Santa Lucia era una giovane e ricca siracusana, già fidanzata ad un suo concittadino che poi, respinto, la denunciò ai magistrati pagani come cristiana. Perciò conobbe il martirio, sotto l’imperatore Diocleziano. Non è affatto certo che le siano stati strappati gli occhi: si dice anche che se li cavò da sé, per respingere un suo troppo assiduo pretendente, al quale li presentò sopra un vassoio. Nell’iconografia tradizionale, prevalse però da subito il significato “esoterico” collegato al suo nome, che contiene la parola “Luce”. Lucia è divenuta nel tempo “segno e promessa di luce, sia questa la luce materiale che apre gli occhi degli uomini sulle cose create, sia la luce splendente dalla lampada delle vergini sagge, sia, nei paesi dal lungo inverno, il luminoso annuncio della fine delle tenebre invernali”. Così si esprime la Bibliotheca Sanctorum.
I- Vampirismo Oculare
“C’era qualcosa che mi succhiava la mente attraverso gli occhi”, dichiara (lo riferisce Wilcock in Fatti Inquietanti) un ragazzo cui è stata artificialmente indotta una grave depressione.
La vista dunque ridà, restituisce: ce ne stupiamo, noi che siamo sicuri che l’osservazione vada solo in un senso, dalle cose a noi, alla nostra mente. Invece, improvvisamente, gli occhi del depresso funzionano in senso inverso. Il cervello non cola dal naso e dalle orecchie: è attraverso gli occhi, che lo si rende, svuotandolo attraverso questi due rubinetti aperti. Quando il nostro sguardo si fissa sul vuoto, sul niente, noi tutti, sani e tarati, siamo accostumati a quest’opera igienica di pulizia. Il vuoto che vediamo dinanzi è il vuoto che stiamo facendo dentro di noi, non appartiene al paesaggio, a un muro, a un libro: rimettiamo le immagini indesiderate, senza “rivederle”; vomitiamo i pensieri insulsi, attraverso gli occhi.
In questo caso il sonnambulismo emetico è nostro, ci appartiene, come valvola naturale. È una “disinfestazione” dalle paure e dalle idee fisse che ci è semplicemente indispensabile – ed è questo forse il motivo per cui nel sogno vogliamo tenere gli occhi aperti, e nel sonno no. Il depresso ha invece l’impressione che il suo corpo sia controllato da altre potenze, che vampirescamente gli succhiano la “vita” della mente.
In queste “andate e ritorni” lo sguardo potrebbe essere un’inattesa fonte di energia. La Veggente di Prevost, sosteneva di attingere “maggior forza dagli occhi degli uomini vigorosi”.
Il fenomeno, riscontrato in altri sensitivi, secondo il medico e scrittore Justinus Kerner viene per solito indicato dagli esperti con il nome di “vampirismo medianico”.
II- Palpebre (o: “Le piccole Notti”)
“Passiamo i due terzi della nostra vita nella notte; poiché cessiamo di vedere tutte le volte che chiudiamo le palpebre; e quante mai volte ci succede?”: – cito questa perspicace osservazione da Diderot (Frammenti al Sogno di D’Alembert). Ed è, naturalmente, vera.
Noi non ci accorgiamo neppure di queste “piccole notti”, in cui siamo rigorosamente al buio, in virtù d’una contrazione delle palpebre. È un battito “invisibile” due volte: perché non lo vediamo agire (infatti non vediamo nulla, tranne il buio), e perché troppo frequente per farci caso: come certi fatti, o certe creature – ne parlano Poe e Chesterton – che in quanto troppo abituali non destano più la nostra attenzione. In questo caso, però, le palpebre scompaiono alla nostra vista non perché sono continuamente “sotto” i nostri occhi, ma, continuamente, sopra.
Nel parere di Borges, H.G. Wells fu il primo, e forse l’unico, a notare che un uomo invisibile avrebbe avuto problemi colossali con la sua stessa Vista. Per esempio: immaginò che le palpebre di quest’essere prodigioso, divenute anch’esse trasparenti, avrebbero fatto filtrare la luce; per cui sarebbe stato travagliato nei suoi sonni, condannato com’era a dormire, sempre, ad “occhi aperti”. L’Uomo Invisibile, come la nottola di Minerva, deve muoversi di sera: senza la protezione d’una pellicola di pelle sugli occhi, che funga da serranda, la luce accecante del sole può abbacinarlo.
È il castigo d’una totale Nudità creaturale: senza la quale, non si può essere invisibili.
III- Taglioni
La “Legge del Taglione”, per eccellenza, sembra quella prescritta e istituita in Esodo, XXI, 24: “Occhio per Occhio”. Ma l’apparenza inganna.
Gli interpreti più acuti della Torah rifiutarono sdegnati la lettura letterale di quel passo. Come ricorda, appunto, lo studioso del Talmud Abraham Cohen:
«La Ghemara discute il significato della lex talionis ordinata dalla Scrittura. I Dottori respingevano energicamente la teoria per cui l’autore di una mutilazione dovrebbe subire come pena una mutilazione identica, sostenendo potersi pretendere dall’offensore solo un compenso pecuniario. “Occhio per occhio” significa pagamento di denaro».
Da cosa si evince che non di fisiologia o chirurgia, parla l’Altissimo, ma di pecunia? Intanto dalla Logica, poi da altri passi della Scrittura.
“Supponendo”, infatti, «che l’occhio dell’uno sia grande e l’occhio dell’altro piccolo, come si può applicare la sanzione della Scrittura “Occhio per Occhio”? […] Supponendo che un cieco abbia levato un occhio a un altro, o che un monco abbia mozzato il braccio ad un altro, o che lo storpio abbia storpiato un altro, come posso in tal caso applicare “Occhio per Occhio”?. Mentre la Torah dichiara: “Avrete una sola legge” (Levitico, XXIV, 22), una legge, cioè, eguale per tutti».
Ne consegue – spiega Cohen – che se la Legge non può “applicarsi sempre alla lettera”, e se essa deve restare, come affermato dalla stessa Scrittura, una e sola, le parole di Esodo, “Occhio per Occhio”, “devono avere un altro significato, applicabile in ogni caso, come il compenso in moneta”: ciò vale a dire, il valore dell’Occhio sottratto o accecato per il suo controvalore di Occhio “sano”.
L’ingenuo che domandasse: “ma quanto costa, un occhio della testa?”, non s’è mai avventurato, evidentemente, nel labirinto delle Assicurazioni.
Chi frequenta questo “ramo” d’umana attività, si avvede presto che non esiste nulla di incommensurabile, e nulla nel corpo umano che non si possa pagare in moneta sonante.
Persino i corsari avevano un’assicurazione per gli incidenti sul loro lavoro di razziatori.
Nel “Codice” dei filibustieri della Tortuga, il corsaro che, in azione, perdeva un occhio, veniva risarcito con uno schiavo, o cento piastre. Lo stesso controvalore otteneva per la perdita di un dito.
Questo famoso campionario si trova ribadito nella Storia della Pirateria di Philip Gosse: il quale giustamente fa notare che, mentre la perdita di un occhio veniva pagata tra i predoni del mare quanto quella di un dito, le assicurazioni, ai suoi tempi, valutavano un dito circa la metà di un occhio.
[in copertina: Santa Lucia, di Francesco del Cossa (1473-74), National Gallery of Art, Washington (particolare)]