Isa Miranda (Ines Isabella Sampietro), l’unica diva del cinema italiano che abbia occupato un posto di rilievo nello Star System mondiale degli anni 30 e 40, accanto a icone come Greta Garbo e Marlene Dietrich, è mancata l’8 luglio del 1982. Aveva 77 anni. Il suo vero esordio può essere considerato La Signora di tutti, realizzato in Italia nel 1934 da un genio del Cinema: Max Ophüls. Hollywood la chiamò, ottenne un contratto da una Major, ma ebbe in America un’esperienza sfortunata. Tornò in Italia e fu invisa al regime fascista, al quale non si piegò mai. Nonostante il boicottaggio subito, nel 1942 riuscì a interpretare un ruolo cardine della sua carriera: un film cupo e Fantastico, Malombra, diretto da Mario Soldati.
Stupisce ancora oggi l’intensità con la quale rese la lucida e solitaria follia della protagonista, Marina di Malombra, una giovane nobile convinta (come la protagonista di Vertigo) d’essere la reincarnazione d’una sua antenata, morta suicida. Con Le mura di Malapaga (1949) la Miranda ottenne il premio come migliore attrice al Festival di Cannes. Recitò ancora per Ophüls, poi per Mario Bava, De Sica, Michael Anderson, David Lean, e da ultimo per Liliana Cavani in Portiere di notte.
Noi vogliamo ricordarla per il suo film più Fantastico e “invisibile”: Camera ammobiliata, girato dal regista, e amico, Mario Foglietti, nel 1977-78.
Il labirinto della memoria umana, già Simonide di Ceo e poi Cicerone, lo figurarono come una abitazione dalle cento stanze.
Nell’Institutio Oratoria Quintiliano descrive le basi della Mnemotecnica, senza la quale nessuna arringa nell’avvocatura, come in generale nessun “discorso persuasivo”, potranno mai ottenere il successo desiderato. Poiché la verità per la quale ci si batte non la si “legge”, già bell’e pronta, sopra un foglio, ma va argomentata e recitata “all’impronta”, se si vuole convincere l’uditorio.
“Per formare una serie di luoghi nella memoria”, sostiene Quintiliano, “si deve ricordare un edificio, il più spazioso e vario possibile, con atrio, soggiorno, camere da letto, sale, senza dimenticare statue ed altri ornamenti che abbelliscono le stanze”. Così, non appena la memoria dei fatti chiede di essere rivissuta, l’oratore con la sua Immaginazione visita di volta in volta tutti questi luoghi che custodisce nella Mente, traendo fuori nell’ordine giusto tutto quanto vi ha depositato.
Chi coltiva l’Arte del Ricordo, dunque, riempie le sue camere “fantastiche” con simulacri d’oggetti o di persone, oppure con gli incipit che gli servono a articolare il discorso, in modo che ogni cosa o frase abbia il suo posto e la Memoria ne riesca scorrevole, perfetta e rinsaldata.
Ma mentre la mente esplora quel labirinto, si imbatte in alcune stanze chiuse, di cui si è perduta la chiave e in certi casi addirittura la serratura. Che cosa c’era più, lì dentro?
Non ho dubbi che una di quelle soglie invalicabili introduca nella “Camera Ammobiliata” di cui ci hanno parlato prima il novelliere americano O.Henry, e poi Mario Foglietti, il regista italiano che ha tratto da quel racconto un “originale televisivo” per la Rai. Lo interpretava Isa Miranda, e, benché fosse un prodotto raffinato, ben recitato e di qualità, siamo sicuri che oggi nessuno ne ha il più pallido ricordo.
Un’aura di tregenda e di mistero spira intorno a certe narrazioni, e questo è un caso dei più lampanti.
“Le case che hanno avuto mille inquilini” – scrive O.Henry in “Camera Ammobiliata” –, “avrebbero mille storie da raccontare, per lo più storie senza fantasia, senza dubbio; ma sarebbe strano se seguendo la scia di questi erranti ospiti non ci si imbattesse di tanto in tanto in un qualche fantasma”. Ed è proprio un tale tipo di incontro ravvicinato e perturbante, che sperimentiamo, leggendo il libriccino di “memorie” di Foglietti, Isa Miranda: “La Signora di tutti”, pubblicato da Rubbettino nel 2012, che rievoca le tristi vicissitudini del suo sceneggiato.
Di che parla “La Camera Ammobiliata”?
C’è un giovanotto che cerca da più di un anno una ragazza di cui è follemente innamorato: Eloisa, un’attrice di burlesque o vaudeville che è andata in cerca di fortuna in qualche capitale del divertimento – New York, presumibilmente. Chiede notizie negli alberghi, e presso i proprietari di camere in affitto. La ragazza sembra sparita nel nulla. Il suo spasimante è ormai sull’orlo della disperazione. Prende alloggio in una pensioncina da quattro soldi, dove ancora spera di trovare tracce di Eloisa. La padrona di casa, però, lo raggela: non l’ha mai sentita nominare, non le risulta abbia mai abitato nelle sue stanze. Eppure al giovanotto, quando si chiude nella sua nuova Camera Ammobiliata, sembra di percepire il profumo, la presenza di lei. “Sente” che la sua innamorata è stata lì, e che in qualche modo, invisibile, inaudibile, c’è ancora.
Incerto tra la pazzia e la totale disillusione, il pensionante spegne la fiamma delle lampade, apre il gas, e si lascia morire nel suo letto. Mentre questa tragedia si consuma, la proprietaria della pensione, del tutto ignara, sta sbevazzando al piano di sotto con un’amica. “Gliel’hai detto?”, chiede quest’ultima. “No, non mi conveniva. Nessuno affitterebbe una camera dove si è suicidata una ragazza…”. I lettori apprendono in questo modo, ma quasi en passant, che l’attrice Eloisa è stata davvero in quella pensione, e che, travolta dai suoi insuccessi, appena qualche mese prima si è uccisa nello stesso modo del suo spasimante…
O.Henry ha introdotto nella narrazione un tratto “gotico” davvero raffinato: ecco, dunque, un racconto di Fantasmi che non fa paura, e in cui lo Spettro non appare mai, ma detta segretamente le regole del gioco.
La novella, certo, non è perfetta, ma il finale è sicuramente sorprendente, e lo scrittore ottiene l’effetto voluto di sconcertarci, con le sue variazioni “da Camera” su una partitura orrorifica – quella delle “case infestate” – già tanto abusata.
Sono abbastanza evidenti i motivi che hanno spinto Carlo Di Stefano, navigato sceneggiatore televisivo, a scegliere, tradurre, trattare e proporre alla Tv di Stato proprio questa short story. Innanzitutto, perché è una rara incursione nel Fantastico d’uno scrittore universalmente noto per il suo realismo, il suo umorismo quasi sempre nero, la sua spicciola umanità, la sua predilezione per le piccole imprese quotidiane di gente comune e un po’ ordinaria. Un’eccezione, quindi, in una carriera letteraria di successo. Le motivazioni del regista sono invece più complesse.
Anche Mario Foglietti (1936-2016), incallito reporter, inviato avventuroso e bon vivant, vissuto nel culto della “scuola dei duri” e di altri miti americani, è stato per vocazione, in tutta la giovinezza e per buona parte della sua maturità, un assiduo frequentatore di Camere Ammobiliate. Stanze da letto. Un “senza dimora fissa”, spesso sgualcito, sbatacchiato dovunque nelle camere d’albergo. Oggi qua, domani agli antipodi del mondo. Conosce l’odore, il sapore, l’atmosfera di certe antiche stanze che sembra profumino ancora di gas stantio. Quartierini e pied-à-terre dove si consumano amori clandestini e gioie di contrabbando, ma anche dove si spengono ultime illusioni, ultimi sorrisi. Stanze solitarie dove, stesi sul letto, tra volute interminabili di fumo, si portano a ballare sul soffitto i propri ricordi. Le proprie Fantasie.
Una volta incaricato della regia di “Camera Ammobiliata”, Foglietti racconta d’aver pensato subito d’affidare il ruolo della padrona della pensione all’amata, vagheggiata, “diva” Isa Miranda. È vero: lo stesso ruolo l’attrice l’aveva già impersonato per David Lean in “Tempo d’Estate” (“Summertime”, girato a Venezia), ma il gesto di scritturarla non è dettato da questo tipo di reminiscenze, un po’ scontate.
Miranda, icona della sua adolescenza, è l’ideale per un Racconto di Fantasmi, perché lei stessa non è, agli occhi di Foglietti, altro che un Fantasma. Lo racconta nel suo libro: Isa è il Fantasma della sua Gioventù. Il Fantasma folgorante del Cinema e della Bellezza che non svanisce mai. La grande attrice di “Malombra”, Re-Incarnazione del Fascino Femminile, abita da tempo immemorabile, come “archetipo”, come simulacro di celluloide, la stanza più riposta della sua Memoria. O, che è lo stesso, della sua Anima. E che l’Anima del Borghese sia in tutto simile a una “Camera Ammobiliata” ce l’hanno già spiegato Maupassant, Alberto Savinio e Franz Kafka. Nel chiuso della nostra anima, c’è un Intérieur, con i suoi begli arredi. Lì si aggira e alberga lo spettro dei nostri desideri più segreti e inappagati.
Su questo sfondo, e con la “letteraria” complicità di O.Henry, avviene l’atteso incontro di Mario e Isa.
Lui la vede praticamente per la prima volta, di persona, quando lei ha 72 anni. E si presenta, emozionato, come un suo antico spasimante: “Signora sono stato innamorato di lei, lo sa?” Divertita e meravigliata allo stesso tempo, Isa Miranda gli chiede di che periodo parlasse. E il regista, tutto d’un fiato: “era l’ottobre del 1949”. La diva l’aveva abbagliato col suo splendore nel film La signora di tutti. “Ma tu eri piccino!”, si stupì lei. “Sì, avevo quattordici anni”. “Giovanotto”, rispose esplodendo in una fragorosa risata, “uno di noi due è fuori tempo massimo…”.
Isa Miranda: La Signora di tutti, il libro-intervista che Foglietti ha tratto, trent’anni dopo, da questo e da altri suoi ricordi, ci autorizza e induce a rileggere il loro incontro, proseguito poi sul set per mesi, non come una semplice collaborazione professionale, ma come una grande, misteriosa, metafora dell’Amore. Dell’Amore Ideale, destinato a restare inconsumato.
Perché questo matrimonio non s’ha (non s’ebbe) da fare.
Foglietti, quando avvicina Miranda, ha ancora in mente il Fantasma di lei, bellissima, sfolgorante, sullo schermo. Tenta di rinverdire le sue vertigini d’adolescente, nella vana e trobadorica ricerca di un “contatto” che non può più avvenire, altro che come essenza, come “profumo” di un Ricordo. Non diversamente da lui, ce ne avvediamo, si comporta il giovanotto protagonista di Camera ammobiliata.
Da parte sua, la Miranda arriva a Napoli, per girare la sua “piccola parte” con le migliori intenzioni. Ma non può essere più la Donna statuaria, la Dea invulnerabile del Cinema, tanto attesa. Presto cede alle sue fragilità. Scivola, si frattura, è costretta a muoversi su una carrozzina.
Non è la prima volta, purtroppo, che un incidente le rovina la carriera. A Hollywood, Isa era stata scritturata per interpretare “Zazà”, un film diretto dal grande George Cukor. L’auto condotta da un certo – fino allora, e anche dopo, per sempre – sconosciuto William Rose, si scontrò con la sua macchina. L’attrice riportò il classico “colpo della frusta”. Alcuni giorni dopo svenne sul set. A riprese già iniziate, grazie a questa scusa la sostituirono con Claudette Colbert. La propaganda fascista gridò alla macchinazione anti-italiana. Del complotto, secondo la stampa nostrana, faceva parte anche l’investitore, il prezzolato Rose. Pura ipocrisia, perché il regime non le aveva perdonato, né la perdonò mai, d’aver disertato l’autarchica e nascente Cinecittà per Hollywood. Cercarono in tutti i modi di trattenerla. Riottenne il passaporto necessario per l’espatrio solo quando promise di recitare una parte nel tremendo polpettone in puro stile “imperialista” e “colonialista” Scipione l’Africano.
Però, contrariamente a quanto le capitò ai tempi della disavventura americana, stavolta il regista Mario Foglietti si batté per Isa Miranda col furore d’un paladino antico. Non aveva intenzione di rinunciare ai propri archetipi. Respinse le pressioni della Rai, che, come un trinariciuto signorotto medievale, esigeva per la Diva la rescissione del contratto, ossia l’esilio, l’indigenza, la reclusione nella Torre dell’Oblio.
La battaglia fu vinta. Isa restò, da co-protagonista. Anche se da quel momento cominciò il suo calvario: non camminò più bene, le gambe gli cederanno ancora e, dopo lunghissimi mesi di degenza, andò incontro alla morte, da vedova, triste e solitaria.
In “Camera Ammobiliata”, traspare il fantasma di questa sottaciuta sofferenza; si respira aria di lascito, di testamento.
Il breve e tormentato “originale televisivo” (38 minuti) venne comunque portato a termine: girato, montato, mixato. I palinsesti prevedevano la messa in onda per una domenica pomeriggio, su Rai Uno. Isa lo attese con trepidazione, nel suo letto d’ospedale. Ma non lo vide mai. Né lei, né nessun altro.
Proprio quando il mistero del racconto comincia finalmente a sciogliersi per lo spettatore, in quel momento – altrettanto e ancor più misteriosamente – la colonna sonora dello sceneggiato, “svanì”. Il Film divenne muto e Isa Miranda, proprio lei, perse la sua voce. Per sempre.
Come Foglietti ci informa nel paragrafo più terribile del suo libricino di memorie – estremo omaggio alla diva Miranda e ai propri amori giovanili –, il telefilm fu giudicato mutilato e “intrasmettibile”. Da allora giace, come un relitto corroso e devastato, nel fondo di qualche remoto magazzino. Questo, nella migliore delle ipotesi. Gli archivi Rai sono infatti meandri misteriosi.
Chi crede nel Destino, disquisisce, che nulla avviene mai per cause fortuite. Chi si burla del Destino, invece, tanto più spesso è destinato a soccombere alle sue Leggi infauste.
A Foglietti il Destino ha conferito questo ruolo: trarre un film “fantasma” da un racconto di Fantasmi. Un film “maledetto”: come certe case infestate; un film che esiste, ma non c’è. Nessuno può più entrare nella sua “Camera Ammobiliata”. Come fosse solo frutto d’immaginazione, come un sogno, come una fantasticheria d’amore inconfessato, questa stanza ha una porta serrata dall’interno, invalicabile. Ma la chiave per aprirla, non ne dubito, l’ha ancora e sempre lei, Isa Miranda.