Compie oggi 65 anni il grandissimo artista Thomas Quasthoff, cantante, magnifico interprete del repertorio liederistico tedesco. Un cattivo farmaco, assunto dalla madre durante la gestazione, l’ha reso focomelico. È alto, credo, poco più di un metro. La sua difformità gli ha precluso l’entrata in un conservatorio: dové prendere lezioni da solo, mentre faceva l’annunciatore per la radio.
Ricordo un suo concerto, che mi ha molto impressionato e commosso. (Un frammento lo ripropongo, da Youtube, nonostante la qualità del video sia pessima).
Col braccino sinistro munito, all’altezza dell’omero, d’una mano quasi vera, riusciva a girare le pagine dello spartito, e appariva poi (sotto la direzione paterna e partecipe d’un immenso Abbado) meravigliosamente trasfigurato dall’interpretazione dei Lieder sentimentali di Schubert: le piccole dita torturate dallo sforzo del diaframma pendevano giù dalle sue spalle; le parole d’amore gli gocciavano dalla gola come lacrime. Mentre eseguiva il “Re degli Elfi”, poi, c’era da rabbrividire.
Erlkönig, la ballata di Goethe musicata da Schubert nel 1815, rievoca un fatto vero, che il poeta ha letto nelle cronache: il delirio d’un bimbo piccolo, malato, febbricitante, a cavallo, tra le braccia del padre. Il bambino crede di vedere accanto a sé il Re degli Elfi, che vuole trascinarlo nel suo buio regno. Non giungerà vivo alla fattoria dove avrebbero potuto curarlo.
«Chi cavalca così tardi nella notte e nel vento?
È il padre col suo bambino.
Regge il fanciullo tra le braccia
Lo stringe sicuro, lo tiene al caldo.
“Figlio mio, perché nascondi così timoroso il tuo viso?”
“Non vedi, padre, il Re degli Elfi,
Il Re degli Elfi con strascico e corona?”
“Figlio mio, è una striscia di nebbia!”
“Caro bambino, su, vieni con me!
Bellissimi giochi farò con te
Molti fiori colorati sono sulla riva
Mia madre ha molte vesti d’oro…”
“Padre mio, padre mio, e non senti
Cosa mi promette sottovoce il Re degli Elfi?”
“Stai calmo, resta calmo, bimbo mio
Il vento mormora tra le foglie secche”.
“Bel fanciullo, vuoi venire con me?
Le mie figlie ti aspettano già graziosamente
Le mie figlie di notte guidano i ranghi
E ti cullano, ballano e cantano per te…”
“Padre mio, padre mio, e non vedi là
Le figlie del Re degli Elfi in quel luogo tetro?”
“Figlio mio, figlio mio, lo vedo chiaramente:
I vecchi salici sembrano così spaventosi!”.
“Ti amo, il tuo bell’aspetto mi piace enormemente,
E se non vuoi, ricorrerò alla forza!”
“Padre mio, padre mio, adesso mi afferra!
Il Re degli Elfi mi ha fatto del male!”
Il padre spaventato, cavalca veloce
Regge tra le braccia il bambino che geme.
Raggiunge la fattoria con fatica e difficoltà.
Tra le sue braccia il bambino era morto».
Da rabbrividire, perché Quasthoff raccontava la propria storia, la sua storia di bambino rapito anche lui dagli Elfi, tramutato in elfo da una metamorfosi oscura.
Infatti la voce gli si incrinava verso la fine, e quasi spariva, quando i versi rivelano che il bambino è morto.
No, non è morto quel bambino, il re cattivo ce l’ha restituito menomato, ma l’arte l’ha reso così grande da toccare il nostro cuore.
Credo che il sentimento che proviamo ascoltando, guardando, questo nostro simile e fratello, possa avere un solo nome: Riconoscenza. Riconoscenza ancor più che ammirazione. Ancor più che solidarietà. Tra Cielo e Terra, c’è più Umanità, di quanto insegni la nostra filosofia.
Ecco il testo di Goethe:
«Wer reitet so spät durch Nacht und Wind?
Es ist der Vater mit seinem Kind
Er hat den Knaben wohl in dem Arm
Er fasst ihn sicher, er hält ihn warm
Mein Sohn, was birgst du so bang dein Gesicht?
Siehst, Vater, du den Erlkönig nicht!
Den Erlenkönig mit Kron und Schweif?
Mein Sohn, es ist ein Nebelstreif
Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
Gar schöne Spiele, spiel ich mit dir
Manch bunte Blumen sind an dem Strand
Meine Mutter hat manch gülden Gewand
Mein Vater, mein Vater, und hörest du nicht
Was Erlenkönig mir leise verspricht?
Sei ruhig, bleibe ruhig, mein Kind
In dürren Blättern säuselt der Wind
Willst feiner Knabe du mit mir gehn?
Meine Töchter sollen dich warten schön
Meine Töchter führen den nächtlichen Reihn
Und wiegen und tanzen und singen dich ein
Mein Vater, mein Vater, und siehst du nicht dort
Erlkönigs Töchter am düsteren Ort?
Mein Sohn, mein Sohn, ich seh es genau:
Es scheinen die alten Weiden so grau
Ich liebe dich, mich reizt deine schöne Gestalt
Und bist du nicht willig, so brauch ich Gewalt!
Mein Vater, mein Vater, jetzt fasst er mich an!
Erlkönig hat mir ein Leids getan!
Dem Vater grauset’s, er reitet geschwind
Er hält in den Armen das ächzende Kind
Erreicht den Hof mit Mühe und Not
In seinen Armen das Kind war tot».
E il video del concerto di Abbado con Thomas Quasthoff (versione del Lied per Orchestra e Voce di Max Reger) reperito su Youtube:
[in copertina: Gnomo, di Odilon Redon]