I- Una fiducia inesauribile nelle conquiste della scienza spinse gli sperimentatori, tra Otto e Novecento, a cercare quello che potrebbe chiamarsi “il precipitato delle passioni”: il prodotto residuo, l’indizio, che il nostro corpo immancabilmente lascia quando soggiace all’emozione, ai sentimenti o ai conflitti della volontà. E, pare, questa traccia è sempre diversa: per cui non si potranno mai più nascondere i veri moti del nostro animo: visto che a ognuno può essere associato un colore – distillato, fuori dall’allegoria, dentro un laboratorio chimico.
Ralph Waldo Trine, nel libro In Tune with the Infinite, riporta questo esperimento: “parecchi individui sono stati rinchiusi in una camera riscaldata. Ognuno di loro era stato dominato fino a quel momento da una particolare passione di qualche tipo: uno, a esempio, da un intenso sentimento di rabbia; altri da emozioni diverse. Lo sperimentatore ha prelevato da ciascuno di loro una goccia della traspirazione corporea, e poi, grazie a un’analisi chimica minuziosa, è riuscito a determinare la passione particolare che li padroneggiava […]. È stato anche scoperto dagli scienziati che c’è una marcata differenza chimica tra il sudore freddo che si sprigiona all’improvviso in una persona impaurita da un profondo senso di colpa, e una normale traspirazione. E, quindi, lo stato mentale di un criminale, in molti casi, può essere determinato mediante la traspirazione, la quale, posta a contatto con l’acido selenico, produce un colore rosa caratteristico (produces a distinctive pink color). È assai noto, infatti, che la Paura ha ucciso migliaia di vittime; mentre, al contrario, il coraggio rianima in modo grandioso”.
II- Altri esperimenti condotti al principio dell’Ottocento hanno dimostrato che i Colori assorbono gli odori in modo differente. Il primo ad accorgersene non fu un artista che dipingeva quadri a olio, ma un sezionatore di cadaveri.
Il dottor Stark, a Edimburgo, nel 1831, lavorando nell’anfiteatro d’anatomia, impregnò involontariamente il suo abito nero di esalazioni fetide. La stessa cosa non avvenne quando tornò a praticare le sue autopsie con un vestito più sbarazzino, color verde oliva. Volle allora provare una sua teoria, rinchiudendo due pezzi di tela, uno bianco, l’altro nero, in una camera oscura, per sottoporli a un persistente odore di canfora. Prelevati dopo sei ore, i due ritagli profumavano in modo diseguale.
Stark si convinse d’essere di fronte a una scoperta scientifica senza precedenti. Ripeté l’esperimento potenziando i miasmi: la scelta cadde sull’assa fetida. Dopo ventiquattr’ore di ammollo, il telo nero offendeva l’olfatto in modo vomitevole: invece quello bianco poteva essere usato come fazzoletto da taschino in un ballo di società. Il medico quindi concluse (Legge di Stark) che: “l’intensità dell’assorbimento di odori è decrescente, a seconda dei colori delle pezze in cui sono immersi; e chi assorbe di più è il nero, quindi nell’ordine c’è il blu, il verde, il rosso, il giallo e da ultimo viene il bianco, che assorbe poco e niente”.
La teoria fu scrupolosamente verificata anche in questo modo: presi, come cavie, drappi di peso uguale ma di colore diverso, vennero esposti ai vapori della canfora; alla fine, si accertò che i drappi neri pesavano più degli altri, tanto erano pregni d’odori.
Questi esiti sono tanto più sorprendenti se si tiene conto che nelle camere oscure di Stark, cioè, al buio, i colori non esistono, in quanto solo la luce può distinguerli. Forse un esame chimico più approfondito delle sostanze coloranti (o, in alternativa, una visita dall’otorinolaringoiatra) avrebbe riservato allo scienziato qualche delusione.
Il Dictionnaire des Merveilles suppone comunque che la strabiliante scoperta sia valida e sia da mettere in relazione col fatto, accettato dall’intera comunità scientifica, che gli abiti colorati di scuro assorbono più calore di quelli chiari: quindi, si suggerisce, ci dev’essere un rapporto intimo (anche se ancora inesplorato) tra calore e odori. Una scoperta che ognuno di noi può ripetere frequentando un tram affollato, d’estate, in qualsiasi metropoli del mondo.
Il dottor Stark in ogni caso può essere considerato l’igienista inventore del “camice bianco” dei medici e degli infermieri: L’Emporio di utili cognizioni ragguardanti alla generale ed alla privata economia, al commercio,…ecc. lo cita infatti elogiandolo, per aver raccomandato che “si tengano sempre assai bianchi i muri e persino tutti i mobili degli spedali e delle prigioni, e vorrebbe anche che i serventi di questi luoghi andassero sempre vestiti di bianco” (consiglio che pare difficile seguire nelle carceri).
Da molto tempo però, i chirurghi nelle sale operatorie di cliniche e ospedali si vestono di verde scuro, piuttosto che di bianco. E anche i teli che coprono il degente steso sul lettino hanno lo stesso colore. La ragione è elementare, e non ha nulla a che vedere con l’assorbimento dei profumi molesti.
È una questione di “sguardi”.
Le ferite che i chirurghi infliggono col bisturi sono rosse, e scarlatto, ovviamente, è il sangue che sgorga da quelle aperte con le loro incisioni. Quando si osserva troppo a lungo qualcosa colorato di rosso, l’immagine residua che ne deriva, trattenuta dalla retina per più di qualche istante, è una “macchia” verde: perché il verde è il colore complementare del rosso, ne è il “negativo”. La tintura dei camici e dei teli serve quindi a neutralizzare prima possibile questo effetto visivo assolutamente controindicato per il paziente, che rischia, in caso contrario, di subire alcuni deleteri “colpi alla cieca”.
Altrettanto accade nel settore dei cosmetici. Le fabbriche di “rossetti” hanno (o avevano) le pareti interne pitturate di verde. Pare che prima di questa precauzione le operaie, troppo concentrate sul colore rosso, appena volgevano lo sguardo altrove accusavano nausee, capogiri e persino svenimenti.
[CONTINUA il 28 novembre]