I- La fortuna di Nostradamus è legata all’Oscurità. Egli parlava davvero per enigmi. Se ne vantava, persino. Nell’Epistola che compare nel secondo volume delle Profezie (1558), così si rivolge “à l’Invictissime, Tres-Puissant et Tres-Chrestien, Henry Second, Roy du France”: “…e pertanto, o umanissimo re, la maggior parte delle mie quartine profetiche sono così scabrose, che nessuno saprebbe aprirsi in esse una via, né tantomeno interpretarle”. L’accorto indovino programmaticamente avvolgeva le sue predizioni in uno stentoreo alone di mistero, in modo che comunque le sue profezie si avverassero. Nessuno ha potuto cambiare il Futuro che lui ha previsto, perché nessuno ha mai avuto la Chiave per decifrare le sue sfuggenti “Centurie”. A cominciare dallo stesso Enrico Secondo, re di Francia, che una quartina dell’indovino aveva già condannato a prematura morte, a causa d’un infausto duello.
Talvolta, pare più interessante il metodo utilizzato dagli interpreti volenterosi di Nostradamus, che non analizzare le procedure messe in atto dal Profeta stesso, per ottenere una corretta predizione. Di solito i commentatori, soprattutto i più fanatici, presa in esame una sua quartina, credono che poi spetti allo storico spiegare quando è successo quello che è stato esattamente previsto dal Veggente. Infatti, chi ha in simpatia le sue Centurie, è pronto a giurare che, lui, non ha mai sbagliato neanche una previsione. Solo, dovevamo aspettare che fossero gli eventi stessi, una volta esauriti i loro effetti, a spiegarcelo.
II- Molti intelletti, molti uomini colti e avveduti hanno preso sul serio Nostradamus. Anche i sapienti che si sono dilettati con le sue Predizioni come in un gioco enigmistico – cito tra tutti, Georges Dumézil – l’hanno accreditato di misteriose doti profetiche. “Tratta Nostradamus come un autore serio” –: è questo l’invito che rivolge al grande storico delle religioni il suo fittizio maestro Espopondie –, “costruisci il suo lessico e spiegalo attraverso il suo stesso linguaggio”.
Dumézil affrontò Nostradamus con un metodo che ricorda e ricalca quello dei grandi investigatori dell’Archeologia (Champollion), dell’Arte o del Crimine, oppure dei grandi Semiologi (Poe, Morelli, Peirce): “per occuparsi attentamente di una quartina”, è necessario – scrive lo storico delle religioni –, “che essa contenga almeno un nome proprio raro, o l’equivalente”. Allora non c’è dubbio. Il più famoso dei “nomi rari” che compaiono nelle Centurie è: Varennes-en-Argonne. È a questa cittadina francese dalla fama poco invidiabile e pressoché disabitata (oggi non conta neppure 700 abitatori) che George Dumézil ha dedicato un’intera e ben congegnata “Sotie” pubblicata nel 1984, “…Il monaco nero in grigio dentro Varennes”. Lo studio prende spunto dalla tenebrosa Quartina IX, 20:
“De nuict viendra par la forest de Reines
Deux pars voltorte, herne la pierre blanche,
Le moine noir en gris dedans Varennes
Esleu cap. Cause tempeste, feu, sang, tranche ».
Ossia:
“Di notte verrà attraverso la foresta di Regine
Due passi valtorta, herne [parola sconosciuta o neologismo] la pietra bianca,
Il monaco nero in grigio dentro Varennes
Eletto cap(o) Causa tempesta, fuoco, sangue, trancia…”.
Per chi fosse a digiuno di storia, Varennes è il luogo in cui il 21 giugno 1791 fu arrestato – durante la fuga verso le piazzeforti fedeli alla monarchia –, il re Luigi XVI con Maria Antonietta e i figli. Un evento decisivo della Rivoluzione francese.
Una volta esercitato il loro spirito “abduttivo” irrefrenabile, i commentatori e ammiratori di Nostradamus si sono sempre stupiti della sorprendente “esattezza” delle sue predizioni. Persino per il colto e raffinato Dumézil, il nostro Profeta era dunque a conoscenza di sfumature storiche inessenziali ed esili dettagli d’ogni accadimento, talmente sottili che potevano restare un mistero anche per i protagonisti. Luigi XVI si sarebbe mai definito, prima o dopo il suo arresto, “il monaco nero in grigio dentro Varennes”?
“Monaco grigio” – “Moine gris o Moine bourru – era il nome che si dava a Parigi a un demone malvagio che infestava le strade di notte, e torceva il collo a chi gli capitava a tiro. Potrebbe darsi, dunque, che Nostradamus si riferisse a un’apparizione come questa, piuttosto che al Re. Ma, proprio applicando questo metodo di indagine, scopriamo subito, a nostre spese, che non è possibile criticare le Centurie, e men che meno accusare il Veggente di fallacia, se non di mistificazione volontaria. Denunciare gli eventuali “errori” di Nostradamus, infatti, è un controsenso. Quand’anche si stabilisse che la quartina di Varennes non parla della fuga di Luigi Sedici, ne conseguirebbe solo che i versi si riferiscono ad altri eventi – accaduti o futuri – ancora in attesa d’esser decifrati, e mai e poi mai a fatti inesistenti. Il nostro Profeta, dunque, è condannato ad aver sempre ragione.
Spiega, ancora, il suo ammiratore Ovason: Nostradamus “scrisse predizioni che erano del tutto incomprensibili prima che gli eventi si verificassero”.
La maggior parte, però, rimasero tali, indecifrabili, anche dopo.
Si ha l’impressione, leggendo il Futuro com’è apparso a Nostradamus, che i veri Indovini siamo noi, i suoi Posteri. Che “interpretare” le sue Centurie, sia come “divinarle”. E, infine, che non sia meno difficile comprendere quel nostro Passato, così raccontato, che non prevedere l’avvenire che ci resta, di bel nuovo.
Tuttavia, per chi si appassiona all’argomento “Preveggenza”, resta da comprendere fino a che punto l’oscurità di Nostradamus dipenda dalla sua astuzia di divulgatore, e quanto invece dipenda dalla natura stessa di ciò che ha scelto di trattare.
Newton credeva per esempio che il “Linguaggio dei Profeti” fosse una lingua a parte, autonoma da quelle che conosciamo, ma composta da regole grammaticali come quelle volgari delle Nazioni. Fece il tentativo di decifrarla. Essendo una lingua tra le altre, la “Profezia” o “Profetica” andava imparata, ma mai tradotta: Newton riteneva cioè deleterio interpretare le frasi profetiche come se nascondessero un significato solo ipotizzabile o pieghevole alle stesse proprie immaginazioni. Lo scienziato trovò, nell’Apocalisse, “l’intera storia degli imperatori e dei Turchi, fino alla presa di Costantinopoli nel 1453”; secondo il grande genio, almeno quando scrisse i suoi Opuscola (vedi il III tomo, p. 447) mai pubblicati in vita, Dio seminava profezie nei Suoi Libri non perché gli uomini le usassero per la preveggenza delle cose, ma perché, a fatti accaduti, vi riconoscessero la provvidenza divina.
Ma, anche in questo caso: qual era il vero scopo di Nostradamus? Certo non si sentiva investito d’una missione divina paragonabile a quella che le Scritture affidano ai Profeti.
Anzi, in un certo senso è proprio la “Laicità” di fondo delle sue quartine, che ci colpisce. Le Centurie del Mago, non vanno considerate come l’ultimo sussulto del recente passato, medievale e superstizioso, ma invece come il prototipo d’una mentalità “fantastica” ancora in fieri, che cerca di secolarizzarsi, e si impegna, sia pure in un groviglio di contraddizioni, di trovare una “regola” al caso, e al regime del Caos, aprendo il suo sguardo su un’Altra Dimensione.
Nostradamus era, credo, più interessato a esibire presso il grande pubblico il suo “metodo” inimitabile, e “veridico” di avvicinare il Futuro, che non a venir considerato un nuovo Savonarola o Giacchino da Fiore. Si presentava come medico e scienziato “illuminato”, in possesso di conoscenze esclusive: e questo ha decretato il suo successo. Anche se poi la luce che gettava sull’Avvenire era piuttosto una “Luce di Tenebra”.
[CONTINUA IL 23 GIUGNO]
[in copertina: Ritorno sotto scorta a Parigi di Luigi XVI e famiglia, dopo l’arresto (stampa popolare)]