a Charleston), o turbini celesti di rospi e di ranocchie (una di queste tempeste avvenne a Birmingham il 30 giugno 1892). Per spiegare gli eventi di questa natura, ricorse a una “Super-Geografia”.
Ipotizzò l’esistenza di “stagni o laghi super-geografici” che davano origine a questo tipo di perturbazioni atmosferiche. Si sentì libero di collocare tali bacini organici, e piovani, dove voleva, ossia dov’erano più vicini alle manifestazioni di questi strani fenomeni: la Super-Geografia lo consente. Sopra le mappe si poteva applicare, in trasparenza, una cartografia diversa, un secondo Atlante di Terre o Masse Liquide sospese e misteriose, la cui frenetica interazione col nostro pianeta dava luogo a perturbazioni meteorologiche senza precedenti.
Per esempio, proprio sopra l’Italia, Fort diagnosticò l’esistenza di un Oceano di Sangue, o Deserto di Sangue, in assenza del quale, le innumerevoli precipitazioni ematiche riscontrate dagli antichi e dai moderni diventavano indecifrabili, o risibili, abbagli. Pauwels e Bergier raccontano che Fort, prima della fine dei suoi giorni, si liberò del suo archivio, consegnandolo alle fiamme.
Naturalmente, come cultore del “ramo”, ammiro l’impresa colossale di questo trascurato Maestro dell’Insolito, ma non posso dirmi fino in fondo un suo seguace. Perciò, dopo avergli tributato il dovuto e reverente omaggio, a malincuore nella Fantaenciclopedia ho dovuto prendere le distanze da Charles Hoy Fort.
Il “Fortismo”, mi pare sia una malattia “infantile” che coglie immancabilmente, ai primi passi, i ricercatori del Fantastico. Il fatto che gli episodi che costellano la “Letteratura Prodigiale” possano, uno affastellato all’altro, costituire una Collezione Infinita, ne dimostra, dal nostro punto di vista, la debolezza. Fort stesso, rimase prigioniero del suo folle universo, in cui ogni stravaganza era attendibile e doveva essere solo “numerata” e sommata a un’altra. Forse questo è il reale motivo per cui, alla fine, gettò quasi tutto il suo archivio nel fuoco, e il suo lascito restò per la maggior parte inesplorato.
Nel Fantastico non si danno Collezioni Infinite dello stesso genere di Eventi, senza lasciare intravedere, sia pure in modo ambiguo, un filo rosso che li unisce, un nodo narrativo che da loro si dipana suggerendo esatte Soluzioni o probanti Vie d’Uscita. Già è più interessante, per il ricercatore, sviscerare e collezionare le spiegazioni che uomini e donne si sono dati di questi fatti prodigiosi, – ma solo nel caso le loro induzioni, deduzioni, abduzioni, rivelino, al lavoro, una Logica Diversa dall’usuale. Insomma, un’altra e nuova Facoltà di Giudizio che consenta di gettare uno sguardo davvero Fantastico sul mondo.
Il formidabile studioso, testimoniano Pauwels e Bergier, si distraeva dalla sua immensa opera d’archivista del “Bizzarro”, giocando da solo interminabili partite di Scacchi “mostruosi”. L’ipertrofica scacchiera di sua invenzione, sulla quale giostrava i pezzi, contava ben milleseicento caselle.