I- Michelet non nasconde il proprio disgusto, quando parla di Padre Jean-Baptiste Girard, il “famoso gesuita Girard”, vissuto al principio del Settecento: ipocrita, furfante, libertino, che “meritava la forca”, ma “ebbe solo onori, morì in odore di santità”. A questo individuo lesto a ogni sozzura, e alla sua vittima favorita, la povera “signorina” Catherine Cadiére, lo storico dedica il capitolo più corposo del suo La Strega, pubblicata nel 1863. Opera densa di vulcanica scrittura ma di angusta comprensione, un po’ farneticante; opera di “grande” storia, ma “profetica”, come se si potesse predire il passato: impresa di miracolosa magniloquenza, già tentata con successo in certi passaggi storici che infestano le pagine di Victor Hugo.
Spero d’averlo compreso, un simile terribile romanzo, e di poterlo riassumere.
Questo padre Girard, aveva sedotta la “signorina” Cadiére, più volte, in confessione, durante i suoi stati di deliquio. “Rimettetevi a me, abbandonatevi tutta, le diceva”. La metteva sul giaciglio, la frugava. Lei perdeva coscienza e conoscenza.
Il dominio su quella povera anima fu totale. Il corpo seguì, in abbandono. La mise incinta, durante pratiche talmente incomprensibili alla fanciulla, che anni dopo, durante il processo che li vide l’una contro l’altro, ancora non seppe descrivere compiutamente agli inquisitori.
Alla gravidanza seguì l’aborto. Mentre procedeva imperterrito a queste infamie, il perfido gesuita avviò la sua creatura a una carriera di santa monacella.
La “signorina”, da piccola, aveva avuto il vaiolo. Ne recava i segni: sotto un seno, sui piedi. Zone ad alto rischio per un mistico, fin dai tempi di Francesco d’Assisi. Aree anatomiche dove s’era accanita la barbarie umana contro il Cristo: la lancia nel costato, le estremità trapassate dai chiodi della croce. La coincidenza era propizia, e Girard, lavorando sulle impronte del vaiolo, inventò le “stimmate”, per la sua protetta.
Si chiede Michelet: “Queste piaghe come le tirò fuori il mostro? Affondò le unghie? Usò il coltellino, che portava sempre con sé? Oppure la prima volta attirò il sangue, come fece dopo, succhiando a pieni polmoni?”. L’operazione, qualunque fosse, avvenne durante uno dei deliqui, profittando del sonno estatico della ragazza. Lei non capì, al risveglio, il senso di queste ferite, comparse all’improvviso. Ne parlò con l’unico con cui si confidava, il suo confessore, cioè: Girard. Che si schermì di non saperne nulla. Finse anzi di commuoversi alla visione delle “celesti stimmate”. “Eccolo in ginocchio che bacia le piaghe dei piedi. Lei si segna, si umilia, stenta a credere. Girard insiste, la sgrida, che scopra il costato, ammira la piaga”.
È a questo punto che il gesuita aggiunge un tocco da maestro. Dice: “Anch’io ce l’ho”, “ma interna”. Nessuno dubiti: il vero santo è lui. Stimmate, se si hanno, si debbono alla sua intercessione. Padre Girard, incidendo l’epidermide della sua protetta, sapeva bene che si sarebbe creato una concorrente, ma era sicuro di non perdere il controllo della faccenda, e uscirne, alla fine, vincitore.
II- Le stimmate della “signorina” non vengono rese pubbliche: la santità, è, in questo momento, una partita a due. Sembra quasi un rapporto tra il pittore e la modella, ma come se la modella fosse il quadro stesso: e la Cadiére pare veramente, in questa prima fase, il ritratto vivo d’un martirio, posto sul cavalletto d’un maestro pigro, il quale, incerto, lo lascia e lo riprende, poi va avanti per lenti ritocchi successivi. Ritocchi, che sono: impedire alle piaghe antiche di richiudersi; aprirne una, nuova, sul fianco destro, e – gran tocco di colore rosso –, una corona di spine di ferro, che il gesuita le calca in testa fino a causarle un’emorragia e segni indelebili, in una indimenticabile Quaresima di sangue.
È dopo, che la partita si trasformerà in un impari duello, spettacolare, e testimoni ne saranno la città – Tolone – e i Tribunali. Ma, per ora, sembra un esperimento senza scopo. Colpa, si può immaginare, del fatto che la ragazza fosse grossa di Girard, in quel momento. Ma, dopo l’aborto, che avvenne spontaneo, improvviso, non regge neppure questa scusa.
La verità è che Girard stesso non sa ancora cosa fare della santarella. Ha avuto solo un’intuizione, profetica.
Il gesuita ha un carattere incostante, bilioso, la sua intemperanza stessa scombina le sue strategie poco sagaci, corte di respiro. Da questo momento è un andirivieni, un prendere e un lasciarsi, un’altalena d’opposte tentazioni.
La ragazza è troppo giovane, si lascia andare alla vita, al buon senso, persino al ballo: quasi, dimenandosi, volesse liberarsi del peso e delle cicatrici della Santità. Ha slanci d’indipendenza che nauseano Girard. Il gesuita pretende che tornino le estasi. Cioè che lei torni in suo potere. Dopo la confessione, si rifiuta d’assolverla e le promette una tremenda penitenza. Solo a sola, dice Michelet, la vuole umiliare definitivamente.
Probabilmente, Girard non ha un piano; altro non fa che seguire il suo furbo istinto lussurioso e predatore. “E lei”, la Cadiére – si chiede Michelet – “non capì che queste maschere di giustizia, espiazione, penitenza, nascondevano soltanto maschere di libertinaggio?”
In ogni caso, il prete le parla apertamente, così, senza vergogna: “Poiché avete rifiutato di essere rivestita dei doni di Dio, state nuda. E davanti a tutto il mondo, meritereste, invece del vostro confessore, che non ne farà parola”. La fa spogliare, la frusta crudelmente, poi, lei inerme, lui la bacia dove non dovrebbe.
Risulta tutto dalle deposizioni. Dopo traumi come questo, per la Cadiére s’aprono inevitabilmente le porte del Convento.
[CONTINUA]
[in copertina: “Et nous aussi nous serons mères; car………!“, di Jean-Jacques Lequeu]