I- Il poeta comunista Bertolt Brecht (10 febbraio 1898-14 agosto 1956) fu convocato il 30 ottobre 1947 a deporre davanti al Comitato per le Attività Antiamericane – una emanazione della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, che aveva il compito di indagare sulle presunte “infiltrazioni comuniste” nel mondo dello spettacolo, e in particolare a Hollywood. La Commissione (passata alla storia anche con la sigla HUAC, o HCUA) aveva appena avviato un’indegna e illiberale “caccia alle streghe”, mirando a colpire, per le loro idee politiche, soprattutto registi e sceneggiatori cinematografici. Brecht fu l’ultimo dei 19 “testimoni” (in realtà: imputati) che presero parte al primo, ultrapubblicizzato, giro di audizioni. Dieci dei suoi colleghi, considerati “ostili”, finirono nella tristemente famosa “Lista Nera di Hollywood”. Furono incarcerati per “vilipendio” alla Corte, perché si rifiutarono di rispondere alle domande dell’accusa e del presidente della Commissione, e, nel farlo, si appellarono al “primo emendamento” della costituzione degli Stati Uniti. Subito dopo, i Dieci furono licenziati dagli Studios. Tra loro c’erano il regista Edward Dmytryk (che poi collaborò a lungo con la HUAC) e gli sceneggiatori Ring Lardner Jr., Albert Maltz e Dalton Trumbo. La Giustizia ufficiale non li ha mai riabilitati: per la Corte Suprema essi avevano effettivamente oltraggiato un organo costituzionale che aveva compiti giudiziari.
A questo primo nucleo si aggiunsero presto 140 nuovi indagati, presunti “rossi” che sotto la pressione dell’opinione pubblica persero il posto di lavoro; gli scrittori, dovettero lavorare per anni come clandestini, ai margini dell’industria cinematografica; molti degli altri, registi, o attori, furono costretti a espatriare. Anche famose Star furono sospettate di simpatizzare o di aver simpatizzato con il comunismo: e da questa accusa dovettero difendersi Humphrey Bogart, James Cagney, Katharine Hepburn, Melvyn Douglas e Fredric March.
Lo scopo di queste convocazioni era puramente propagandistico. L’HUAC voleva che la sua crociata riscuotesse la maggior attenzione possibile e l’appoggio incondizionato del Paese, già traumatizzato dalla Guerra Fredda. Per questo la Commissione si servì delle Star del Cinema, o cercando il loro appoggio, o cercando di incriminarle e esporle al pubblico sdegno, alla ferocia delle associazioni patriottiche. Non c’era, in quella Corte, nessuna reale intenzione di stabilire la verità, né di condurre una seria inchiesta sul presunto e invisibile contagio delle idee comuniste “propagandate” dai film hollywoodiani. L’interrogatorio ai testimoni “ostili” mirava solo a incriminarli, e a marchiarli definitivamente come “quinte colonne” della dittatura moscovita.
La domanda decisiva (che la stessa Commissione chiamava, denunciando il proprio livello culturale, la “domanda da 64 dollari”, come in un quiz televisivo) era:
“è mai stato iscritto al partito comunista?”
Nessuno, tra i Dieci di Hollywood, aveva risposto con un sì o con un no. Una simile inquisizione era inaccettabile, incostituzionale, davvero “antiamericana”. Lo sceneggiatore Ring Lardner Jr. aveva replicato al presidente: “Potrei risponderle, ma, se lo facessi, non potrei più guardarmi allo specchio la mattina”.
C’erano, ad ascoltarlo, oltre ai giudici, “un’ottantina di rappresentanti della stampa, due stazioni radio, operatori cinematografici, fotografi. Tra il pubblico, gente di teatro di Broadway, come osservatori” [Brecht, Diario di lavoro]. Scoppiò un boato di risate, e gli spettatori, con un grande scroscio di applausi, approvarono la battuta.
Brecht ricevé un mandato di comparizione in quanto noto rivoluzionario e capopopolo, nonché intimo amico di accertati comunisti come il musicista Hanns Eisler, che era stato, appena un mese prima, accusato di falsa testimonianza di fronte all’HUAC, e era in procinto d’essere espulso dagli Stati Uniti. Ma Bertolt non entrò mai nella “Lista Nera”. Anzi, al termine della sua deposizione fu lodato dal presidente della commissione, Thomas, con questo elogio terribile: “Lei è stato un buon esempio”.
Eppure Brecht era comunista, e aveva giurato, in aula, di dire tutta la verità. Aveva mentito?
II- L’interrogatorio di Brecht alla Commissione va considerato e studiato come una doverosa mascherata. Il limite da non superare è quello della Assoluta Menzogna. Nello stesso tempo, una rigida morale marxista impedisce al comunista di dire tutta la verità al nemico: cosa che sarebbe oltretutto controproducente per la propria integrità fisica e la libertà sua e dei compagni. Rientrano in questa strategia le concessioni all’accusa condite da supposizioni utili solo a gettarla in confusione, ma senza offenderla – le incertezze pilotate, le testimonianze rispettose e all’apparenza sincere, ma in realtà mozze e sagaci.
L’Investigatore HUAC, Stripling: “Signor Brecht: Qual è la sua occupazione?”
Brecht: “Sono drammaturgo e poeta”.
Stripling: “Attualmente dove lavora?”
Brecht: “Non ho un lavoro“.
Stripling: “Signor Brecht, lei è membro del partito comunista, o lo è mai stato, in qualsiasi paese?”
In questo preciso momento, direbbe Ring Lardner Jr., spetta a Bertolt superare la “prova dello specchio“. E il poeta, lui, risponde, non si appella a nessun emendamento:
Brecht: “Ho ascoltato i miei colleghi quando consideravano impropria questa domanda, ma essendo ospite di questo paese, e non volendo entrare in discussioni di tipo legale, risponderò a questa domanda nel modo più completo possibile. Non sono mai stato e non sono ora membro di nessun partito comunista”.
Stripling: “Non era iscritto al partito comunista in Germania?”
Brecht: “No, non lo ero”.
Stripling: “Signor Brecht, è vero che lei ha scritto un notevole numero di drammi, poesie e altri scritti che erano molto rivoluzionari [sic]?”
Brecht: “Ho scritto un gran numero di poesie, e canzoni, e drammi, durante la lotta contro Hitler e naturalmente possono essere considerati perciò rivoluzionari, perché io, è ovvio, ero favorevole al rovesciamento di quella forma di governo”.
Quando dire tutta la Verità implicherebbe una nostra condanna, e rimanere in silenzio, o persino reclamare un nostro diritto, finirebbe coll’accusarci, allora, talvolta, i più preparati tra gli innocenti ingiustamente perseguitati (come Brecht) ricorrono a una formula d’astuta collaborazione con i giudici o l’opinione pubblica: un dire fluente che nasconde il non detto, e che sottrae le verità più scomode, celandole dietro un velo di parole, per deviare il discorso – e l’attenzione – verso sentieri ininfluenti:
L’Investigatore HUAC, Stripling: “Da un esame dei lavori che il signor Brecht ha scritto, mi pare che egli sia una persona di importanza internazionale per quel che concerne il movimento comunista rivoluzionario… Quanti dei suoi lavori sono basati sulla filosofia di Marx e Lenin?”
Brecht: “Non credo che ciò sia veramente corretto, ma naturalmente ho studiato, ho dovuto studiare, come ogni scrittore che intenda scrivere drammi storici, l’idea di Marx sulla Storia. Non credo che al giorno d’oggi si possano scrivere drammi intelligenti senza questi studi. Inoltre la Storia scritta ora è profondamente influenzata dagli studi di Marx su di essa”.
In questo modo, proteggendo in realtà selvaggiamente se stesso, il soggetto evita di capitolare, e ottiene persino l’altrui riconoscenza: quella dei Giudici, perché col suo inchino retorico egli ha comunque adulato e sancito la legittimità del Processo ch’essi hanno istruito; e quella dei complici o compagni, perché, mantenendo fermo il suo proposito di “depistare” la Giustizia, ha evitato di denunciarli e comprometterli.
Tutto ciò, mi rendo conto, è favorito in primo luogo dai presupposti della moderna civiltà giuridica, soprattutto quella di stampo anglosassone: che è per essenza filosofica, socratica e garantista, in quanto stabilisce che siano le domande degli accusatori, degli avvocati e dei magistrati a far da levatrici alla Verità. Per cui una Testimonianza Vera, in certi tribunali, è fatta solo di Risposte, non di asserzioni.
Certo, con l’HUAC, di questa forma radicata di Giustizia si fa la parodia, e lo scempio.
III- Nei casi più nobili, quelli che riguardano i cosiddetti “reati” d’opinione, accade talvolta però che l’imputato non solo debba, da furbo, impersonare l’ingenuo. Accade che, con veri giochi di prestigio retorici, egli sia costretto contemporaneamente a impedire la propria condanna (che inchioderebbe, al pari d’una delazione, anche i suoi amici e complici), e nello stesso tempo, senza mancar di rispetto alla Corte, testimoniare come si fosse di fronte a un altro Tribunale, un Tribunale ideale, dell’Umanità, o addirittura Sovrumano. Per cui ci si ingegna a rispondere, in quei processi, in modo tale di non offendere i propri principi – non solo quelli della Giustizia corrente – e ci sforza di non ritrattare neanche una virgola delle proprie profonde credenze, in modo da non perdere neppure per un istante l’approvazione dei nostri compagni di strada, o dei fiancheggiatori. Salti mortali? Sì, lo sono.
Normalmente la diversione, la disinformazione, avviene deviando il discorso verso l’alto, verso sfere che debbono sembrare nobili in quanto inaccessibili al buonsenso. I Tribunali ne sono comunque soddisfatti, perché la carica sovversiva delle parole, quando mira alle vette più alte, e al cielo delle Utopie, di solito si risolve in una grande sparatoria a salve, che non mette in pericolo nessun assetto sociale.
Ma nei casi ancora più complicati – e lo dimostra il processo a Bertolt Brecht –, la testimonianza è come fosse fatta, anche, di fronte al tribunale delle Masse. Non ritrattare, non denunciare, non collaborare è già difficile, in un processo stringente; ma il salto mortale sta nel non dire mai cose false, per proteggersi, e neppure mezze verità: il salto mortale, astuto, astutissimo, sta nel dire l’integrale Verità, ma “traducendola” a beneficio degli ascoltatori, in modo che, mentre viene detta, si scopre essere, non tanto tutta la Verità, ma quel tanto di Verità che può essere compresa anche dall’Accusatore e dal Nemico di classe, di religione, o di corporazione.
L’Investigatore HUAC, Stripling: “Signor Brecht: ha mai presentato domanda per essere ammesso al partito comunista?”
Brecht: “No, no, no, no, no. Mai”.
Stripling [mostrando a Thomas un documento che dovrebbe essere “compromettente”]: “Signor Presidente, ho qui…”
Brecht: “Io sono sempre stato uno scrittore indipendente e ho sempre voluto essere uno scrittore indipendente e sottolineo che, anche teoricamente, era la cosa migliore per me, non essere iscritto a qualsivoglia partito. E tutte queste cose che sono state lette qui [poesie, canzoni, la trama de La linea di Condotta] non sono state scritte solamente per i comunisti tedeschi, ma sono state scritte per tutti i lavoratori. Operai socialdemocratici sono intervenuti a questi spettacoli, così han fatto anche lavoratori cattolici, appartenenti a sindacati cattolici; così hanno fatto lavoratori che non si erano mai iscritti a un partito o che non volevano entrare in un partito”.
È interessante notare come Brecht si sia comportato, in questo caso, come un proprio “attore”. L’oggettività di quanto stava dicendo andava proclamata attraverso uno “sdoppiamento”. Brecht stesso è stato il “doppio” di Brecht in quel copione brechtiano improvvisato, un po’ da commedia dell’Arte, un po’da “Linea di Condotta” che fu la sua audizione al Comitato. Se voleva salvarsi, Brecht doveva uscire dal suo stesso personaggio: altrimenti, difendendosi come soggetto unico e identico, sarebbe perito appellandosi alla propria esperienza esistenziale o alle ricadute del primo emendamento.
Il presidente dell’HUAC, Thomas: “È sicuro di non aver mai preso parte a riunioni del partito comunista, qui negli Stati Uniti?”
Brecht: “Credo di sì. Sono qui da sei anni… non credo di aver preso parte a riunioni politiche”.
Thomas: “Le riunioni politiche non c’entrano. Ma ha preso parte a riunioni del partito comunista negli Stati Uniti?”
Brecht: “Non credo”.
Thomas: “Ne è certo?”
Brecht: “Credo di esserne certo…Non ho partecipato a questo tipo di riunioni, secondo me”.
Secondo Carmelo Bene, questo sdoppiamento, o straniamento, costitutivo della macchina teatrale di Bertolt Brecht, questo “uscire” da se stessi, non è altro che fare il “delatore, lo spione. Brecht è una parodia della CIA”. Se Bene avesse ragione, avremmo qui il caso singolare d’un imputato che denunciando se stesso in modo astuto, facendo lo “spione” di se stesso, come “collaboratore di giustizia”, avrebbe incontrato il favore dei giudici, salvandosi dalla condanna, e riuscendo a non compromettere alcun complice.
IV- Tutti i grandi Processi agli Innocenti della Storia, Socrate, Gesù, Galileo, Bruno, ecc., sono stati puro “Teatro della Menzogna”; tutti i protagonisti furono “tentati” dagli Inquisitori con la prospettiva della salvezza, che coincideva quasi sempre con l’abiura. Il loro problema è stato allora quello di dire e non dire, allo stesso tempo , la Verità. Cioè di porsi questo problema: fino a che punto è lecito tacere, o mentire, per scampare a un grave pericolo che ci sovrasta? Oppure: fino a che punto si deve collaborare con una Giustizia ingiusta, senza assumere, contemporaneamente, il ruolo del complice, o del codardo?
Non comprenderemo mai fino in fondo il senso della testimonianza di Bertolt Brecht, se non ne inseriremo l’analisi in questo solco, in questa dialettica Verità/Menzogna,
Con una convinzione: Brecht avrebbe potuto rispondere allo stesso modo anche a un comitato stalinista che l’accusasse di non essere un buon comunista, al fine di “purgarlo” e consegnarlo a qualche Gulag senza uscita.
Non è detto però che l’avrebbe fatta franca con le sue sottigliezze, le sue astuzie.
Nell’Interrogatorio dell’uomo buono (che si trova in Me-Ti. Il Libro delle Svolte) si legge già la profezia (o il ricordo) delle liste nere e la profezia (o il ricordo) dei processi staliniani: “Ascolta: sappiamo / che sei nostro nemico. Perciò ora ti vogliamo / mettere al muro. Ma in considerazione dei tuoi meriti / e buone qualità / il muro sarà buono, / e ti fucileremo con buone pallottole di buoni fucili / e ti seppelliremo con una buona pala in terra buona”.
Ci sarà sempre qualcuno che si commuoverà, mentre ti spara alla nuca un doveroso colpo di grazia, in nome d’un ideale sedicente “umanitario”. Sussurrando: “Eri un buon uomo, ma hai sbagliato…”
Il giorno dopo aver deposto davanti alla Commissione per le Attività Antiamericane, il 31 ottobre 1947, Bertolt Brecht evitò di assistere alla prima della Vita di Galileo a New York, e fuggì per sempre dagli Stati Uniti.
[in copertina: Bertolt Brecht davanti all’HUAC (30 ottobre 1947)]