I- Lord Monboddo (1714-1799), giudice scozzese, considerato un precursore dell’Evoluzionismo, era convinto che l’Orang-outan fosse un “uomo naturale”. Egli esibiva come prova, tra l’altro, il fatto che questa grossa scimmia possedesse quel che riteneva “essenziale al genere umano, cioè un senso dello humour, per cui, quando è ammesso a far parte della compagnia degli uomini civilizzati, si comporta con dignità e compostezza”. In effetti è solo un certo esercizio di humour che in molte occasioni – ad esempio quando siamo introdotti nella mondanità (dove abbondano i cretini) –, ci trattiene dall’uscire dai gangheri o attaccare immediatamente e scurrilmente briga.
Il delicato Lord Monboddo, era anche sicuro che “gli oranghi potessero imparare a suonare il flauto”, altra facoltà che avrebbe spalancato agli “Uomini dei Boschi” le porte dei salotti. Probabilmente lo ispirò la somiglianza tra questi primati pelosi e le descrizioni antiche dei satiri e dei sileni – musicisti bucolici, nei miti.
Mi pare che Goethe fosse dello stesso parere del giudice (suo, in parte, contemporaneo) – quando disse: “se le Scimmie potessero arrivare a provare la noia, potrebbero diventare uomini”. In effetti, come ci si annoia stando in Società, non ci si annoia da nessun’altra parte.
In un racconto di Kafka (“Una relazione per l’Accademia”, pubblicato nel 1917), compare una Grande Scimmia “parlante”, forse Gorilla, forse Orango. Catturata in Africa, e posta di fronte al bivio etico, se finire in una gabbia dello Zoo, o darsi al “Music Hall”, la scimmia decide di consegnarsi alla mondanità, bruciando in poco tempo e “£”al galoppo” l’intero percorso di milioni d’anni dell’Evoluzione delle specie. Tanta loquacità, e tanta determinazione nel diventare Uomo, costituiscono però un’eccezione.
II- Si opina generalmente che l’ostacolo maggiore che le grandi Scimmie incontrano, al momento di debuttare in società, sia la loro congenita idiosincrasia a adoperare il linguaggio umano, cioè, la loro incapacità di parlare per limitazione fisica. C’è però da considerare la credenza, abbastanza diffusa in tutti i popoli, che i Primati non parlerebbero unicamente per pigrizia, o per farsi i fatti propri, per reciproco giuramento o per fedeltà a una congiura. Le Scimmie, insomma, tacerebbero volontariamente.
Avverte il Livre des Bizarres, curato da Guy Bechtel e Jean-Claude Carrière: «Giuseppe Bernardi, medico italiano del XVI secolo, scoprì che tutte le razze di scimmie si giovavano della facoltà della parola, “ma che erano molto gelose di custodire il segreto di questo dono”». Secondo Heinrich Heine, “i negri del Senegal assicurano risolutamente che le scimmie sono esseri umani come noi, ma più intelligenti, perché si astengono dal parlare per non essere riconosciute come esseri umani e costrette a lavorare”; per cui con scaltrezza si ingegnano di mostrarsi deficienti e antigieniche, per non “essere sfruttate come lo siamo noi altri”.
Borges ha riproposto in modo esemplarmente sintetico, impadronendosene, questo argomento di Heine: “è fama tra gli Etiopi che le Scimmie non parlino di proposito, per non essere obbligate a lavorare”.
Le grandi scimmie tacciono, probabilmente, per evitare anche altri generi di arruolamento. Denis Diderot riferisce che il cardinale Polignac avrebbe detto a un Orango – tenuto in gabbia a Parigi: “Parla, e io ti battezzo!”.
III- Nel 1817 un seguace di Lord Monboddo, Thomas Love Peacock (poi autore dell’Abbazia degli Incubi) pubblicò un romanzo, Melincourt, nel quale immaginò l’esistenza di un “Sir Oran Haut-ton”, dotato di altissimi principi morali, che viene candidato al Parlamento, benché privo di favella.
Trascorsero appena ventiquattro anni e questa creatura così apprezzata fino allora nella letteratura, l’Uomo dei Boschi, smarrì ogni tratto distintivo d’humour, civiltà, riservatezza, perse l’innocenza e l’ascendenza mitologica e si macchiò d’un duplice orrido omicidio. Nel 1841, il grande Edgar Allan Poe fece di un Orango il protagonista – occulto e negativo – dei Delitti della Rue Morgue: pare, sulla scorta d’un fatto accaduto veramente. Si ritiene che con quel racconto Poe abbia fondato il genere poliziesco: però è abbastanza strano, che il primo assassino scoperto dal primo detective nella storia del mystery non sia né uomo né donna, ma una Grande Scimmia. Fino all’essere umano, potevano arrivare le polizie. ma per smascherare un Orango come autore d’un crimine efferato, ci volle il fine e “logico” Auguste Dupin, al suo debutto.
III- Cito infine un episodio che trovo riferito in Sober Truth.
Durante la Campagna di Malborough contro i Francesi, “una Grande Scimmia, la prima del suo genere mai arrivata in Inghilterra”, fuggì dalla gabbia e riparò in una contrada remota. “Catturata e interrogata da una Corte Marziale, i suoi ululati furono interpretati come parole francesi e, condannata per spionaggio, fu appesa alla forca”.
L’aneddoto, tra l’altro, scagiona definitivamente Edgar Allan Poe dalle accuse di scarsa credibilità subite per il suo racconto I Delitti della rue Morgue, dove per l’appunto i ruggiti di un invisibile Orango assassino armato di rasoio vengono scambiati per espressioni italiane, tedesche, o francesi – ma solo da stranieri che non conoscono quelle lingue.
Più che difendere quel genio del Fantastico, però, c’è altro che ci interessa mettere in luce: e cioè che neppure in campo processuale ci sono limiti, invalicabili, per la “bestialità” umana.
[in copertina: Un Orango assassino strangola un cacciatore del Borneo, gruppo marmoreo di Emmanuel Fremiet (1895)]