III- In breve: Girard si stufa della Novizia. L’ha fatta recludere tra le religiose, dopo averla costretta a diventare (e proprio profittando della sua innocenza), una santa segreta, ma involontaria, suo malgrado. Presto, si pente di tanta benevolenza. Dirada le visite e la promiscuità. La sua figliola spirituale, incapace di considerarlo un porcaccione, delira sempre per lui, e continuamente adesso lo cerca e lo invoca, anche quando il gesuita se ne fastidia, chiamato altrove dall’abito, dalla missione, dall’ipocrisia o dalle vampate della foia.
Girard dice adesso, apertamente, alla Cadiére – o gliene scrive – che è giunto per loro il momento del distacco. Ma la ragazza non può certo dimenticare, di colpo, l’assiduità trascorsa col confessore. Lui, d’altra parte, non sopporta neppure il successo che Cadiére, come mistica, ottiene tra le mura del convento. La sua allieva conosce bene, l’ha appresa da lui, l’arte del plagio, e inconsciamente se ne serve con monache e badessa.
Il quadro è questo, ed è il quadro dipinto da Girard. Ma – miracolo astruso, imbarazzante – la Santa sta per scendere da questo quadro, brandendo a sorpresa, insanguinata, gli strumenti del martirio.
Per quanto possa sembrare abominevole, è per non perdere il conforto del proprio stupratore, che la Cadiére innesca, una certa notte, il duello mortale con Girard. Notte davvero memorabile, nel racconto di Michelet:
“Durante la sua assenza, la Cadiére aveva deciso per un estremo rimedio, che avrebbe fatto arrivare Girard all’istante. Abbia riaperto le piaghe in testa a forza di unghie, sia riuscita a mettersi la corona di spine di ferro, si mise tutta a sangue. Le colava sul volto in grosse gocce. Sotto questo dolore, era trasfigurata, e gli occhi mandavan scintille”.
Dal convento, le suore subito cercano e chiamano Padre Girard, il suo consolatore. Ma Girard, Maestro Illusionista, non può darla vinta, la prima mossa, alla sua apprendista, e piazza per risposta un Colpo di Genio, degno di questo gran Teatro.
« Venne, ma invece di salire, da vero giocoliere, ebbe anche lui un’estasi in cappella, vi rimase un’ora in ginocchio davanti al Santissimo. Infine sale, trova tutte le religiose intorno alla Cadiére. Gli dicono che per un momento l’hanno vista come a messa, che sembrava muovere le labbra per ricevere l’ostia.
“Chi può saperlo meglio di me?” dice l’impostore “Un angelo m’aveva avvertito. Ho detto messa e l’ho comunicata da Tolone”. Il miracolo le sconvolse tanto che una rimase due giorni malata ». La gloria è sua, la prima scaramuccia è vinta.
Nel quadro adesso è rimasto solo lui, il gesuita, e accoglie contrito l’omaggio della devozione. La novizia è tornata carne da strapazzo, povera creatura, come se il sangue che la irrora fosse quello dell’altro, come se il Sacrificio fosse quello del suo torturatore.
Ma se l’astuzia è sopraffina, la stoffa del prete è rozza, al livello del baro e del briccone. Va dall’allieva, la tratta con burbanza, non sa trattenersi, la sbeffeggia. Anche questo è agli atti del processo: « Girard, rivolto alla Cadiére, con una indegna leggerezza: “Ah, ah, piccola ingorda, così mi rubate metà della mia parte?” ». Invero lui, così, se l’era ripresa tutta.
Girard farciva i suoi incontri con la Cadiére, tra uno svenimento e l’altro della giovane, con i racconti dei suoi “miracoli” segreti, invisibili a ogni altro che non fosse lui, o Iddio Onnipotente. Una volta, aveva visto in visione telescopica, a distanza, un vascello su cui s’addensavano spaventose nubi di tempesta. Presentì che il mare fosco avrebbe avuto il sopravvento sulla fragile imbarcazione. Previde il naufragio imminente. Tra i passeggeri, c’erano due gesuiti. Allora pregò il Signore, che gli permettesse d’assumere su di sé il peso del naufragio. Dio acconsentì. Tutti furono salvi, e nessuno s’accorse a quale tragedia era scampato, perché il viaggio, per tutti, era filato liscio.
Di fronte a questo culmine di ribalderia, tutto il resto del duello evàpora. Michelet impiega ancora più di trenta pagine, a narrarcelo. La confusione, è totale, nei due spiriti che si fronteggiano, si abbandonano, tornano ad abbracci frettolosi: saldo è solo il concreto libertinismo di Girard. Salde le sue protezioni a corte, e ben coperte le sue spalle di altolocato gesuita. La Cadiére non sa cosa improvvisare, deperisce, s’ammala, e il suo, per molte consorelle è il calvario di una santa. I segni sono quelli; le piaghe, quelle.
Si fanno prime timide indagini, ispezioni, scende in campo il vescovo. Un nuovo confessore, carmelitano, di Cadiére, s’orripila apprendendo le lascive confidenze che Girard si prendeva con il corpo, con l’anima della “signorina”. La faccenda viene risaputa, si deve intervenire. Il Convento diventa luogo sospetto. Sospette, soprattutto, le estasi della pretesa mistica. Si intravedono, nell’intera vicenda, fumi diabolici. È logico, normale, ineluttabile, che i due contendenti, a questo punto, non gareggino più perché la fama di santità dell’uno superi quello dell’altra, il Maestro l’Allieva, o viceversa. È logico, normale, ineluttabile che i Santi, agli occhi dell’opinione pubblica, diventino Dèmoni, e che il duello si rovesci in una disputa senza regole, senza mezzi termini, per chi di loro dovrà restare in vita. Sullo sfondo della disputa c’è una pira accesa: fumo, e alito di zolfo. Non parlo per simboli: a Tolone si mettevano già da parte le fascine, perché in un modo o nell’altro doveva finire.
Altri protagonisti s’affacciano nella storia, che s’ingarbuglia e scorre adesso in due binari paralleli: da una parte la famiglia della novizia, i Cadiére, che pretendono la condanna pubblica dell’infame gesuita; dall’altra il clero più potente, che appoggia Girard e che ha in mano, come burattini, giudici e tribunali. Gli uni, appoggiati dai giansenisti, chiederanno il rogo per il Santo, lo stregone Girard; gli altri, forti della protezione reale, il rogo per la Santa, la strega, la “signorina” Cadiére.
Si sottopone la povera ragazza alla “quaestio”, interrogatorio con tortura. Le sue deposizioni riempiono centinaia di pagine. Ingenuità disarmante. La Cadiére ha il tono di chi non incolpa, ma spiffera tutto, anche i particolari più sgradevoli e raccapriccianti, e tratteggia, di Girard, un quadro mostruoso.
Donna oramai, con l’esperienza d’amplessi numerosi, già incinta, già sgravata d’un aborto, messa ignuda e percorsa da ogni tipo di ispezioni e d’offese corporali, pro e contro natura – la giovane ostenta di fronte al tribunale un’innocenza cui il solo Michelet sembra credere. Il sesso per lei sembra un mistero che la rende sempre incredula e bambina.
La sua sorte vacilla, e quelli che la vogliono aiutare, fanno peggio. I sintomi di santità, vengono letti al contrario. Subdolamente, il giudice le chiede, così, en passant, se talvolta le riusciva d’indovinare qualche segreto. Risponde di sì, e decreta la sua rovina. Le converse raccontano che, contemporaneamente, nella stessa notte, la Cadiére era in tutte le loro celle. Maga, ingannatrice, persino ubiqua – dunque. Non c’è dubbio, per chi comanda, che il povero Girard è stato raggirato. Non è importante se e come abbia peccato, perché è chiaro che è “rimasto vittima d’un incantesimo”.
Il Tribunale così sentenzia, ma a maggioranza. “Due avrebbero bruciato Girard. Tre erano contro la Cadiére”. L’assenza d’unanimità, favorì l’umanità della Corte. Furono clementi con la strega, e la condannarono, invece che al rogo, ad essere torturata, e poi “impiccata e strangolata” (l’ordine è questo), in una piazza di Tolone.
Il gesuita è lontano da questo palcoscenico, pare un fantoccio afflosciato all’orizzonte. L’ha fatta troppo grossa. Ha perso ogni energia. Solo quest’ultimo trionfo può dargli un sussulto d’orgasmo, di piacere. Lui, come un anacoreta tentato nel deserto. Lei, la seduttrice, morta.
La Cadiére attende la sentenza, terrorizzata, nel convento delle Orsoline, dov’è reclusa, e…
IV- A questo punto avviene il vero, unico, miracolo di tutta la vicenda. Come in un romanzo di Victor Hugo, ma direi peggio, come in un romanzaccio d’appendice, deus ex machina, interviene il Popolo. Addirittura, non il popolino minuto, ma l’intera cittadinanza: «in massa, corpo compatto, una folla d’uomini d’ogni classe, d’uno slancio, marcia sulle orsoline. Fanno venir fuori la Cadiére e sua madre. Si grida: “State tranquilla, signorina. Ci siamo noi. Non avete niente da temere”».
Ci sono tutti i maschi. Le femmine, invece macchinano per lei nei salotti, nelle boutique. Le gran Signore della nobiltà, le Matrone – tutte gianseniste – parteggiano per Mademoiselle, la proteggono, spingono per la riapertura del processo.
Una nuova sentenza giunse, l’11 ottobre 1731.
Ma, ricordiamolo: stiamo parlando d’un duello, mortale. Se si salva la Cadiére, si deve, per forza di cose, bruciare o strangolare padre Girard. Se l’una non è la strega, lo stregone è l’altro. I fatti sono, oggettivamente, criminosi, diabolici. Non si possono nascondere: bisogna solo stabilire chi è l’incantato, chi l’incantatore.
La giuria contava ventiquattro elementi. Dodici, s’espressero per la condanna a morte della Cadiére. Gli altri dodici votarono perché Girard fosse ammazzato pubblicamente. La Giustizia riscoprì d’avere in mano una Bilancia: spettava al Giudice farla pendere da una parte o dall’altra. Siamo però in un vicolo cieco, attraversato di veti paralleli e paradossi convergenti.
Cosa avvenne?: niente.
Il magistrato chiuse il processo senza condanne a morte. Pilato o Salomone? Né l’uno né l’altro: Girard venne assolto, la Cadiére no. La “strega” venne punita, ma solo come calunniatrice. Scuote il Michelet, comunque, un fremito di sdegno, per questa sentenza mite e iniqua al tempo stesso: “Condannata a vedersi stracciare e bruciare dalla mano del boia memorie e difese!”.
Certo, invece delle cartacce, sul rogo doveva salire qualcuno. Tutto si sarebbe desiderato, persino un’Ingiustizia, ma non questo anonimato, non questo triste niente della Storia. La Storia esige Figure Memorabili, Statue, Copertine di Settimanale. Invece – niente, tanto che, fino adesso dettagliatissimo, proprio alla fine (dopo sessantacinque pagine), il lungo romanzo di Michelet si sfilaccia. Girard muore, nel giro di due anni e di sei righe, immerso in quell’acre profumo d’ipocrisia che viene scambiato spesso per “odor di santità”.
Ben più grave è che lo storico poco ci dica, nulla sappia, sul futuro della “signorina”. Inventa: s’immagina la Cadiére, ripresa e torturata, imprigionata dai gesuiti. Di male in peggio, il feuilleton decade a carta straccia. L’eroina, però – e a questo punto: per fortuna –, gli è già svanita dalle righe del racconto, tradita, più che dal clero corrotto, dal disinteresse dei documenti storici.
Invece è giusto, questo silenzio improvvisamente sceso su di lei. È consolante, questo sipario pietoso che cala finalmente, e ci nasconde il quadro del martirio, quello che la rappresenta, piagata e “messa tutta a sangue”, accanto al suo macellaio, al libertino indegno Jean-Baptiste Girard, anima ben più orribile di quella postuma di Dorian Gray.
[FINE]
[in copertina: Il processo Cadiére-Girard, stampa popolare]