La lotta secolare tra Massoneria e Chiesa di Roma è sempre stata condotta senza esclusione di colpi. Trabocchetti, imposture, calunnie erano leciti, pur di far vacillare il rivale. Ci si insinuava gli uni nelle file degli altri, e gli infiltrati giungevano talvolta ai massimi livelli dell’Ordine, o delle Gerarchie Ecclesiastiche. Di lì spiavano, sabotavano, ma, ancora più spesso, godevano i vantaggi del loro “Doppio Gioco”. In questa eterna diatriba, le mosse geniali non mancano e si contano da entrambe le parti. Come quando, “per combattere più efficacemente il movimento massone fiorente nel XVIII secolo e condannato da due papi nel 1738 e nel 1751, la Compagnia di Gesù ebbe l’idea di fondare in diversi posti ordini massonici sotto la sua direzione”.
Sul versante opposto, nel clima esasperato delle dispute (anche politiche) tra credenti e laici – o “liberi pensatori” –, che infiammarono la fine del secolo XIX, si staglia la figura stravagante e sulfurea del giornalista francese Léo Taxil (1854-1907). Costui confessò pubblicamente di essere un frammassone pentito e, dopo essersi convertito al cattolicesimo, rivelò particolari sconvolgenti sulle attività segrete delle Logge.
In cima alla cupola di tutti i complottatori mangiapreti, si ergeva, secondo lui, l’Ordine Palladiano, formato di adoratori prescelti del Demonio, perennemente dediti a orge sacrileghe e aberrazioni sessuali d’ogni dimensione. È sulla scia delle opere di Taxil che entra nei vocabolari d’occidente la parola “Satanista”: la setta satanica dei Palladisti era, per lui, la quintessenza della Massoneria.
Il Clero francese elesse quest’ateo pentito – il polemista dalla prosa spiccia, ai limiti della pornografia –, a suo beniamino. Anche il Vaticano, impegnato in una crociata senza tregua contro i frammassoni, gli fu riconoscente. Taxil, nel 1888, fu ricevuto dal papa in udienza privata, e comunicò a Leone XIII nuovi segreti, tali da far drizzare i capelli. Interi governi occidentali erano satanisti-palladisti; l’italiano Crispi, di sicuro; ma lo stesso impero britannico si reggeva sulle Logge più contaminate, e i riti barbari a cui i seguaci del Demonio – inviati ufficialmente da Londra – davano vita nell’India misteriosa, facevano impallidire qualsiasi culto locale dei Thugs e di Kalì.
Rotto ogni indugio, il giornalista rivelò l’esistenza, al vertice dei Palladisti, di una grande sacerdotessa di Lucifero, Diana Vaughan, una ninfomane generata dall’unione del Diavolo Bitru con un’occultista. Alla notizia, un brivido di terrore percorse gli ambienti clericali, sconvolgendo gli osservanti perbenisti. I quali, non attendevano altro che informarsi minuziosamente sulle prestazioni sessuali della Vaughan, naturalmente per poterne poi inorridire. Furono presto accontentati.
Nel 1895, i giornali cattolici, esultarono: corse voce che la diabolica inglese avesse troncato i rapporti con il Grande Oriente, fosse fuggita in Francia, e avesse infine trovato il conforto spirituale che cercava abbracciando (lei, un’anglicana insaziabile e corrotta) la Fede di Roma. Pare che la consigliasse, nelle sue scelte, una radiosa voce celeste, che ella attribuiva a Giovanna d’Arco. Da quel momento, Taxil monopolizzò la pretessa pentita, che ormai viveva in clandestinità (si diceva: in qualche convento di clausura). Al pubblico vorace mostrò solo le foto e le lettere della bella satanista; quindi inaugurò una collana di periodici ospitando le sue scabrose confessioni: Mémoires d’une ex-Palladiste.
Leone XIII, toccato nel profondo dalle rivelazioni di quella “pecorella smarrita”, volentieri le inviò la sua “apostolica benedizione”. Le alte gerarchie ecclesiastiche, dal canto loro, decisero che l’intera questione Palladista andava approfondita, perché, in ultima istanza, poteva rendere un grande servigio alla Chiesa di Roma.
Nel 1896 si aprì a Trento un Congresso il cui scopo ultimo, e palese, era bollare d’infamia – come una nuova lue – la Massoneria e ogni altra associazione di Liberi Pensatori. La trepidante Diana contribuì ai lavori con un’offerta in denaro: 250 franchi. I francesi, nell’occasione, si sperticarono in elogi per Taxil e per la Vaughan, che viveva ormai in odore di santità. I congressisti d’altri Paesi, tuttavia, chiesero, sospettosi, maggiori informazioni. Fatte alcune verifiche, una Commissione d’indagine appositamente nominata chiarì (se si può dir così) che non c’erano argomenti sufficienti né per provare, né per negare, l’esistenza stessa della Vaughan. Il testimone passava dunque a Taxil: spettava a lui rompere l’ultimo sigillo, mostrando al mondo la figlia di Lucifero ormai convertita al Cattolicesimo.
Siamo giunti, così, al fatale 1897. Il giornalista, pressato da ogni parte, annunciò che Diana Vaughan sarebbe finalmente apparsa in pubblico, il 19 aprile, nei locali della Società Geografica a Parigi. La sala si riempì in un battibaleno. Ma, al posto della convertita, apparve Taxil. Al pubblico, deluso, fu riservata una sorpresa.
Corroborato da una massiccia dose d’alcol, Lèo Taxil (che si chiamava, in realtà, Gabriel Jogand-Pagès), confessò, vantandosene, d’essere un truffatore professionista. “Io – proclamò – ringrazio sinceramente i confratelli della stampa cattolica e i signori vescovi d’avermi così bene aiutato ad organizzare la mia più bella mistificazione, quella che coronerà la mia carriera!”.
Non era mai esistito un Ordine Palladiano al vertice delle Logge frammassoniche, e anche la fantomatica Sacerdotessa di Lucifero, Diana Vaughan, che ne era a capo, era una sua invenzione. Tutta la montatura, durata dieci anni e dovuta a lui e a un suo amico e complice, aveva un solo scopo: ridicolizzare la Chiesa Cattolica. Quella che era stata spacciata – anche nei ritratti – per la Vaughan, era in realtà la sua dattilografa, un’ex operaia d’una fabbrica di macchine da scrivere, il cui marchio Taxil cercò persino di pubblicizzare, seduta stante, con una dimostrazione commerciale abbinata al sorteggio d’un apparecchio omaggio. Ci fu un tumulto nella sala-conferenze, e dové intervenire, provvidenzialmente, la polizia.
La morale di questa favola vera non può riguardare la Truffa, o la Beffa, in sé, peraltro ben riuscite. Assai più interessante è annotare cosa avvenne dopo.
I più avvertiti tra coloro che avevano creduto a tutta la faccenda, si rifiutarono di ammettere d’essere stati vittime d’una frode. Protestarono che Taxil, col suo colpo di teatro, voleva a tutti i costi nascondere la verità. E cioè che Palladisti e Satanisti esistevano davvero, e che lui adesso, dopo essersi spinto troppo oltre in rivelazioni così pericolose, faceva marcia indietro per incarico dei suoi veri committenti: ebrei deicidi e frammassoni senzaddio. Era evidente, per un cattolico smaliziato, che la “falsa confessione” di Taxil faceva parte anch’essa della congiura Palladista: infatti Satana proprio quello voleva e vuole sempre – sbugiardare e beffare la Chiesa.
Per questo tipo di mentalità raziocinante, attiva ancora oggi e alimentata dallo strapotere dei cosiddetti “social”, il fatto stesso che si neghi l’esistenza di un complotto, sta a dimostrare quanto esso sia capillarmente radicato e infine riuscito nei suoi intenti.
A quanto pare (o, almeno, a quanto leggo in The New Encyclopedia of the Occult) a trarre le estreme conseguenze di questo modo di pensare, furono certi frammassoni italiani, i quali, per nulla convinti dalla capitolazione del loro confratello Léo Taxil, “cercarono di unirsi all’Ordine Palladiano, spendendo da allora molti dei loro anni nel vano tentativo di entrare in contatto con i suoi adepti”.
In effetti, logge Palladiste apparvero come d’incanto, nel mondo, sul finire del secolo XIX. Non erano quelle denunciate da Taxil, ma si ispiravano agli stessi principi “satanisti”.
[dalla Fantaencuclopedia]