I- Il furbo imperatore Costantino si fece battezzare in punto di morte, come dovrebbero fare tutti i cristiani animati solo dalla potenza della Logica, perché così, purificati in extremis da ogni peccato, si schiuda a loro con sicurezza la porta del Paradiso.
Il Maresciallo Gilles de Rais (o de Raiz, o Retz, il Barbablù delle favole più macabre), mostro barbaro e pedofilo, battezzato nell’Angiò l’anno 1404, – e quindi, non più battezzabile – credo avesse escogitato un’astuzia simile per salvare la propria anima. Non ci sono prove; ma leggendo le carte che riguardano la sua vita, e i verbali del suo processo vergognoso, si può concludere che questo nobile dissoluto una forma di Raziocinio, sia pure infernale, obbrobriosa, l’avesse. Era quella a dettare i suoi comportamenti, a indirizzarli occultamente verso la Salvezza dell’anima sua.
Sade non nasconde di ammirare Gilles, nobile come lui e assassino titolato: “confessò in un interrogatorio di non conoscere voluttà più forte di quella procuratagli dai supplizi inflitti dal suo elemosiniere, e da lui stesso, a bambini molto piccoli d’ambo i sessi. Ne furono trovati sette o ottocento immolati in uno dei suoi castelli in Bretagna”. I numeri, come sempre, affascinano il pervertito, il collezionista di abomini.
In effetti, Gilles, non appena fu sfiorato dalla tortura, confermò le accuse. Ammise “che per il suo ardore e diletto di lussuria aveva preso e fatto impiccare molti giovanetti con i quali aveva avuto commercio, dopo di che erano stati uccisi da lui o da suoi cortigiani in vari modi, o tagliando loro la gola o separando la testa dal corpo o rompendo loro la testa o cavandone le membra o fendendoli per vederne le interiora o attaccandoli a una corda o pertica o gancio di ferro nella sua camera per strozzarli o per farli languire e, languendo essi, aver con loro commercio o addirittura avendolo dopo la loro morte”.
Se il movente principale d’ogni “perversione” è perpetuare, moltiplicare il piacere, mi pare evidente che la depravazione dei pedofili assassini poco abbia a che vedere con la lussuria. Si usa il membro come una lama, o una sonda, e se ne è insoddisfatti, tanto che il barone deve poi procedere a un controllo ulteriore, un’autopsia con vera arma da taglio, per “vedere le interiora” delle proprie vittime: che pare lo scopo di tutta l’orgia sessuale. Spalancare, spaccare, squartare valgono di più, per l’infanticida, che placare un bisogno dei sensi.
A noi però, non interessa tanto indagare un caso maniacale fuori di senno e di controllo: cerchiamo, se possibile, la prova che i comportamenti del nobile de Rais obbedivano a una forma di razionalità, sia pure atroce. Ci interessa scoprire, in lui, l’uomo deciso a patteggiare col demonio, speculando sul suo destino ultraterreno.
Gilles combatté con Giovanna d’Arco per la causa francese, e aveva ancora buoni amici a Corte che lo consideravano un patriota, ma venne giustiziato solo perché il vescovo di Nantes, contrastando il parere del re, raccolse pazientemente, da buon investigatore, le prove delle sue nefandezze – perpetrate anche nel campo del soprannaturale.
Giovanna d’Arco fu bruciata sul rogo come strega. Ma il vero stregone, tra i due, era il suo compagno d’arme, l’insospettato Gilles de Rais: lo apprendiamo dagli atti del processo. Si riabilitò una come Santa; l’altro meritò nei secoli a seguire eterna infamia.
II- Georges Bataille ha scritto un testo “illuminante” (come sono i suoi) sul sadico barone: Le procés de Gilles de Rais, pubblicato nel 1965. Contiene anche i documenti originali e i verbali del processo che ne sentenziò l’impiccagione.
In essi leggiamo che quando Gilles cade in disgrazia e scialacqua tutte le sue fortune, cerca disperatamente d’evocare il diavolo, per tornare ad arricchirsi per via occulta. In cambio d’oro alchemico e di altre consistenti fortune materiali, si mette a totale disposizione del demonio, al quale offre come contropartita la propria esasperata propensione al delitto e allo stupro. Tuttavia, il barone nega al Maligno la propria anima, insieme al diritto di abbreviargli la vita.
Il suo piano mi pare semplice, anche se non dichiarato: vuole dannarsi, godere fino all’ultimo dei vantaggi del patto scellerato, ma poi, vuole pentirsi in extremis, e guadagnarsi il Paradiso sul letto di morte. Sarebbe stato sincero e soprattutto Logico, perfettamente logico. Tutte le sue azioni, anche le più orripilanti, trovano una spiegazione, alla luce di questa strategia.
Gilles invocava il Diavolo, ma sapeva bene che il patto col Maligno è reversibile. Basta un intervento divino per stracciarlo. San Teofilo d’Adana, il penitente, perintercessione dell’Avvocata Nostra, la Vergine, miracolosamenteriebbe indietro l’anima, che aveva già consegnato al demonio “Cahu”. E questo avvenne nel 538, era volgare.
Uccidere innocenti nel modo più atroce, infrangere Comandamento dietro Comandamento, bagordando fino alla rovina; attirare così l’attenzione del diavolo; patteggiare allora con lui fortuna, impunità, ricchezza; poi pentirsi in vecchiaia e rinnegare l’accordo riabbracciando il Credo di Gesù, arrivando con la Fede dove la magia non poteva giungere: il piano di Gilles – se questo –, era geniale, puro funambolismo tra Cielo e Inferno.
III- Però: è strano, diabolicamente strano, che nonostante i peccati esorbitanti, le scomuniche, le centinaia di bambini violati e poi sgozzati, nonostante gli stregoni pagati profumatamente per evocarlo, il diavolo tanto desiderato non appaia mai al maresciallo Gilles de Rais; strano che il demonio non gli presti non dico un soldo, ma neppure, che so, un briciolo d’attenzione. Inspiegabile, che un simile provocatore, dal curriculum criminale impeccabile e invidiabile per qualsiasi satanasso, non ottenga udienza da nessuno Spirito Maligno.
Gilles affonda nel ridicolo, nei suoi tentativi di abbordare l’Inferno. “Farsa”, chiama Bataille il resoconto delle sue disavventure. Il maresciallo s’affida a principianti, quando va bene; ma soprattutto a truffatori improbabili, neofiti alchimisti con false pietre filosofali, lestofanti che prendono il volo appena lui svuota la borsa di qualche grossa moneta.
Il Maresciallo protesta con uno di questi negromanti, che da tempo si è insediato a sue spese nel castello, ed esige che l’incontro promesso col diavolo avvenga subito. Lo stregone, di notte, lo porta ai margini d’un bosco, nel quale poi s’addentra da solo, indossando un’armatura bianca. Improvvisamente, dal buio, dove l’intrico è più fitto, lo si sente gridare, e si odono rumori come di battaglia. L’uomo sbuca poi di corsa nella radura, terrorizzato, sgomento; ha la corazza ammaccata. Dice d’essersi azzuffato con un Demonio che aveva sembianze di leopardo. Per chi accompagna il maresciallo, è evidente che tutto quel baccano è una messinscena, e che quel fanfarone ha vibrato su se stesso, con la spada, i colpi che deformano l’armatura. De Rais, al contrario, felice di quell’epifania, crede ciecamente al ciarlatano, se lo tiene ancora più caro, lo tratta con generosità. Lo sprona a riprovarci. Questa “farsa” va avanti, senza risultati, ancora per qualche mese.
Esaurita la pazienza, il Maresciallo manda uno dei suoi fidi assassini ad assumere e a prelevare in Italia, a Firenze, un Incantatore e Negromante professionista, un esperto in satanassi. La scelta cade casualmente su Francesco Prelati, giovanissimo chierico, che sarà uno dei primi a cedere all’Inquisizione confessando ogni orrore, e a testimoniare contro il Barbablù.
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[in copertina: Il diavolo evocato dalla musica ghermisce un negromante, di Angelo Caroselli (particolare)]