I- I cedimenti della Gola
Colleziono qui di seguito quattro famosi esempi di Alimentazione Insostenibile: quella che conduce irreparabilmente all’altro mondo.
Federico, detto il Pacifico, trentanovesimo imperatore di Germania, a detta G. P. Philomneste (si veda il suo fondamentale Livre des Singularités) “andava pazzo per i meloni, e questa passione smodata lo condusse alla tomba”: morì il 19 agosto 1493, in seguito a una indigestione. Suo figlio, l’imperatore Massimiliano I, morì l’11 febbraio 1519, esattamente per la stessa causa: una scorpacciata di meloni, per i quali, come fosse un morbo ereditario, provava un’attrazione maniacale.
Se Borges non sbaglia, fu un piatto di carne salata e tartufi, ad affrettare la morte dell’ascetico Buddha. Il grande scrittore argentino rileva anche che il fatto, essendo uno dei pochi dettagli “realistici” che compaiono in quella vita leggendaria, dovrebbe essere vero: nessun agiografo, ritiene Borges, potrebbe “inventare” una simile stupida causa di decesso, così poco rispondente alla proverbiale morigeratezza del personaggio storico in questione.
Per non essere da meno, ma forse inconsapevole, anche Julien Offray de La Mettrie, il filosofo dell’Homme Machine, secondo molti suoi biografi fu ucciso da un pasticcio di tartufi.
Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, marchese di Condorcet, enciclopedista e girondino, il cui amore per l’Umanità non era sufficiente a preservarlo dalla minaccia della ghigliottina, arrivati al potere i giacobini, fuggì, e si tenne nascosto per alcuni mesi pur di evitare l’arresto. Travestendosi, si spacciò per falegname. La fame lo spinse un giorno in una sordida locanda. L’oste, insospettito, lo denunciò subito come aristocratico e nemico del popolo: Condorcet aveva fatto l’errore di ordinare un’omelette di dodici uova.
La Frittata delatrice lo spedì in galera. Morì in cella tre giorni dopo l’arresto, il 29 marzo 1794, probabilmente suicida.
II- I Detective con la Scimitarra
Maometto II, fiorito nel XV secolo, amava coltivare personalmente un bell’orto di meloni. Uno dei suoi servi più giovani ne rubò e ne mangiò quattro. Il sultano allora convocò tutti i paggi, e, visto che nessuno di loro confessava il crimine commesso, ordinò ai suoi armigeri di metterli in fila e di squarciare a fil di spada i loro visceri, finché, esaminatili, non si scoprisse il colpevole. Si trovarono i meloni, mezzo digeriti, nello stomaco del quattordicesimo sventrato.
Benché Voltaire dubiti della veridicità di questo aneddoto, c’è da dire che una tale nefandezza ha avuto molti imitatori e più di un augusto precedente.
I principi francesi, alla corte di Bursa, assistettero sgomenti alla Giustizia Sommaria di Bayazid, che “ordinò di sventrare un suo ciambellano, accusato da una povera donna di aver bevuto il latte delle sue capre”.
Lo stesso episodio (o un altro, del tutto simile), fu immortalato da Montaigne: “una donna di paese accusava un soldato, davanti al generale di un esercito e gran giustiziere, di aver portato via ai suoi bambini quel po’ di pappa che ancora le rimaneva per nutrirli, avendo quell’esercito saccheggiato tutti i villaggi intorno. Prove non ce n’erano. Il generale, dopo aver intimato alla donna di badar bene a quello che diceva, poiché sarebbe stata colpevole della propria accusa se mentiva, e lei insistendo, fece aprire il ventre del soldato per appurare la verità del fatto. E si trovò che la donna aveva ragione. Condanna istruttoria”.
I Tiranni volentieri applicano tecniche investigative così invasive, che l’indagine combacia sia con la Sentenza, sia con l’Esecuzione Capitale.
Tratto comune – e morale della favola – di tutti questi aneddoti: i despoti non si curano, se sotto la scure della Giustizia finiscono gli innocenti.