Nel profondo sud dell’Italia, i Tarantati – cioè le vittime del morso del ragno Tarantola – venivano curati con la chitarra e con la “pizzica”.
Dei loro casi si è occupato a lungo Ernesto de Martino, il più originale e geniale degli storici della Magia.
“Giovan Giacomo Teforo (che io ho veduto più di sei volte ballare)” – scrive un testimone oculare da lui riscoperto, il Sangenito – “un giorno che si trovava in una foresta per suoi affari, e credo che si avvertì esser venuto il tempo di pagare il tributo alla sua mortificatrice tarantola. S’inviò egli verso l’abitato, ma fu poi trovato per la strada su la nuda terra disteso. Ciò saputo […] trovammo il misero contadino oppresso da difficile respirazione, ed osservammo inoltre che la faccia e le mani erano incominciate a divenire nere; e perché il suo male era noto a tutti, si portò la chitarra”.
Lo strumento iniziò a strimpellare, e, appena il pizzico delle corde giunse all’orecchio del tarantato, che sembrava morto di colpo apoplettico, immancabilmente fece il suo effetto. Novello Lazzaro, il povero Teforo “cominciò a mover prima li piedi, poco di poi le gambe, si reggeva appresso sulle ginocchia, indi a poco intervallo s’alzò passeggiando, e finalmente fra lo spazio d’un quarto d’ora ballava sì che si sollevava ben tre palmi da terra; sospirava, ma con empito così grande che portava terrore a’ circostanti, e prima d’un’ora se gli tolse il nero dalle mani e dal viso, riacquistando il suo natio colore”.
Domenico Sangenito (si vedano le Lettere memorabili istoriche politiche ed erudite, pubblicate a Napoli nel 1693) descrisse la malattia e i suoi rimedi in una lettera al libraio francese Bulifon, specificandone alcune caratteristiche peculiari. Per esempio, il tarantolato chiede una spada, ancorché non ne abbia mai vista una, e poi la maneggia con abilità da maestro (e qui il ricordo corre alla Mano incantata di Gerard de Nerval). Oppure: durante la sarabanda che inscena per placare il suo sangue avvelenato, il tarantato fa una pausa-pranzo fissa, sempre alla stessa ora, interrompendo i suoi balli dissennati alle undici del mattino, per riprenderli con rinnovato vigore alla una dopo mezzogiorno.
I tarantolati ancora nel XX secolo (e al principio del XXI) furono visti all’opera nel Meridione italiano. Ogni anno quelli della Puglia si radunavano il 29 e 30 giugno nella cappella di San Paolo in Galatina, dando vita a ridde e parapiglia musicali.
Gli spartiti popolari per Tarantati sono all’origine di quella rapinosa forma musicale tipicamente italiana che si chiama “Tarantella”: ce n’è una celebre e bella, che dobbiamo a Gioachino Rossini.