Émile Zola, osservò con malizia che “fra gli ex voto si vedono molte stampelle ma nessuna gamba di legno”.
Lo scrittore incredulo si lamenta che il miracolo guarisca la natura, e mai si sostituisca ad essa.
Imputa al Cielo e ai Santi: gli arti segati non ricrescono.
Ma è errato. Si sono dati “Miracoli Totali”.
Al diacono Giustiniano, apparvero in sogno i Santi Cosma e Damiano, e gli sostituirono una gamba. Al risveglio, il miracolato si accorse che era nera: era appartenuta, in passato, a un etiope.
A san Giovanni Damasceno a seguito d’un controversia con l’iconoclasta imperatore bizantino, “fu tagliata la mano destra”, ma poi gli fu restituita “miracolosamente dalla Vergine”. Anche a Leone III, il papa che incoronò Carlomagno, un duplice miracolo pare abbia reso sia gli occhi, sia la lingua, che gli erano stati asportati da una congrega di congiurati.
Sant’Antonio da Padova ricucì il piede, benedicendolo, a un giovane che se l’era amputato per punirsi d’aver preso a calci la madre.
Alì, cugino del profeta Maometto, poi anche suo genero, principe dei credenti, guida della Fede, uno degli occhi di Dio, “con il suo respiro riattaccò una mano mozzata”.
Certo: eventi leggendari. Troppo remoti, si reputa, per esser sottoposti alla prova della Verità. Ma c’è un fatto abbastanza recente e sufficientemente documentato che mette a dura prova le certezze dei Miscredenti.
Nel luglio del 1637, il contadino aragonese Miguel Juan Pellicer, nativo di Calanda, cadde, e venne travolto dalle ruote del carro che stava guidando. Si fratturò la tibia in modo talmente grave che, per impedire il progresso della gangrena, due chirurghi gli amputarono una gamba. Pellicer, invalido, non poté più lavorare, e diventò un mendicante. Ormai dotato di stampelle, passava il tempo sui gradini del Santuario di Nostra Signora del Pilar, a Saragozza, a mostrare a tutti la sua menomazione e a chiedere l’elemosina. Come “cojo de Calanda”, ossia: “zoppo”, divenne una figura molto popolare.
Così riassume il sorprendente epilogo della sua vicenda il più illustre cittadino di Calanda insieme a Pellicer: l’Ateo Grazie a Dio, il sublime Luis Buñuel:
“Si trattava di un uomo molto pio che andava tutti i santi giorni in chiesa a immergere un dito nell’olio della lampada che ardeva davanti alla statua della Vergine, per poi strofinarsi il moncherino. Una notte, la Vergine e qualche angelo discesero dai cieli e gli misero una gamba nuova“.
La prima a gridare al “miracolo” fu la madre di Pellicer, che andandolo a svegliare la mattina del 29 marzo 1640, si accorse che, dal suo letto, spuntavano due piedi. Ce n’era uno di troppo.
Buñuel, ex chierichetto, doveva essere rimasto molto scosso, da bambino, sentendo i racconti popolari su questo prodigio; e forse per liberarsi dall’impressione che ne aveva avuta, mostrò in Simon del Deserto un padre che, appena riottenute per miracolo le mani al posto di entrambi i moncherini, subito le utilizzava per affibbiare al figlio un paio di scappellotti.
Rimarco però nel breve ragguaglio del grande Genio del Cinema mondiale, una piccola ma significativa imprecisione: la gamba che prese il posto di quella amputata non era affatto “nuova”: era la stessa di prima. La riconobbero subito i familiari che la videro quando “ritornò” dal suo legittimo proprietario. E anche altri testimoni affermarono che l’arto recava precisi e ben noti segni di riconoscimento, dovuti a piccoli incidenti: graffi, e cicatrici negli stessi punti.
Dal punto di vista “razionale”, la gamba in questione, seppellita due anni prima – subito dopo la rimozione –, avrebbe dovuto essere completamente putrefatta e quindi inutilizzabile.
In effetti questo fu un miracolo non meno portentoso da parte delle Potenze Divine, che non quello di saldare le due parti scisse di un moncherino, e di far tornare a camminare normalmente Miguel Juan, famoso “zoppo”, senza l’aiuto di nessuna chirurgia.
Altro particolare ulteriormente sorprendente: quando si cercò la gamba dove secondo tutti era stata sepolta, non se ne trovò traccia.
I teologi contemporanei commentarono: la “resurrezione” di quell’arto personale è la prova e il preannuncio di quanto accadrà a tutti il Giorno della Resurrezione dei Corpi.
Per quanto possa sembrare strano, oltre a Buñuel e ai suoi compaesani, la figura di Pellicer non è molto nota fuori d’Aragona, e non ha meritato finora, a quanto sembra, la giusta attenzione o esaltazione da parte della Chiesa. Perciò lo storico del cristianesimo Vittorio Messori, nel libro che ha dedicato a questo irripetibile Miracolo, lamenta che la vicenda edificante dello “Zoppo di Calanda” sia stata “confinata in qualche nota di qualche testo devozionale”, mentre avrebbe potuto fornire ai più battaglieri apologeti della Fede un imbattibile strumento per “far breccia nella ragione dell’uomo”, e “per farlo almeno pensoso davanti al Mistero”. “Come è potuto avvenire tutto questo?”, si domanda, non retoricamente, Messori, di fronte a un simile inaspettato oblio.
Se si dà ascolto alle ipotesi più prudenti o diffidenti, una spiegazione c’è.
Miguel Juan Pellicer fu ricevuto a corte dal re Filippo IV: il sovrano si inginocchiò davanti a lui e gli baciò la gamba, nel punto dov’era stata ricucita da un invisibile filo “celeste”.
Ma l’ex “cojo” non godé da allora in poi di nessun privilegio e – si dice anche questo – tornò a fare il mendicante. Morì ignorato da tutti, il 12 settembre del 1647. Non si conosce il luogo dove fu sepolto: nessuna lapide l’ha mai contrassegnato.
Nel 1950, a Velilla de Ebro, vicino Saragozza, una delegazione di medici, giornalisti e ministri della Fede, provvide a riesumare un corpo da una tomba che, secondo la voce popolare, poteva essere quella di Pellicer. Erano i tempi della Spagna franchista: si cercava di dar credito scientifico al “Miracolo Totale”. La spedizione tornò indietro senza i risultati sperati e la stampa non pubblicò neppure una notizia né una riga sulle conclusioni alle quali era giunto il comitato. Eppure il sepolcro scoperchiato era davvero quella di uno “zoppo”, che aveva vissuto nel secolo XVII.
Un detective più malizioso di ogni altro indagatore potrebbe quindi sospettare da elementi come questi che Miguel Juan non sia stato affatto premiato da nessun Miracolo; e che l’aspetto più mirabolante dell’intera vicenda – cioè: la restituzione, che ebbe, della “stessa gamba” –, non vada considerato un “giro di vite”, un “doppio prodigio”, ma al contrario esattamente la prova che questo arto era rimasto sempre dov’era, fin dalla nascita. E che forse, dico forse, Pellicer teneva la gamba ripiegata dentro gli abiti, in modo da lasciare scoperto solo il ginocchio. e così poteva chiedere l’elemosina come storpio. Un innocente trucco che qualsiasi attore sano abbia interpretato sullo schermo, a teatro, o in Tv, il Long John Silver de L’Isola del Tesoro, conosce bene.
Ma non c’è motivo, senza prove, di essere così maliziosi e sospettosi. Io, per esempio, credo ai Miracoli, anche a quelli “Totali”: ma credo meno a chi cerca di convincermi a ogni costo che sono “realmente” avvenuti.
Si potrebbe anche rispondere all’Obbiezione di Zola: se non succedono più (o: non sono mai successi) simili portenti, forse la colpa non è dei limiti intrinseci del miracolare.
È invece colpa dei santi, i quali non si rendono neppure conto del potere che dà loro la Fede, e non si cimentano neppure, per codardia, nei Miracoli Totali.
[in copertina: I santi Cosma e Damiano miracolano Giustiniano diacono]