I- Doppi
Nell’Intérieur, la stanza arredata che replica l’interno dell’Anima piccolo-borghese, al posto d’onore, adagiata sul letto – centro della casa così pieno di significati –, sta: la Bambola.
Le Bambole sono, come gioco per bambine, ma anche come elementi dell’arredamento tra gli adulti, la miniatura e il simbolo della nostra “condition seconde”. Sono i nostri Doppi. Esibiti, fino al punto di dar luogo a disavventure perturbanti. Come Doppi, ma come mostruosità, affiorano talvolta dall’inconscio privato degli adulti, assumendo un aspetto reale.
Una donna, per esempio, racconta a Freud di come, “un anno dopo la morte della madre, si fosse recata a far visita a una francese loro amica e fosse stata mandata a prendere un dizionario nella stanza vicina, insieme a un’altra ragazza, e come vi avesse trovata, seduta sul letto, una persona perfettamente somigliante alla donna che aveva appena lasciato nell’altra camera. Si sentì irrigidire e rimase inchiodata. Più tardi venne a sapere che si trattava di un pupazzo molto speciale”.
Cosa ci facesse un simile pupazzo decorativo nell’Intérieur placido e riposto della casa, è dilemma degno del miglior Hoffmann –, che Freud non risolve, preferendo scandagliare con le sue domande l’inconscio della nevrotica che aveva subito quello choc.
II- La Bambola a lume di Candela
In certi casi, quando il medico è anche stregone, e opera in condotte primitive, la cura viene prescritta per magia, in virtù d’un Sogno assegnato e provocato ad arte.
Cito da Zolla: “l’antropologo William Sargent fece studi sulla magia praticata nello Zambia e descrisse il procedimento per mezzo d’una bambola; il malato doveva portarsela a letto per osservarla a lume di candela e poi starsene con gli occhi chiusi, ridipingendone le fattezze con la fantasia. Addormentandosi avrebbe fatto il sogno necessario”.
Pare di poter dire in questo caso che la terapia sia stimolata in effigie, all’incontrario e specularmente alla condizione del malato allettato: la bambola si accomoda sotto le coltri al posto del paziente, il quale, facendo le veci del medico, la scruta (un metodo per riconoscere i suoi sintomi, come fanno gli iridologi). Poi l’addormenta, mentalmente raccontandogli la fiaba di ciò che essa è. Quando il pupazzo finalmente gli trasmette il Sogno che dovrebbe fare lui, il febbricitante ottiene, contemporaneamente, la diagnosi esatta, la cura, e la guarigione del malanno.
Consiglio a tutti i Malati immaginari di curarsi in questo modo.
III- Feste, e altre Monellerie
L’Hinamatsuri, o “Festa delle bambole”, detta anche, in Giappone, la “Festa delle bambine”, cade ogni anno il 3 marzo. Nelle case e nei luoghi pubblici, su una piccola gradinata decorata con un tappeto rosso sgargiante, vengono esposte le bambole ornamentali che rappresentano l’imperatore, l’imperatrice, e la loro antica corte.
In questo giorno i padri e le madri accompagnano le bambine nei templi e pregano per la loro bellezza e salute. Con questi riti e celebrazioni, i familiari sperano che le ragazzine trasmettano ogni tipo di sfortuna alle bambole, allontanando gli spiriti malvagi sempre in agguato sulla loro crescita.
Da tradizioni come quella dell’ Hinamatsuri, ancora e sempre viva in Giappone, si evince la vera natura del giocattolo. La bambola in realtà è un feticcio, che le bambine vezzeggiano e trascinano sempre dietro, ignare (più o meno) che si tratta della loro occulta sostituta, del loro scudo contro la Malasorte.
Racconta Frazer che a Celebes, presso gli Alfur di Minahassa, i medici indigeni usano curare le più gravi malattie in questo modo: “trasportano talvolta un malato in un’altra casa, lasciando nel suo letto una figura fatta di coperte e di cuscini, perché i demoni la prendano per il malato, e questi, in conseguenza, guarisca”.
IV- Le Astuzie Iconoclaste
Nel nono secolo, l’Imperatore Teofilo bandì le immagini della Divinità, dei Santi, della Vergine. Teodora, sua moglie, devotissima all’antico culto, per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste, finse che le statuine che adorava fossero le “bambole” delle figlie. Il buffone di corte, la sorprese a baciare una di quelle bambole, e la deferì all’Imperatore.
V- Considerazioni
Quando una donna, in là cogli anni, ritrova la sua bambola, o finalmente la degna d’ uno sguardo meno affettuoso, meno superficiale, che cosa vede? Vede il segno tangibile del tempo trascorso, vede ogni ruga, ogni difetto, ogni scolorire affiorato su quel viso, vede lo “gnomo” femmina o maschio affibbiatagli come figlia da un sortilegio.
Nessuna ragazza, nessuna donna, si è mai sentita più intelligente, osservando da adulta la propria bambola preferita. I ragazzi, o gli uomini, possono illudersi d’ esserlo stati, quando ritrovano il meccano, o il piccolo chimico, o persino i soldatini. Eppure tutte le rughe, le crepe, ogni difetto di oggi stanno a indicare: quanto è stata amata, questa bambola. Consumata d’ amore. Non si faceva un passo, senza la bambola, e guai dimenticarla, andando a letto. Ma poi con l’Età (terribile condanna, chiamata anche “inferno”, per le donne), è stata inevitabilmente abbandonata.
Il romanzo che le bambine scrivono con le bambole, per le loro bambole, comincia presto, e troppo presto si chiude, senza i capitoli finali. Lo dicono le favole: si interessano, le bimbe piccole, a ciò che le bambole erano prima d’ entrare a loro servizio, o alle avventure che capitano loro quando le si perde di vista. Come bambina, come “figlia” reale di una mamma in tenerissima età, in che modo vive la bambola? Che vita fa, quella pingue morticina dalla pelle fredda e dagli occhi che si ribaltano? Nessuna avventura. Essa permane in uno stato creaturale d’estrema indigenza, d’ assoluto assoggettamento, in un andirivieni di purghe schifate, pappe respinte, vestiti troppo logori, febbri improvvise, pupù che ritardano e sonnellini forzati. Questo era lei, la bambola, e questo era lei – la bambina – per sua madre; questo saranno suo figlio, sua figlia, ora che é adulta.
A tutti gli effetti, le bambole-femmina sembrano bambine, ma sono bambine, o neonate, senza futuro. Esse non hanno memoria, né delle carezze, né dei colpi ricevuti. Non sono fatte per la Vita.
Ed è terribile, poi, per una adolescente, accorgersi o pensare che la voce meccanica che ti ha ha detto tante volte “Mamma!” non ha mai chiamato te, ma qualcun altro.