I- I Cavalieri Insonni: i Santi
«Quel che è il sonno per il corpo, è l’Orazione per l’anima. Onde la Sacra Scrittura la chiama Sonno: ” Ego dormio, et cor meum vigilat” (Cant.,5)».
Per ciò stesso, i mistici e i Santi, sovrumani disprezzatori del Corpo, ripudiarono il Sonno, questo sconveniente Oblio nemico d’ogni devozione, e lo sostituirono con la Preghiera.
Di Iehuda ben Baba, i Midrashim “raccontavano che non aveva assaporato il sonno, più di un cavallo, dall’età di diciotto sino ad ottanta anni”. E questo era considerato un segno distintivo di santità.
Secondo Pauwels e Bergier, “Bodhidarma, fondatore del buddismo Zen, un giorno che era in meditazione si addormentò. Questa colpa gli parve così orribile che si tagliò le palpebre”.
Abu Bakr ibn Gahdar, detto Shibli, un mistico che visse a Baghdad nel decimo secolo, invasato da Dio, inventò per sé e i suoi seguaci una ridda di “penitenze umilianti e malsane”. Lui stesso, «al principio della sua vocazione si imponeva macerazioni smodate; per restare sveglio la notte si metteva sale negli occhi, dicendo: “Chi dorme è negligente, e il negligente è separato da Dio”». Finì in manicomio.
Arsenio, padre del deserto, aveva pessima considerazione del Sonno, e trascorreva le sue notti da volontario insonne. Tuttavia, «dopo aver vegliato tutta la notte, sul fare del giorno si accingeva a dormire per soddisfare la natura, e diceva al sonno: “Vieni, malvagio schiavo!” e, seduto, furtivamente si assopiva un poco, poi subito si levava».
Raccontano santa Teresa d’Avila e Elémire Zolla che Pietro d’Alcantara per quarant’ anni non dormì che pochi minuti tra il tramonto e l’alba, “e non sdraiato ma seduto, appoggiando la testa ad un piolo confitto nel muro, senza mai ripararsi dal maltempo o dalla canicola […]; ed i suoi religiosi li discerneva soltanto dalla voce“.
Santa Rosa da Lima, per non interrompere, dormendo, le sue Orazioni, “usò come di armi l’attorcersi i capelli ad un chiodo, l’appendersi ad una croce”.
Il Sonno è in certo senso colpevole e blasfemo, per ogni cristiano, se si esaspera il monito di Pascal: “Gesù sarà in agonia sino alla fine del mondo; e sino allora non si potrà più dormire“.
II- I Condottieri
Gli eroi più grandi sono quelli che hanno combattuto, da nemico, il Sonno.
Secondo Purgstall, orientalista e viaggiatore amato da Lane e da Burton, c’è un antico testo persiano che dice che il più grande degli Insonni fu Alessandro il Macedone.
E che il supremo condottiero della terra fu il primo conduttore d’eserciti che, di notte, riunì nella sua tenda i “confabulatores nocturni”, contastorie professionisti specializzati nel narrare favole e avventure, perché lo allietassero con i loro racconti tenendolo sveglio.
Di Alessandro Magno anche si dice – e ne riferisce Montaigne – “che, stando coricato, per paura che il sonno lo distogliesse dai suoi pensieri e dai suoi studi, faceva mettere una bacinella vicino al letto, e teneva una mano fuori con una pallina di rame, affinché, se il sonno lo sorprendeva e allentava la presa delle sue dita, quella pallina, col rumore della sua caduta nella bacinella, lo risvegliasse”.
Altrettanto fanno le Aquile, le quali, nell’opinione di Plinio, “allontanano il Sonno con un artiglio sollevato a reggere una pietra”. Cadendo quella per l’improvvisa debolezza della zampa, dovuta allo svanire dei sensi, ne sono immediatamente svegliate.
In un cospicuo spicchio di mondo, si mostrano al turista i numerosissimi “letti nei quali ha dormito Napoleone”.
“É strano”, commenta Alberto Savinio, “tanti letti per uno che si vantava di dormire così poco!”
Infatti Napoleone “si addormentava e si svegliava a volontà, e poteva fermare i battiti del suo cuore”.
III- Differenza tra Sonno e Veglia
Di Napoleone, professionista dell’Insonnia, parla anche Hegel nell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio (II, § 398): “la differenza di Sonno e Veglia suole essere proposta come un rompicapo, per così chiamarlo, alla filosofia (– anche Napoleone in una sua visita all’Università di Pavia, rivolse questo quesito alla classe d’ideologia)”.
L’aneddoto di Hegel ha un preciso precedente storico. Il 27 marzo 1800 l’Istituto Nazionale di Parigi bandì un concorso con un premio per la Fisica. Lalande propose che qualcuno sciogliesse questo quesito: quali sono le differenze fra sonno e veglia? I sogni sono bizzarri e irregolari, tuttavia il cervello di chi dorme e poi veglia, è lo stesso. Questo interrogativo non trovò mai una risposta soddisfacente, e giunse intatto e irrisolto fino a Hegel [nell’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio, poco dopo il passo citato, si trova la soluzione hegeliana del problema].
Napoleone, per la verità, e per correggere Hegel, propose un interrogativo ancora più intrigante: volle chiedere a uno dei luminari dell’Accademia italiana, che cosa distingue la Morte, dal Sonno. Purtroppo la discussione che ne seguì finì in farsa. Il dittatore vantava origini corse; in casa, da bambino, si parlava il toscano. Stava per ricevere, a Milano – siamo nel 1805 – la corona di Re d’Italia. Si fece scrupolo, con una certa fierezza, di rivolgersi al suo colto uditorio in italiano, e a Pavia domandò al professor Carminati quale fosse la differenza tra la Morte e il “Someglio”. Termine incomprensibile, nato infranciosando e storpiando, nel senso e nell’ortografia, la parola Sonno, in modo che riuscisse identica al vocabolo francese “Sommeil”. Ci si può figurare l’allarme, lo sgomento dell’Accademico. Napoleone, spiccio uomo d’arme, pretendeva una risposta immediata, aveva fretta. Racconta Cusani, nella Storia di Milano, che il medico Carminati, cui pose il quesito guardandolo dritto negli occhi, “avviluppossi in ambagi” e poi si lanciò in una temeraria disquisizione, “confrontando la Morte e il suo meglio!”. Si era aggrappato all’equivoco, pur di compiacere il sovrano, a un passo dal suo intronamento.
Ignoriamo i contenuti dei suoi virtuosismi retorici; come pure la reazione del Corso, che certo non fu garbata.
L’episodio comunque ci insegna qualcosa sui progressi delle Scienze sotto le Dittature.
L’interesse di Napoleone per questo genere di quesiti – ritengo –, non fosse solo accademico. Il conquistatore intratteneva col proprio Sonno un rapporto incostante, svogliato. Era un caso a parte, quasi un fenomeno, perché gli bastava, spesso, riposare appena qualche minuto per ritornare in forze. Probabilmente, si attendeva dagli scienziati una risposta che lo lusingasse: cioè a dire, che chi riesce a dominare il Sonno, domina, issofatto, anche la Morte.
IV- Differenza tra Sonno e Morte
Chi dorme, è vero, somiglia a chi muore. Se si osserva a lungo un dormiente, si può facilmente scambiarlo per un cadavere.
Viceversa – luogo comune, o topico –, chi osserva direttamente un cadavere, ha quasi sempre l’impressione che “sonnecchi”. “Sembra che dorma”: questo viene ritenuto il miglior complimento possibile, per un Morto.
Siamo in una camera ardente, il testimone diretto è lo scrittore Leon Bloy:
«Non ha l’aria di dormire?, mi chiede il genero [del defunto].
Ho avuto voglia di schiaffeggiare quest’imbecille, ma, dopo averlo guardato con attenzione, ho capito che mi trovavo in presenza di una specie di demone. La sua gioia d’ereditare qualche soldo era incontenibile, nonostante i suoi sforzi di celarla. “Quando uno è crepato, resta così per un bel tempo”, pensava quello, senza dubbio. Dopo aver recitato dentro di me un De profundis, mi apprestavo a fuggire per scappare a questa specie di vivente, quando il morto portò la mano alla fronte e aprì gli occhi…
Con un sangue freddo che mi stupisce ancora se ci penso, mi precipitai a spegnere i ceri e feci sparire l’apparato funerario in un batter d’occhio. Poi, girandomi verso il genero, mentre quello gettava un grido raggelato dal profondo della gola per cui mi parve un cittadino dell’inferno:
– Andate a cercare vostra moglie, gli dissi; vedete bene che ha cessato di dormire »
[da Leon Bloy, Exègése des Lieux Communs, 123].