Dice con la consueta levitá e chiarezza l’Enciclopedia eponima degli Illuministi, che una Reliquia (dal latino reliquiæ), non è termine laico, ma propriamente è “ciò che ci rimane di un santo – ossa, ceneri, vesti – e che si conserva rispettosamente per onorarne la memoria”; ma, aggiunge, che al mondo v’è così abbondanza di questi reperti, che si può giustamente sospettare si siano “consacrate ossa non appartenute non solo a un beato, ma forse nemmeno a un cristiano”. In questo campo la richiesta di mercato, da parte dei fedeli, o dei “collezionisti”, si mantenne per decenni talmente elevata, che, dice sempre l’Enciclopedista de Jaucourt, fin “dal IV secolo l’abuso prese piede”.
In effetti prese piede, braccia, mani, dita, cuori, occhi, forfora, e persino membri virili o prepuzi di (supposti) illustri cadaveri; con una voracità che non si è mai arrestata di fronte al minimo lacerto, scheggia d’osso o brandello di epidermide. Non furono d’ostacolo, a questa bramosa superstizione, i limiti della natura, né la disparità di specie: racconta Gregorio di Tours che nel reliquiario d’un santo – in luogo delle sue umane spoglie – si “trovarono radici di vari tipi d’erba, denti di talpa, ossa di topo, unghie e parti grasse di un orso”.
Allo scopo di “autenticarlo”, Martino di Tours dové resuscitare il cadavere di qualcun altro, che veniva venerato come Santo. Benché ridotta in polvere, dalla salma risvegliata si levò uno spettro sinistro, il quale confessò piagnucolando d’essere, in realtà, un malfattore.
Come in terra – da vivi –, i Santi sono frequentemente “ubiqui”, da morti lasciano, altrettanto spesso, spoglie personali doppie, triple, ecc., fino a trentuplicate. Salme “sosia” dei Santi più famosi sono sparse un po’ dovunque, per la gioia di chi va in cerca di questi perduti Oggetti del Desiderio. In un Inventario (provvisorio) di Anatomie di Santi – censite dal Livre des Bizarres – si contano: 11 corpi completi di sant’Erasmo, 30 di san Giorgio, 20 di santa Giuliana, 30 di san Pancrazio; 8 teste di santo Stefano, 10 di san Guglielmo, 10 di san Giacomo Minore, altrettante di san Giovanni Battista, 26 teste di santa Giuliana e 6 di sant’Ignazio, che pure fu mangiato dai leoni. Sono venerati altresì: 11 indici di san Giovanni Battista, 17 braccia di sant’Andrea, 12 mani di san Leggero, 63 dita di san Girolamo.
Un po’ dappertutto, nei paesi cristiani, Chiese, Monasteri e altri luoghi di devozione, conservano persino ettolitri del latte con cui la Vergine Maria svezzò il suo divin Figliolo: dovizia mammellare che suscitò la colorita protesta del teologo Calvino e, ancor prima, lo sdegno di san Bernardino da Siena, il quale predicò ai fedeli: “Ooooh, avete veduto del latte della Vergine Maria, o donne? le bufale di Lombardia non hanno tanto latte, quanto si dice che n’è per lo mondo. Sappiate che ella ebbe tanto latte, quanto bastava alla bochina di Cristo Iesu, e non più!”.
Mentre l’inconsutile “corredino da neonato”, con cui la Madonna stessa vestì Gesù, figurava nell’elenco delle reliquie prodigiose (ma dubbie), acquistate dal re santo dei Francesi, Luigi Nono, e depositate nella Sainte-Chapelle di Parigi.
A Genova, va ancora detto, i dominicani detengono la coda dell’asinello che col bue riscaldò le prime ore di vita del Redentore. Nel convento di Gräfrath, in Germania, ci si imbatte invece in un residuo dello sterco del somaro che condusse Gesù fino all’entrata di Gerusalemme.
In mancanza dei Capelli del Cristo, il collezionista di reliquie si contentava del suo pettine: a Treviri, avverte Erasmo, è conservato con adorazione l’accessorio estetico utilizzato da Gesù per domare il ciuffo arruffato e ribelle.
La capigliatura, poco più di una selvatica frangetta, appartenuta a san Giovanni Battista, insieme a una chiave, che conteneva alcune particelle di ferro raschiate dalle catene infrante da san Pietro, costituivano le reliquie donate dal Pontefice romano agli ambasciatori di Rocaredo, in cambio d’un prosaico cesto ricolmo, solo – fa notare con malizia l’antipapista Gibbon – “d’oro e di gemme”.
Risulta esserci, infine, da qualche parte, un’ampolla che contiene l’ultimo respiro di san Giuseppe – il patrono della “Buona Morte”.
Va pure menzionata, col dovuto rispetto, quest’ultima enormità: del prepuzio dolorosamente sottratto al bambinello Gesù pochi giorni dopo la sua nascita si contavano in passato, in giro per il mondo, almeno dodici “originali”. Uno si trova a Charroux, un altro, conservato a Calcata, fu misteriosamente rubato nel 1984, e mai più restituito ai fedeli. Uno dei prepuzi più venerati è quello che viaggiò da Gerusalemme fino in Belgio, inviato lì, ad Anversa, da Goffredo di Buglione: pare, col segreto intento di distogliere le matrone che abitavano la città dai loro culti fallici di derivazione pagana, che avevano per oggetto un Priapo locale, chiamato Ters.
[dalla Fantaenciclopedia]
[in copertina: Le martyre de Saint-Denis, di Léon Bonnat]