I- Il 2 luglio 1881, nell’atrio della stazione ferroviaria di Washington, l’avvocato e uomo politico Charles Julius Guiteau sparò al presidente degli Stati Uniti James A. Garfield, insediato alla Casa Bianca da appena quattro mesi. A causa delle ferite riportate, Garfield morì il 19 settembre dello stesso anno.
Nel processo che seguì all’attentato, Guiteau si proclamò innocente, farneticò, insultò e minacciò i propri difensori, e quando fu chiamato a testimoniare, ripose leggendo un lungo poema; intervenne poi nel dibattimento cantando motivi popolari a beneficio e per ricreazione dell’uditorio.
Ma il punto di forza della sua linea di difesa – ricordiamolo, era avvocato – fu soprattutto di natura religiosa. Cercò di seminare nei giurati il seguente dubbio: “Chi ha tirato il colpo? È stata la Divinità, o sono stato io?”.
Si sentiva investito d’una missione superiore. Riteneva, sostanzialmente, che tutto ciò che accade, delitti compresi, avviene per volontà di Dio, e che lui, sparando, era stato solo un docile strumento della volontà dell’Altissimo.
La Corte ignorò quello che ritenne un diversivo, e destando lo stupore dell’imputato lo condannò “ad essere appeso per il collo fino alla morte”.
Il giorno dell’esecuzione, Guiteau giunse danzando sul patibolo, si congratulò col boia, e declamò una poesia che aveva scritto per l’occasione: “I am Going to the Lordy“. Chiese, ma non ottenne, che un’orchestra lo accompagnasse mentre solfeggiava i propri ultimi versi.
Fu giustiziato il 30 giugno 1882, appena due giorni prima – notano gli statistici – dell’anniversario dell’attentato.
Gli argomenti, ricusati, del fanatico non erano però così speciosi, e meritavano forse più attenzione da parte della giuria e dei giudici, perché godevano di illustri antecedenti.
Da millenni infatti ci si domanda: se non è Lui che l’ha voluto, perché Iddio, che prevede tutto ciò che sta per accadere, non arresta il Male prima che si compia?
Se Dio permette il Male, vuol dire allora che ne è complice? Se non lo impedisce, vuol dire che lo favorisce? E (parole di Stendhal, una delle sue “domande infami”), come mai “nel momento in cui un assassino uccide non cade morto ai piedi della vittima?” Se non fulmina i criminali come Guiteau, vuol dire che l’Altissimo è d’accordo con loro?
Già a Epicuro si attribuisce questo argomento: se Dio non riesce a sopprimere il male, è un Dio impotente; se non vuole, è malvagio. “Se non vuole né può è insieme malvagio e impotente; e se vuole e può, come spiegare la presenza del Male nel mondo?”.
Nel caso invece sia proprio Dio che l’ha voluto, da questo Male che tutto pervade scaturisce l’ultimo dilemma, il più lacerante: perché il Signore mette a dura prova e poi punisce con la morte, l’orrore, la malattia, le anime più innocenti, o quelle a Lui più devote, mentre lascia prosperare i peccatori?
È questo (spero) il modo più semplice di riassumere gli interrogativi che deve affrontare ogni Teodicea.
II- Dal punto di vista “esistenziale”, queste “domande infami” sono già tutte contenute, o sottintese, nella Bibbia stessa. Sono le Obbiezioni di Giobbe.
Quando Giobbe affronta Dio, dinanzi a Lui giganteggia. Il Signore lo tormenta, nonostante sia un uomo giusto e pio. Nessun disegno divino può giustificare una simile nefandezza. Sembra che Iddio non abbia mai assaggiato il Frutto dell’Eden, certo a lui non proibito: perché non fa differenza tra il Buono e il Malvagio, come se non conoscesse l’abisso che separa il Bene e il Male.
Uno spirito ulcerato e religioso, che avversa il Male, e lo imputa a Dio, deve tener conto, però, di alcune considerazioni capitali dei Teologi. Ne cito solo alcune.
La prima, schiera in campo l’immortalità dell’Anima.
Riassume Gibbon: “chi crede all’immortalità dell’anima può ritenere una punizione la morte di un uomo buono?”. Evidentemente, no. E ciò che vale per la morte, vale anche per ogni altro tipo di sofferenza, perché il male maggiore prevale sul minore, e lo giustifica.
Questa si può chiamare: “Tesi della Nullità del Mondo”.
Per un teologo cristiano, l’Uomo è fatto da Dio per la Felicità, ma la Felicità non è fatta da Dio per questa terra. Solo morendo, si diventerà felici. E c’è la possibilità, quando non la certezza, che le sofferenze terrene aumentino i godimenti del Paradiso.
III- Un’altra obiezione che i Teologi oppongono ai dubbiosi, o ai miscredenti, afferma che il Male è un Mistero, il quale va letto all’interno d’un Mistero ancora più complesso: quello dell’Economia della divina Provvidenza.
Come lamenta Giobbe, mai smentito, Dio ha dei malvagi “cura infinita”: “Tiene i suoi occhi su di loro. Fa che si appoggino in lui sicuri” (24, 23). Ma Pascal ne spiega la ragione: i grandi criminali della Storia non sono altro che strumenti della Provvidenza divina: “Com’è bello vedere con gli occhi della fede, Dario e Ciro, Alessandro, i Romani, Pompeo e Erode, agire senza saperlo per la gloria del Vangelo!”.
Certo, i contemporanei di Dario e di Alessandro, martirizzati, affamati, mutilati, uccisi, dalle coorti dei conquistatori, non s’erano affatto accorti di sacrificarsi per una causa così nobile – che poi sarebbe germogliata addirittura secoli dopo. Per non parlare dei bimbi della Strage degli Innocenti, le vittime di Erode.
Anche per Alfonso Rodriguez [Esercizio di Perfezione, VIII] il Male è un dono della Provvidenza – e in questo quadro oscuro e misterioso, avrebbe quindi ragione pienamente Charles Guiteau: ” Dio è quello che ha maneggiato la mano di colui che t’ha percosso, e la lingua di colui che t’ha detto la parola ingiuriosa […]: ed è piena la Sacra Scrittura di questa verità, attribuendo a Dio il male, che un uomo ha fatto ad un altro, e dicendo che Dio è quello che l’ha fatto”. E anche se il male ci venisse, invece che dagli uomini, dai démoni, è sempre stato Dio a volerlo: i diavoli sono, dice la Bibbia, “ladroni di Dio”, perché “la podestà che hanno di farci male l’hanno da Dio”.
A che scopo avviene tutto questo divino accanimento?
Rodriguez ha una soluzione, che riassumendo potremmo definire: la “Teoria delle Poppe”: «Quando la balia vuole slattare il fanciullino, et avvezzarlo a mangiare il pane, mette l’aloè sopra le poppe, così Dio mette qualche cosa amara nelle cose della vita, acciocché gli uomini si stacchino da esse […] . E così San Gregorio dice: “I travagli che ci premono e ci angustiano in questa vita, fanno che ricorriamo e ci convertiamo a Dio”».
IV- C’è poi chi dice che la Morte del Giusto va considerata una “Misura Preventiva”. Tesi che ha una lunga storia.
Come rivela Isaia (57, 1) in una traduzione appena forzata: è vero, “il giusto perisce, ma per sottrarlo ai mali che vengono il giusto viene ritirato (dal mondo)”.
La morte è dunque un rimedio – argomenta ugualmente Tertulliano, che aggiunge: in realtà cede all’apparenza, chi crede che il Male infierisca su una creatura “innocente”. Chi stabilisce che la vittima sia un Santo? Solo Dio può farlo: e soltanto nel momento della morte si può dire se l’uomo, o la donna, siano vissuti in modo retto o impuro. Il Signore quindi colpisce i Giusti prematuramente, perché sa che – se non li tortura, se non li uccide – si travieranno, e diventeranno, altrimenti, malvagi, entro la fine dei loro giorni. Così che Dio, con quel che sembra il Male, precorre i tempi, e merita la riconoscenza d’ogni disgraziato.
Il sigillo a questa concezione, lo appone nell’Ottocento il piemontese Joseph de Maistre, scrivendo: “Che un innocente perisca, è un infortunio (malheur) come un altro, cioè, comune a tutti gli uomini […]. È possibile che un uomo inviato al supplizio per un crimine che non ha affatto commesso l’abbia realmente meritato per un altro crimine assolutamente sconosciuto”. O perpetrabile in futuro.
V- L’altro Innocente, su cui rischia d’infrangersi e naufragare ogni Teodicea, è il Bambino piccolo consumato dal morbo devastante, il neonato seviziato, l’infante bersagliato dalle bombe, violato, ucciso.
Ci fu anche, però, chi fece notare che, letta al contrario – cioè, dal punto di vista della Beatitudine che gli è assicurata in Cielo –, la morte del Fanciullo non è affatto una tragedia, ma un’apoteosi. Un Premio.
Gli infanti e i giovanetti morrebbero, secondo certi teologi idilliaci, perché il Paradiso sia empito dalla loro gioia e dalla loro bellezza, e non solo da lugubri vecchi antigienici troppo esperti del Mondo, magari salvatisi con una “confessione in extremis” dopo una vita scelleratamente depravata.
L’Abate Henry Bolo, nel libro Le lendemain de la vie, rimbrottò così le madri che piangevano i loro bimbi morti: “I vostri figli vi saranno resi lassù”, in Paradiso, “sempre bambini, cioè a dire, sempre belli […]. Dio vuole che essi restino angeli […]. Le altre madri dovrebbero essere gelose del vostro dolore…”. Opinioni, queste, che valsero all’abate una menzione speciale – quasi un posto d’onore – nel Dictionnaire de la Bêtise di Guy Bechtel e Jean-Claude Carrière.
L’arruolamento tra i Beati dei bambini freschi di battesimo può tuttavia apparire all’uomo navigato una scalata troppo rapida e precoce, e pure scandalizzarlo: promossa dalle “retrovie”, sfiorando solo il fronte, la matricola soppianta il veterano, e guadagna il Paradiso al primo colpo, alle prime scaramucce con la sofferenza. Il dilettante del Mondo sorpassa e irride il professionista.
Senso d’una critica che leggo in questa osservazione – probabilmente ironica – di Diderot: “la morte assicura al bambino appena nato una felicità eterna, mentre la sorte dell’uomo che sembra vissuto più santamente è ancora incerta. Com’è terribile e nello stesso tempo consolante la nostra religione!”.
Ora, se morire da fanciulli è un premio, perché questa opportunità Dio l’ha negata al peccatore inveterato, ai tempi in cui era fanciullo? O all’uomo e la donna probi, che dopo lunghi anni di patimenti e di travaglio, solo per aver disperato nella salvezza, si trovano scagliati nell’Inferno?
Come obbiettò il savio Alì al-Ashari al suo maestro al-Giobbà-i, ogni dannato sarebbe in diritto di protestare per questo col Signore: “mi dovevi uccidere quando ero ancora in fasce!”.
VI- Del Male nel mondo, ormai, si occupano seriamente solo due categorie di persone: la polizia e i teologi.
E non è il Pensiero Razionale, ma solo la Teologia, che chiede ancora ragione del Male. La filosofia laica, e lo stesso buon senso, si appagano più facilmente, e prudentemente iscrivono le catastrofi nelle necessità della Storia, nelle dissipazioni della Natura, negli accidenti del Caso; mentre è tipico del pensiero religioso ribellarsi e reclamare da Dio una spiegazione: perché il Male esiste? Perché l’hai messo al mondo? Nessuno può nutrire dubbi, che sia Lui il responsabile, perché è stato il Signore stesso a proclamare – come se fosse un vanto –: “Sono Io, che l’ho creato”, il Male (Isaia 45, 7).
Certo, Dio l’ha proclamato – ma la Scrittura potrebbe anche mentirci. A fin di bene.
Di fronte a qualsiasi sciagura umana, Dio sarà sempre costretto ad assumersi la paternità del Male, anche se ne fosse innocente – proprio come un padre, piangendo, si attribuirà le colpe e le sciagure delle sue creature più piccole.
Ma Dio forse spera che prima o poi l’Uomo esca dal suo stato di minorato e minorenne, e lo affranchi da questa incombenza, francamente intollerabile.
Ovvio, è più semplice pensare: che “Dio non ha alcuna colpa del Male, perché non c’è nessun Dio”. Cioè, adoperando ancora le parole di Stendhal: “l’unica giustificazione di Dio, è che non esiste“. Ma così i miscredenti offrono al Signore una bella scappatoia, davvero. A chi altri dovrebbe gridare, Giobbe, il suo dolore di uomo piagato e privato degli affetti più cari? Al vento, allo specchio, al medico condotto?
Per un nuovo Giobbe, anche se non gli parla più, Dio è in ascolto, e quindi, è perscrutabile. Con difficoltà, certo, ma lo è. La nostra idea umana di giustizia, per esempio, lo è di meno.
Ma forse Iddio non può intervenire nelle cose umane. Noi non ce lo aspettiamo più. Ci farebbe: orrore.
Mentre si rappresentava l’Antigone di Cocteau, adattata per il teatro delle marionette, a uno dei pupazzi si ruppe il filo, e crollò sul palcoscenico. La marionettista Maria Latis, ricorda “il grido di stupore del pubblico quando, durante lo spettacolo, allungò la mano sulla scena” per recuperare e riannodare quell’esserino inanimato.