Come dimostra il caso del taciturno Lazzaro di Betania, non possiamo comprendere i Risorti, se non ci sforziamo di rispettare il loro Pudore. Ma è pure vero, che la loro riservatezza, spesso, somiglia troppo alla reticenza, se non addirittura all’Omertà.
Viene in mente, in proposito, un celebre aneddoto: quello di sant’Antonio da Lisbona (o di Padova) che ridona la vita a un morto di morte violenta. Non posso che citarlo da Nero su Nero, opera sottovalutata di Leonardo Sciascia. E non è lo scrittore siciliano a raccontarlo, ma un suo corrispondente, messo al confino per reati mafiosi: Giuseppe Sirchia. Sirchia, per inciso, sarebbe stato lui stesso ucciso, con la moglie, sei anni dopo questa lettera, crivellato dai colpi dei sicari di “Cosa Nostra”.
«Sant’Antonio era di origine portoghese e, un giorno che si trovava in viaggio per predicare la sua fede, gli giunse un messaggio dove lo informavano che suo padre era stato accusato di omicidio. Subito il santo si recò in Portogallo e si presentò agli uomini di legge che avevano imprigionato suo padre e gli disse: “mio padre è innocente e ve lo posso provare”. Così, recatosi al cimitero dove era seppellito il morto, disse: “scoperchiate la tomba”. Poi, rivolgendosi al morto, disse: “su, parla: è stato mio padre a ucciderti?” Il morto, alzandosi, disse: “no, non è stato tuo padre”. Gli uomini di legge, rivolgendosi al santo, dissero: “giacché gli hai fatto dire che non è stato tuo padre ad assassinarlo, chiedigli chi è l’assassino”; e il santo rispose: “a me interessava dimostrare l’innocenza di mio padre, scoprire l’assassino è compito vostro».
Sciascia non commenta, ma certo col racconto il confinato intendeva legittimare l’Omertà mafiosa, che secondo lui fu battezzata quel giorno – padrini: un Santo e un Trapassato.
Il Morto, infatti e in genere, nel ramo Reticenza è insuperabile: è un modello a cui tutti i mafiosi si ispirano, e che tendono a moltiplicare.
Del resto, si legge proprio questo nel Talmud: quando, un giorno, Iddio disse a Giosuè, «“ha peccato Israele”, quegli domandò: “Chi ha peccato?”. “Sono forse un delatore?” – disse il Santo, benedetto Egli sia». Dio non fa la Spia. Cosa dovrebbero imparare, gli Uomini, da lezioni come queste?
Il racconto che ha, come protagonista, il Santo portoghese, è confermato da altri agiografi. Ma ha ugualmente l’aspetto di un “Apocrifo”.
Il Miracolo di Antonio, di cui parla Sciascia, ha un illustre antecessore nei Vangeli non Sinottici. Nel Vangelo dello Pseudo-Tommaso (IX, 3) si narra che il piccolo Gesù avrebbe risuscitato un bambino morto, scivolato giù da un tetto. L’avrebbe fatto per scagionarsi, dato che tutti inveivano contro di lui, ritenendolo responsabile di quella caduta. Il bimbo, tornato tra i viventi, lo discolpò subito. Analogamente avviene nel Vangelo dell’Infanzia armeno (XVI, 13-15). Qui il pargolo Gesù si scontra addirittura con un magistrato che l’accusa di aver ucciso quel bambino, di nome Abias. Allora, risuscita il ragazzino morto, che lo scagiona dell’omicidio e – come accade a Antonio – rimanda il piccolo risorto, istantaneamente, nel luogo da dove è venuto, con queste dolci e terribili parole: “Abias, adesso dormi fino alla resurrezione generale”. Il popolo e il magistrato lo pregano in ginocchio di restituire la vita al fanciullo, ma Gesù non si ripete, e dopo averli maledetti per la loro poca fede, scappa.
A san Vincenzo Ferrer, domenicano di Valencia, gli storici cattolici attribuiscono un simile miracolo. Ferrer era convinto di essere l’Angelo annunciato dal capitolo XIV dell’Apocalisse: spettava quindi a lui il compito di divulgare il Vangelo a tutte le nazioni e di annunziare l’approssimarsi del Giudizio Universale. Un giorno, a Salamanca, prese a indottrinar la folla esclamando: “Proprio io sono l’Angelo veduto da San Giovanni!”. In quel momento, a poca distanza, stava transitando il corteo funebre di una donna che veniva condotta al cimitero. Esaltato da quella coincidenza, il dominicano arrestò la processione, trasse la defunta dalla bara con un perentorio ordine d’alzarsi, e le impose di confermare a voce alta se egli fosse o no l’Angelo dell’Apocalisse. La morta, improvvisamente rediviva, si drizzò su a proclamare che sì, egli era proprio quell’Angelo; poi ritornò cadavere.
Questo episodio ristabilisce un principio che abbiamo già visto all’opera nell’aneddoto di sant’Antonio citato da Sciascia, e negli Apocrifi, protagonista Gesù Bambino: lo sfruttamento dell’Autorità dei Morti.
Le leggende dimostrano che i Santi indulgono volentieri a “colpi di genio” come questi. Leggiamo nelle Opere Spirituali di Segala da Salò, che Stanislao Vescovo era proprietario di un podere, e che l’aveva acquistato da un uomo chiamato Pietro, pagando interamente il prezzo pattuito per quel campo. Il tempo passò, e il Santo fu accusato con malizia dal suo acerrimo nemico, il conte Boleslau, di non aver mai estinto il suo debito. L’unico che poteva scagionarlo era Pietro, l’antico proprietario, che però risultava morto da tre anni. Senza lasciarsi dominare dal panico o dallo sconforto, Stanislao andò al cimitero, trasse dalla tomba Pietro, lo rivitalizzò, e lo condusse davanti al sovrano. Il defunto ammise che aveva avuto tutto il denaro concordato per la compravendita. Il vescovo allora lo riaccompagnò alla tomba e Pietro vi si infilò dentro, ben contento, come disse, di tornarsene in Purgatorio piuttosto che restare tra quei pazzi truffaldini dei “viventi”.
Il morto, è “incorruttibile” per definizione, tanto più se la corruzione della carne sua, è evidente. Un Defunto non può avere secondi fini, perché dalla menzogna non trarrà alcun vantaggio, nei Regni Ultraterreni che l’accolgono. Per un cristiano, chi è Morto non può mentire, una volta evocato, perché adesso si trova nella Verità. È indispensabile, però, che la sua Testimonianza sia breve: un monosillabo, quanto basta a rassicurare i Santi. Sia Antonio, sia il Vescovo, sia Vincenzo Ferrer, a scanso di equivoci, evitando ogni sospetto di favoritismo, riconsegnano i loro Testimoni subito all’Aldilà. Senza controinterrogatorio.
L’aneddoto di Vincenzo Ferrer però, scuote all’improvviso la nostre certezze, in questo senso: perché, dell’innocenza del piccolo Cristo, di Stanislao, e del padre del Santo di Lisbona, chi può dubitare? – invece, che ci sia stata, alcuni secoli fa, l’Apocalisse preannunciata dall’Angelo Ferrer, chi può dirsi altrettanto sicuro?
Possibile che la morta abbia “mentito” al missionario e al popolo?
Possibile. I Defunti non sono solo pudichi. In genere, a parte pochissime eccezioni, sono anche riconoscenti a chi li fa rivivere, fosse solo per un attimo. Di qui deriva una certa loro propensione alla piaggeria.
I Morti – lo sapevano gli antichi – si lasciano suggestionare. Anzi, la differenza tra una cultura cattolica e una pagana, va notata anche in questo: quando i Santi o Gesù rianimano un deceduto e lo interrogano su un fatto preciso, tutti credono alla versione del cadavere; quando lo stesso episodio accade nell’Asinus Aureus di Apuleio, la folla si permette di deridere quello che il Morto rianimato afferma pubblicamente; e molti, tra la plebe, non gli prestano fede: “Populus æstuat, diversa tendentes, […] alii mendacio cadaveris fidem non habendam”…
[dalla Fantaenciclopedia]
[in copertina: Miracolo di Sant’Antonio, di Francesco di Stefano Pesellino]