I- Wittgenstein, fine giocatore, usò una volta in una sua lezione questa iperbole sugli Scacchi: “Adesso mi procurerò una regina con degli occhi terribili, che metterà in fuga tutti” gli altri pezzi.
Era naturalmente un paradosso: con il quale il filosofo intendeva dimostrare che nel giuoco degli Scacchi non c’è nessun riferimento alla realtà e l’aspetto delle pedine è puramente convenzionale.
Qualche dubbio però in questo campo va concesso. Se avesse ragione Wittgenstein, il gioco degli Scacchi non si sarebbe mai evoluto, perché, non se ne sarebbe vista la ragione.
Denis de Rougemont (ne L’Amore e l’Occidente) ci ricorda invece che gli Scacchi subirono in Occidente una rivoluzione storica, in senso “femminista”: “Nel secolo decimosecondo ha luogo in Europa un radicale mutamento nel gioco degli scacchi, originario dell’India. Al posto dei quattro re che dominavano il gioco primitivo, la Dama (o Regina) prende il sopravvento su tutti i pezzi, salvo il Re, che d’altronde vede il suo potere d’azione reale ridotto al minimo, pur restando la posta finale e il personaggio sacro”.
Estremizzando il pensiero del massimo studioso dell’Amore Occidentale, si può dire che fu quella una rivalsa delle Donne, e del contemporaneo Amor Cortese, sull’immaginario guerresco sotteso dagli Scacchi.
Le libertà che si prendeva la Regina nella Vita, entrarono a far parte del Gioco.
II- Trovo questa perla di racconto in Encyclopédiana, uno dei migliori di questo libro millenario di pagine e di aneddoti:
«Un Arcivescovo di Canterbury, viaggiando verso la sua casa di campagna, era solito fermarsi, per ristorarsi con il seguito, in un piccolo ostello isolato in mezzo a una foresta. Una volta, affacciandosi da una finestra dell’albergo, vide un uomo che passeggiava solo, avanti e indietro, per i boschi, gesticolando e movendo le labbra come un attore che ripetesse la sua parte; allora fu curioso di sapere cosa facesse questo strano tipo. L’avvicinò, e tra i due cominciò un dialogo che l’altro interrompeva di continuo, o con nuovi gesti, o sprofondando in un arcano soliloquio.
“A cosa vi state dedicando?”, gli chiese l’Arcivescovo.
“Ma, gioco!”
“E con chi?”
“Con Dio!”
Non c’era bisogno d’altro per persuadere l’arcivescovo che stava conversando con un pazzo; tuttavia, risolse di divagarsi ancora un po’. “E a quale gioco giocate?”
“Scacchi”.
“E, c’è una posta?”
“Sicuro!”.
“Se perdete, o vincete, come regolate i vostri conti?”
“Con estrema facilità. Se perdo, Dio mi invia ben presto un povero, al quale verso il mio debito. In questo momento, mentre vi parlo, ho subito un matto, e quindi ho perduto cinquanta ghinee”.
Appena ebbe pronunciate queste parole, trasse dalla borsa cinquanta ghinee, le consegnò all’Arcivescovo e fuggì per i boschi.
Il prelato non sapeva cosa pensare d’una avventura così singolare. Continuò il suo tragitto verso la casa di campagna e distribuì ai poveri che incontrava le cinquanta ghinee.
Tornando dalla villeggiatura, trovò di nuovo il suo uomo, sul medesimo sentiero, e gli venne incontro come fosse un vecchio amico. “E allora, state sempre giocando? La fortuna ha girato, nel frattempo?”. “Certe volte va male, certe volte bene”, rispose il giocatore; “oggi ho fatto le migliori mosse del mondo; nel momento in cui mi avete avvicinato, stavo vincendo la mia quinta partita consecutiva!”
“E adesso chi vi pagherà?”
“Voi!”, disse bruscamente l’altro, estraendo una pistola dalla tasca: “perché, come Dio mi invia sempre un povero quando perdo, non manca mai di mandarmi un ricco, quando vinco!”. L’Arcivescovo aveva con sé, in quel momento, cinquecento ghinee».
Dopo aver perso una fortuna in questo modo stravagante, la vittima tentò di ripagarsi con una rivalsa un po’ meschina. Volle togliere alla rapina ogni risvolto mistico e fantastico. Raccontando la storia, l’Arcivescovo concluse che, sicuramente, il giocatore folle era a conoscenza che, quel giorno, lui aveva indosso una grossa somma. Non s’era imbattuto in un pazzo, quindi, ma in un volgare furfante informato da qualche spia.
Però: un malfattore che ha una pistola in tasca certo non ha bisogno d’inventarsi una partita a scacchi con l’Altissimo, per depredare un prelato pingue, solo e disarmato. Allora?
[in copertina: Sofonisba Anguissola, Ritratto delle sorelle dell’Artista mentre giocano a Scacchi (1555), particolare]