Toyotomi Hideyoshi, [nato il 17 Marzo 1537 (secondo Wikipedia edizione anglo-americana, o il 2 febbraio 1537, secondo quella italiana), morto il 18 Settembre 1598], è figura aborrita dai cattolici. Questo tiranno giapponese decretò la tortura, la mutilazione, l’umiliazione pubblica e quindi la condanna alla crocifissione di sei missionari francescani, tre gesuiti e insieme a loro diciassette giapponesi che avevano intenzione di convertirsi al cristianesimo. Tre erano ancora ragazzi. I ventisei martiri vennero giustiziati a Nagasaki, nel 1597.
Nel “Museo” che compare nel suo Artefice (El Hacedor) Jorge Luis Borges cita un passo – divenuto famoso – da un’opera di uno di quegli improbabili autori che egli ama al punto da doverli “inventare”: un certo Suárez Miranda, al quale attribuisce gli inesistenti Viajes de varones prudentes, editi a Lérida nel 1658. Lì si parla (libro IV, cap. XIV) d’un imperatore che commissionò ai suoi cartografi una mappa del proprio Paese in scala 1:1– esattamente eguale cioè, per dimensioni, alla Nazione stessa:
«…In quell’Impero, l’Arte della Cartografia giunse a una tal perfezione che la Mappa di una sola provincia occupava tutta una città, e la mappa dell’impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell’Impero che aveva l’immensità dell’Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le generazioni seguenti, meno portate allo studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza empietà la abbandonarono all’inclemenze del sole e degl’inverni. Nei deserti dell’Ovest rimangono lacerate rovine della Mappa, abitate da animali e mendichi; in tutto il Paese non c’è altra reliquia delle Discipline Geografiche…».
Nel congetturare una simile follia cartografica, Borges ha ben presente l’ipotesi teorica del filosofo nordamericano Josiah Royce, che nell’opera Il mondo e l’individuo (del 1899), notò questa contraddizione: “Immaginiamo che una porzione del suolo d’Inghilterra sia stata livellata perfettamente, e che in essa un cartografo tracci una mappa d’Inghilterra. L’opera è perfetta; non c’è particolare del suolo d’Inghilterra, per minimo che sia, che non sia registrato nella mappa; tutto ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal caso, deve contenere una mappa della mappa, che deve contenere una mappa della mappa della mappa, e così all’infinito” [desumo la citazione da C’era una volta un Paradosso, di Piergiorgio Odifreddi]. Il che, pare impossibile.
La contraddizione sarebbe però assai meno grave se trasportassimo – via nave, suppongo – la mappa in oggetto fuori dall’Inghilterra, per esempio in un deserto australiano. In questo caso, se la mappa mostrasse, mise en abîme, un’infinita replica di se stessa, sarebbe solo falsa.
Sia l’immaginario Suárez Miranda, sia il fin troppo reale Josiah Royce, contraggono nelle loro escogitazioni un debito non dichiarato con le acrobazie logiche di Lewis Carroll. Mi riferisco a un capitolo contenuto nel secondo volume di Sylvie e Bruno, l’ultimo romanzo del creatore di Alice, pubblicato per la prima volta nel 1893: quindi, qualche anno prima de Il mondo e l’individuo. Il protagonista del libro s’avventura in un dialogo di sapore matematico con un tedesco eccentrico, tale “Mein Herr” (o Signor Mio), che lo informa d’aver realizzato una Mappa del suo Paese “alla scala di un chilometro per un chilometro!”
Il suo interlocutore sembra nutrire qualche dubbio sull’utilità dell’impresa. E l’inventore infatti ammette che la Mappa si trova ancora accatastata in un enorme magazzino:
«“Non è stata ancora dispiegata,” disse Mein Herr. “I contadini hanno fatto obiezione. Hanno detto che avrebbe coperto tutta la campagna e offuscato la luce del sole. Così adesso usiamo la campagna vera e propria come mappa di se stessa e vi assicuro che funziona ottimamente».
Il paradosso, l’impossibilità fisica di queste Mappe Abitabili non dipende dall’estensione: la più perfetta di queste, sembra sia già condannata all’infinitezza, quindi, all’imperfezione. Ma forse è solo un abbaglio.
Nel tardissimo XX secolo, e anche al principio del XXI, ebbe fortuna, su una Rete che collegava tutti i computer del mondo, una Mappa Satellitare talmente dettagliata che, spinta all’estremo delle sue possibilità, avrebbe certamente mostrato qualcuno, seduto di fronte allo schermo (i computer, all’epoca, ne erano dotati) che poteva vedere se stesso mentre osservava la mappa: e a nessuno venne in mente che la cosa doveva essere impossibile.
Quello che sembra un paradosso e solo un divertimento logico, o un gioco letterario borgesiano, fu invece messo quasi in pratica, alla lettera, da Toyotomi Hideyoshi, dittatore militare e secondo dei tre “Grandi Unificatori” del Giappone. Hideyoshi ordinò una carta del paese che riportasse ogni grotta, le profondità dei mari davanti alle coste, nonché “le dimensioni e la qualità del suolo di ogni risaia e l’ubicazione di ogni canale di irrigazione. I contadini che non avessero fornito le informazioni necessarie – denuncia lo storico Fernandez-Armesto (in Millennium, cap. 7) –. sarebbero stati crocifissi, i proprietari terrieri che non avessero collaborato sarebbero stati passati a fil di spada”.
Cominciata nel 1583, la Mappa di Hideyoshi fu terminata nel 1598.
Attualmente ignoro quali fossero le sue reali dimensioni, ma non dovrebbero discostarsi troppo da quella vista, sterminata e lacera, da uno dei “Maschi Prudenti” di Suárez Miranda.
[in copertina: Hideyoshi e i suoi generali Kato Kiyomasa e Konishi Yukinaga studiano una Mappa della Corea, progettandone l’invasione]