
(30 ottobre 1857 – 22 maggio 1904)
I- Chi non ricorda L’uomo della Folla di Edgar Allan Poe?
Costui – un vecchio dall’espressione diabolica – è un paria che non possiede una vita propria, che non dorme mai, e che va a spasso per la città, tutto proteso ad osservare, in perenne stato d’eccitazione, un mondo di frenetici, umani formicai. Il brivido che cerca è proprio quello: aggirarsi senza posa, senza essere fermato e riconosciuto da nessuno. Questo vecchio “è il tipo e il genio del crimine recondito”, lo bolla Poe: “egli ricusa di star solo. È l’Uomo della Folla. Seguirlo sarebbe inutile”, e che nessuno possa leggere ciò che ha nel cuore, “è forse una delle più grandi misericordie di Dio”.

Oliver Sacks racconta nell‘Uomo che scambiò sua moglie per un cappello d’aver incontrato, per le strade della sua città, una “Donna della Folla”.
La sua diagnosi, sia pure fatta a occhio, è precisa, implacabile: per lui si tratta d’ un’ammalata che denuncia i sintomi della terribile “Sindrome di Tourette“, la “Malattia dei mille Tic”:
«Il mio sguardo fu attirato da una donna sulla sessantina, coi capelli grigi, che a quanto pareva stava suscitando intorno a sé un vero e proprio scompiglio […]. Quando fui più vicino capii. La donna imitava i passanti, per quanto “imitare” sia forse un termine troppo scialbo, passivo. Sarebbe piuttosto il caso di dire che metteva in caricatura tutte le persone che incrociava. In un secondo, in una frazione di secondo, li “coglieva” alla perfezione.
Ho visto un’infinità di mimi e di pantomime, di clown e di pagliacci, ma niente eguagliava l’orribile prodigiosità di ciò che stavo vedendo in quel momento […]. Nel tempo impiegato a percorrere un breve isolato, la vecchia forsennata fece la caricatura di quaranta o cinquanta passanti, freneticamente, in una raffica di caleidoscopiche imitazioni mai più lunghe di uno o due secondi, a volte anche meno; e tutta la vertiginosa sequenza a sua volta non durava più di due minuti. E poi c’erano le comiche imitazioni di secondo o terzo grado, perché la gente, sorpresa, offesa e sconcertata dalle sue imitazioni, reagiva con nuove espressioni comiche che a loro volta venivano ri-riflesse, rimandate, ri-distorte dalla tourettica, suscitando una sorpresa e un’indignazione ancora maggiori […]; questa donna dai mille volti, dalle mille maschere e personae – come doveva sentirsi, lei, in questo turbine d’identità? La risposta non tardò a venire […]. Con uno scatto improvviso e disperato la donna svoltò in un vicolo laterale, e lì proprio come se fosse stata colta da un violento attacco di nausea, espulse, spaventosamente accelerati e abbreviati, tutti i gesti, tutti gli atteggiamenti, le espressioni, il contegno, l’intero repertorio comportamentale delle quaranta e più persone che aveva incontrato».
Insomma, la poverina vomitò, a gesti, tutte le sue “Imitazioni”.

La “tourettica” di Sacks (che il neurologo ha pure chiamato – arrossisco per lui – “vecchia forsennata”) ci è fondamentalmente simpatica. La sentiamo amica, sorella. Al contrario dell’Uomo della Folla di Poe, nulla fa per passare inosservata. Come quello “spariva” tra la massa, si annullava, traendo il suo godimento da questo “annichilamento”, e otteneva il suo Nirvana nascondendosi nella città popolosa, la nostra anziana, tutt’all’opposto, si moltiplica imitando ogni passante, rubandogli l’anima per qualche secondo. L’Uomo della Folla è sostanzialmente un pervertito, disgusta. Solo l’occhio attento di un altro pervertito (tale potrebbe essere l’investigatore Dupin), lo snida tra la massa, come Poe farà con la Lettera rubata che pende, inerte, smaccata, eppure invisibile, tra le altre lettere abbandonate nello studio del ministro.

La “Donna della Folla” invece ci intenerisce. Il suo equilibrio già precario dipende dalla sua capacità di cogliere l’individualità di ciascuno nel marasma cittadino, come se ognuno che passa brandisse un capo del filo d’Arianna indispensabile per muoversi nel labirinto della società moderna, senza soccombervi.
La sua finale, fatale spossatezza, ci addolora.
Avvertiamo che imitare gli altri è il mezzo più a buon mercato, ma anche il più devastante per se stessi, con cui il paranoico si difende dal micidiale complotto che tutti gli altri hanno ordito ai suoi danni. Impossessarsi di loro, sia pure per pochi attimi, vuol dire placarli. Vuol dire: “ho capito il vostro gioco, so chi siete, non fatemi del male”.
Tanto più pericolosi sono i passanti per il paranoico, quanto più fingono di non conoscerci, ci scorrono accanto come figure anonime. Invece è un alibi, un bluff: essi vogliono trangugiare, succhiare la nostra vita, e ci assaliranno presto alle spalle.

II- La “Sindrome di Tourette” non indica, nel nome, il folle che per primo rese pubblica la sua menomazione alla comunità scientifica, ma il clinico – il francese Georges Gilles de la Tourette – che studiò pioneristicamente questa malattia. Lo dico perché un’epoca più ignorante della nostra (se mai è possibile ce ne siano) potrebbe scambiare i termini della questione, oscurando la fama d’un illustre neurologo.
Antica quanto il mondo, è inevitabile che la Sindrome di Tourette sia stata osservata assai prima di Tourette. Lo certifica un passo de I Fedeli di San Serapione di E.T.A. Hoffmann, che ci ragguaglia sul “piccolo scozzese Donald Munro”, un medico londinese morto nel 1792. Costui credeva di “essere uno specchio” che rifletteva “tutti gli sguardi, le boccacce e tutti gli atteggiamenti” di chi lo guardava in viso.
Un altro caso di protosindrome di Tourette viene citato da Stendhal, che ne ha letto in Cabanis: “A Dublino si racconta di un uomo tanto dinamico che si sentiva costretto a ripetere tutti i movimenti e gli atteggiamenti dei quali il caso lo rendeva testimone. Se gli si impediva di obbedire a questo impulso tenendolo fermo con la forza, provava un’angoscia intollerabile”.
L’impulso ad imitare tutto ciò che fa paura, la regressione a specchio degli Altri, il narcisismo all’incontrario: sono tutti, evidenti, gesti di autodifesa.

Il Tourettico che a noi interessa indagare non è solo l’Uomo, o la Donna “dai mille Tic”, “dalle mille smorfie”, o gridolini: utilizziamo questa terminologia “clinica” nel modo più esteso e estensibile, perché la Sindrome, si sa, è sempre associata a sintomi d’altra specie. Se non infastidisce troppo gli specialisti, potrei coniare il termine “paratourettico“, per definire chi manifesta d’essere affetto da una “Inclinazione, o turba, che lo trasforma in Sosia d’altre persone”.
Per noi, infatti, il Paratourettico può essere anche una persona non-malata, che ha scoperto la chiave filosofica per non essere spazzato via dai suoi nemici.
Il metodo che costui, o costei, applica, l’aveva già individuato l’utopista calabrese Tommaso Campanella. Lo ricorda Elémire Zolla:
“L’inviato di Richelieu, Gauffridi, narra che l’aveva osservato dallo spioncino della cella mentre, intento a scrivere una lettera, contorceva il viso in mille smorfie. Durante il successivo colloquio gliene domandò ragione, e Campanella rispose che stava redigendo un appello ad un cardinale e per carpirne l’animo e adeguarvi il tenore dello scritto, ne riproduceva meticolosamente le smorfie abituali. Così facendo riusciva a provarne di riflesso i sentimenti”. Il filosofo, imitando “la fisionomia di uno e immaginando i propri capelli, il proprio naso, le altre parti del proprio corpo simili a quelle dell’imitato”, era in grado, precisa Alberto Savinio, di “conoscere il suo carattere e i suoi pensieri, deducendoli da quelli che si hanno mentre si fa l’imitazione”.

Zolla, definisce quello di Campanella un “metodo d’indagine psicologica”. Non è così: è piuttosto il segreto dell’accesso al mondo elettrico, compulsivo, terrorizzato, dei tourettici, o ai loro affini.
III- Il fatto è che nell’Imitatore, e anche nell’interprete che basa la sua comicità sull’imitazione, c’è sempre un tratto che, a ragione, Oliver Sacks potrebbe chiamare “tourettico”.
Se andiamo a cercare un modello di questo tipo di mania, la “Malattia del Sosia”, vicino a noi, intendo, “geograficamente”, non possiamo che far riferimento alla parabola d’uomo e d’attore di Alighiero Noschese (1932-1979), ineguagliato Imitatore e mattatore della Tv italiana.

Noschese morì suicida, come (lo dico con rispetto) un paranoico, vedendo complotti dovunque. Era costantemente “sopra le righe”, né più né meno come quell’altro sublime monumento alla Tourette (o para-tale) che corrisponde al nome e all’opera di Jerry Lewis (“L’uomo dai mille Tic”, lo chiamerebbe probabilmente Sacks).
Noschese si calava completamente nei panni, nella voce, nell’espressione, di chi doveva imitare. Partiva, ed era difficile riprenderlo, riportarlo alla realtà, a uno straccio di identità personale. Durante gli spettacoli, e questo è rivelatore, doveva andare in bagno almeno dieci-venti volte. Si “svuotava” tutte le volte che doveva assumere una nuova personalità. Anche al paranoico Presidente Schreber, celebre “caso clinico” freudiano, succedeva qualcosa di simile. Doveva andare continuamente in bagno, e immancabilmente lo trovava occupato.

La nostra simpatica tourettica, la “Donna della Folla”, fa esattamente lo stesso. Si libera nei vicoli, vomitando le proprie imitazioni. Altrimenti i suoi personaggi continuerebbero a possederla, tutti insieme, come mille anime nello stesso corpo. Purtroppo questo “svuotarsi” non è mai completo; qualche traccia resta sempre, e può tornare in ogni momento a farsi “viva”. Noschese girava armato di pistola. Era per questo?
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