Alla fine del Settecento, il celebre Wolfgang von Kempelen spese numerosi anni della sua vita nella costruzione di un congegno meccanico, alimentato da un mantice, che fosse in grado di articolare alcune parole. Costruì una prima macchina che, però, “farfugliava troppo”. Tra il 1781 e il 1790 la migliorò: alla fine, emetteva “una voce simile a quella di un bambino di tre o quattro anni”.
Un giornalista tedesco, nel 1782, udì la testa parlare in quattro lingue diverse, compreso il latino. Scrisse: “il tono è gradevole, però pronuncia la erre all’italiana”. Una delle frasi che biascicava era: “Aimez-moi! Madame, venez avec moi à Paris!”. Mostruosità come queste, create a bella posta per i baracconi da fiera, non sono infatti mai esenti da una certa imbavosita galanteria.
La “testa parlante” doveva accompagnare nelle sue tournèe il “Turco giocatore di scacchi”, uno dei più famosi automi della storia, altra creazione del consigliere Kempelen. L’ingegnere, purtroppo, non riuscì mai a innestare i princìpi e i congegni della sua “testa” miracolosa nella fisionomia del Turco, che rimase muto e grifagno per tutta la sua esistenza.
L’automa scacchista, drappeggiato all’orientale, in compenso “sapeva scrivere”, in più di una lingua, grazie a un pantografo azionato misteriosamente. Anche in questo caso, la “conversazione” con gli spettatori verteva sugli argomenti più futili. Al termine di una o più partite – di solito vinte facilmente dalla macchina – la scacchiera veniva sostituita con numeri e lettere dell’alfabeto e, come in una seduta spiritica con la tavola “Oui-Ja” (di cui l’automa fu sicuramente il precursore), il Turco rispondeva alle domande del pubblico. Secondo i matematici Hindeburg e Ebert, le interviste vertevano di solito sulla “vita sentimentale” dell’automa e sulle bellezze muliebri e architettoniche della città che ospitava lo spettacolo. Potrebbe accadere anche oggi: le star di tutti i tempi, umane o no, hanno sempre attirato le domande più insulse e banali dei giornalisti. Comunque, Ebert ci informa che le repliche dell’uomo meccanico erano “oltremodo educate e assai garbate”. Non risulta che il nostro Turco si sbilanciasse a prevedere il futuro o ricorresse a oroscopi. Non c’era bisogno. Era già considerato una meraviglia così com’era, e riempiva i teatri.
Hoffmann, in una sua fantasia, chiaramente ispirata al diabolico scacchista (“L’Automa”, racconto contenuto ne I Confratelli di San Serapione), ne mutò il sesso, e ne fece una “bambola viva”, vestita all’ottomana, che parla (esaudendo così il sogno di von Kempelen), e profetizza (realizzando quelli di Bacone e Alberto Magno).
Nonostante i suoi modi forbiti, l’automa non ebbe vita facile: a Ratisbona il professor Johann Philipp Ostertag, argomentò in un opuscolo ricco di citazioni filosofiche e scritturali, che nel Turco operavano “forze occulte”. Aveva ragione, ma in senso molto poco metafisico.
Occultato nel piedistallo metallico dell’Automa, c’era un nano che possedeva due notevoli qualità: non era claustrofobico ed era un imbattibile campione di scacchi. Un sistema di specchi e di semplici leve azionate a mano gli permetteva di scrivere, giocare, e vincere le partite.
Prima dell’esibizione, Kempelen apriva abilmente e in successione tutti gli sportelli del baldacchino su cui poggiava il busto del Turco, mentre il vero e lillipuziano scacchista, alloggiato all’interno, sfruttando l’agilità e la bassa statura passava da una parte all’altra –, riuscendo sempre, in questo modo, a celarsi allo sguardo curioso del pubblico.
Il più famoso tra gli Automi, non era nemmeno un Automa. Tutt’al più, una grande marionetta truffaldina.
Il Turco, per terminare, fu poi acquistato da Johann Nepomuk Maelzel, il discusso possessore del brevetto del Metronomo, l’ingegnere che aveva anche progettato due apparecchi acustici per mitigare la sordità di Beethoven. È al seguito di questo avventuriero privo di scrupoli che lo vide, e lo sbugiardò definitivamente, Edgar Allan Poe.
Edgar Allan Poe già conosceva, probabilmente, le proteste degli scettici: Friedrich zu Radnitz, nel 1789, aveva cercato di dimostrare che dentro i meccanismi del Turco era nascosto un omarino. Da parte sua, il Dictionnaire de Physique dell’Encyclopédie Méthodique nel 1793 opinò che von Kempelen non influenzava il Turco “magneticamente”, ma si serviva d’un “compare” che, dall’interno, riusciva a vedere le mosse dell’avversario. Ma il metodo che utilizzò Poe per smascherare la truffa fu il più originale, e scrivendo Il giocatore di Scacchi di Maelzel vestì lui stesso i panni del suo investigatore immaginario, Auguste Dupin.
Va pure detto, che le perplessità mostrate, tra Sette e Ottocento, da molti scienziati sulle reali capacità “ludiche” e “meccaniche” del Turco, nascevano da un pregiudizio: che una macchina, per essenza sciocca e ripetitiva, non avrebbe mai saputo giocare a scacchi come un uomo o come una donna. Nel XX secolo, però, le macchine scacchiste battevano regolarmente i Maestri e una di loro (“Deep Blue”, versione seconda) sfidò il Campione del Mondo, Garri Kasparov, sconfiggendolo.
Non posso non citare infine, al termine di questa nota, che il Turco di von Kempelen fu rievocato dal filosofo Walter Benjamin nelle sue “Tesi di Filosofia della Storia” all’interno d’una illuminante analogia: «Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la vittoria […]. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli scacchi, e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può immaginare nella filosofia. Vincere sempre deve il fantoccio chiamato “materialismo storico”. Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno»,
[dalla Fantaenciclopedia]