Oggi, 29 novembre, è il giorno dedicato al sostegno del Popolo Palestinese. La ricorrenza coincide [anche] quest’anno con fatti straordinari, atroci, che dovrebbero indurre tutti a riflettere. Non è un’impresa facile. Somiglia a un esame di coscienza: anzi, lo è. Per orientarci, possiamo forse chiedere soccorso anche a quel libriccino denso e importantissimo che è I cani del Sinai, opera di Franco Fortini, poeta ebreo, scomparso nel 1994. Trattava della “guerra dei sei giorni” scatenata nel 1967, e di come e se prender posizione rispetto agli eventi e agli schieramenti che si erano fronteggiati appena qualche mese prima: da una parte, il mondo arabo, rappresentato da Egitto, Siria e Giordania, e dall’altra, Israele, che sferrò l’offensiva per primo e a sorpresa.
Dal 7 ottobre 2023, data dell’attacco terroristico di Hamas a Israele, è in corso, in quella stessa aerea del Pianeta, un nuovo conflitto, che agita parole d’ordine inneggianti al reciproco sterminio. Un vero orrore che viene interrotto, a essere ottimisti, solo con ipotesi di tregua, e non con una lungimirante politica di pace. Che forse nessuno vuole veramente, potenze mondiali comprese. La rappresaglia israeliana non intende fermarsi di fronte a nessuna vittima civile; il conteggio delle perdite inflitte al nemico assume, nell’opinione pubblica d’entrambi gli schieramenti, il ruolo arbitro di legittimazione di ogni atrocità. E non bisogna tacerne nessuna, perché farlo non avrebbe altro scopo che ottundere il nostro metro di giudizio.
Nessuno può nascondere che oggi, l’appello che viene rivolto alle coscienze e (troppo spesso) ai visceri di chi è lontano dall’attuale teatro di battaglia, sia quello, ancora una volta, di: schierarsi. Anche a chi ripudia le violenze, gli stupri e le carneficine di Hamas, viene chiesto di pronunciarsi in modo ultimativo contro i Palestinesi, come popolo, come musulmani. A tutti viene imposto di scegliere una parte, decidendo che è quella più giusta. Da quel momento, ogni capacità critica dovrebbe decadere. Dovremmo diventare “fan”. Ma è così che va affrontata la questione?
Durante e dopo la “guerra dei sei giorni” (5-10 giugno 1967), da più parti fu chiesto al poeta, saggista e scrittore marxista Franco Fortini di pronunciarsi e di schierarsi senza tentennamenti a favore di Israele. Fortini, il cui vero nome era Franco Lattes, era ebreo, e se, in tempo di guerra, non fosse scappato in Svizzera, sarebbe stato sicuramente sterminato nei lager nazisti. I comunisti dal canto loro, volevano che lui appoggiasse la causa palestinese, sostenuta dal blocco sovietico. Il poeta, però, non si schierò. Pochi mesi dopo la fine del conflitto, pubblicò I cani del Sinai nel quale ribadì la propria posizione:
«Fare “il cane del Sinai”» – scrive Fortini – «pare sia stata locuzione dialettale dei Nomadi che un tempo percorsero il deserto altipiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Il suo significato oscilla tra “correre in aiuto del vincitore”, “stare dalla parte dei padroni”, “esibire nobili sentimenti”. Sul Sinai non ci sono cani […].
Mai come nella crisi di giugno ho sperimentato l’identità raggiunta di involucro e di contenuto, di significati primi e di significati secondi. Tutto questo vuol persuaderci di una cosa sola: “non esiste nessuna prospettiva, non c’è nessuna scala di precedenze. Tu devi ora partecipare di questa passione fittizia come hai già fatto con altre passioni apparenti. Non devi avere il tempo di sostare. Devi prepararti a dimenticare tutto e presto. Devi disporti a non essere e a non volere nulla” […].
Al fondo c’è una sola dura feroce notizia: “Voi non siete dove accade quel che decide del vostro destino. Voi non avete destino. Voi non avete e non siete. In cambio della realtà v’è stata data una apparenza perfetta, una vita ben imitata. Così ben distratti dalla vostra morte da godere una sorta di immortalità. La recitazione della vita non avrà mai fine, felici” […].
Mi si vuole “schedare”? Queste pagine sono la mia scheda».
Segue un’autobiografia, tormentata, direi quasi: sbigottita di “mettersi in gioco” anche come persona. Ma soprattutto quel che guida Fortini nel rifiuto di schierarsi dipende dalla certezza che il conflitto arabo-israeliano non sia altro che una variazione storica, una declinazione della Lotta di Classe, diventata già quasi invisibile ai suoi tempi (e definitivamente scomparsa dai radar, nel nostro): “la pressione del totalitarismo oggettivo del sistema industriale crea in sostituzione della lotta delle classi la lotta – retrograda perché fittizia – di ogni sottogruppo contro ogni altro, l’odio di tutti contro tutti“.
Questa notazione, probabilmente, non coincide affatto colla percezione che ognuno di noi ha del conflitto in corso; ma: come negarle invece una capacità di preveggenza (nel ’67), un’aderenza sorprendente a quello che accade intorno a noi, da anni, in Occidente?
La cultura ebraica pretendeva da Fortini un pronunciamento decisivo e partigiano per Israele: evocando – e come possiamo fare finta che non sia mai successo, noi moderni? – l’esperienza devastatrice dell’Olocausto, a difesa delle ragioni e dei diritti di quel Paese. Ma – insiste il poeta, che è parte in causa, per le sue origini – non possiamo dimenticare gli altri, spogliati e martoriati da secoli di oppressione colonialista, i figli e nipoti degli schiavi: quelli hanno pure qualche diritto.
Tuttavia, «anche una separazione ed una gerarchia fra gli uomini fondata solo sulle loro eredità storiche può condurre ad aberrazioni razziste.
Gli uomini, i gruppi, i popoli non sono uguali; ma non sono diversi solo perché il loro passato è diverso e perché diversamente li determina. Non sono, non devono, non possono essere uguali, Anzi debbono essere, sono costretti ad essere, diversi, perché qui e ora agiscono diversamente, perché diversamente si collocano nel complesso delle forze storiche, nella simultaneità del mondo. Il loro passato li ha collocati dove sono: ma è il futuro a farli muovere. E sono diversi rispetto a te perché coinvolgono, con il loro agire nel presente, la tua diversità, il tuo agire. “Non mi interessa che cosa è stato fatto all’uomo, ma che cosa egli fa di quel che è stato fatto di lui” (Sartre)».
Quasi sessant’anni dopo l’uscita de I cani del Sinai, riesce difficile seguire fino in fondo, e persino comprenderla, la “provocazione” insita in quel libro. Abbiamo assistito alla fine miseranda del “Socialismo Reale”, con la conseguente lacerazione, per tutti quelli che hanno creduto in certi valori, del sudario magico che celava gli abusi, le torture, le mattanze perpetrate in nome, o in tradimento, di un’Ideologia che doveva dar voce e sostanza alle lotte degli Oppressi, e metterli in grado di guidare il mondo. Non è possibile, a quanto pare, nessun ottimismo politico o “sociale” sulle sorti del Pianeta, da quando sembra che gli Oppressi non solo non vogliano affatto redimere il mondo al posto di noi privilegiati (e sedare quindi i nostri atavici complessi di colpa), ma, pare, vogliono proprio essere come noi. Questo è il senso, credo, della “lotta di tutti contro tutti”, di cui parla Fortini.
Dobbiamo però giudicare gli Uomini e gli eventi, dal punto di vista del Futuro, non del Passato: allora perché non accogliere l’invito del poeta a non schierarsi pedissequamente e a ogni costo, sotto la pressione di entità che trovano il loro tornaconto a rivelarci, di quel che succede, solo ciò che va a loro vantaggio? Cerchiamo invece, tutti, uno spazio di discussione che ci dia il tempo di sostare, di riflettere, di non abdicare ai diritti della Ragione. Di non dimenticare tutto e presto. Di non “incolonnarci”. Battiamoci, fin dove è possibile, anche contro le Apparenze, contro l’odio reciproco, le faide su scala planetaria, e anche, perché no?, contro il Destino.
Già è difficile chiamare quella in atto: “guerra”, perché non si scontrano le armate di due paesi, in quanto non ne esiste che uno solo (tragica miopia). Ma poi, alla fine, sarà difficile individuarne il vincitore, che comunque sventolerà la sua bandiera su un cumulo di morti straziati e innocenti. Dovrebbe “vincere”, invece, solo chi proporrà all’altro le ipotesi di Pace migliori, più equilibrate e più durature. Ma questo è un mio parere, so bene che è una Utopia. Però, “utopiche” erano anche certe idee pazzesche che il Tempo, la Storia, o il progresso scientifico, ma soprattutto le lotte di uomini e donne che hanno dato per loro vita e sangue, hanno poi tradotto in Realtà.
[Questo testo l’ho pubblicato esattamente un anno fa. La “guerra” (o: operazione di polizia; o: operazione di pulizia, come da qualche tempo vengono chiamate le invasioni armate), continua, si è addirittura espansa fino a macchiare di eccidi e a martoriare nuove terre del Medioriente. Intanto in Ucraina si combatte sotto la minaccia del ricorso all’arsenale atomico. La Terza Guerra Mondiale è in atto: allora, senza contraddire l’invito di Fortini, è il momento di schierarsi senza se e senza ma contro le guerre, la violenza, la barbarie delle guerre. Il momento di sostenere, insieme ai popoli oppressi, le miriadi di innocenti in mezzo a loro che stanno perdendo tutto, contornati da cumuli di morti. Orrore. Bisogna fermare i pazzi, prima che ci tolgano il Futuro a cui pensare]