È importante sapere che gli uomini appresero l’arte del clistere osservando un volatile, che può esserne definito l’inventore: “l’uso de’ Clistieri lasciarono Galeno e Polidoro Virgilio (libro I, c. 2), che fu appresso dall’Ibice [Ibis], uccello d’Egitto, non dissimile dalla Cicogna: questo uccello sentendosi divenuto stitico, riempie il suo lungo becco d’acqua marina, e se lo ponne nelle parti di basso, nel modo, che facciamo noi con i Clistieri; onde si scarica il corpo comodamente” [cito da: “Dei Clistieri in genere”, in Giuseppe Donzelli, Teatro farmaceutico dogmatico e spagirico, 1704].
Nonostante gli innegabili effetti terapeutici, è tipico del grand’uomo rifiutare l’enteroclisma.
Nello “Sciocchezzaio” di Flaubert, allegato al suo capod’opera Bouvard e Pécuchet, leggiamo: «Plotino morì per non aver voluto prendere un clistere “non ritenendo che fosse né conveniente né puro per un filosofo avvalersi di un tale rimedio”».
Vincenzo Gemito, straordinario artista italiano, seppe nel 1901 che Succi, il famoso Succi – un leggendario fachiro italiano, che Antonio Gramsci ritenne degno d’una novella di Kipling o di H.G. Wells – “durava un mese senza mangiare. Gemito s’impegnò di fare altrettanto e cominciò a digiunare”. A capo di venti giorni, era come morto.
I suoi famigliari, racconta Alberto Savinio, chiamarono allora un medico, che preparò all’istante un “clistere alimentare”. Mentre si approssimava al giaciglio di Gemito, lo scultore, che quasi agonizzava, aprì un occhio. Si rese conto dei propositi del cerusico e gli gridò: «“Verme! vorresti fare questo servizio a Vincenzo Gemito?”.
Dette queste parole Gemito scese dal letto, e troppo artista per praticare la forma diretta, prese dalla tavola uno scalpello, se lo poggiò al ginocchio, lo piegò come latta».
Non pagò quella superomistica ripulsa con l’estrema unzione: sopravvisse invece per altri 28 anni. Nei primi otto, proseguì in casa la sua volontaria “reclusione”.
Vincenzo Gemito, per chi non lo sapesse, era chiamato “O’ scultore pazzo”. In effetti, non durò molti anni di attività che finì al manicomio. Di lì evase, calando il classico lenzuolo dalla finestra. Arrivò a casa, ma visto che i famigliari, “pazzi di paura”, non vedevano l’ora che tornasse in manicomio, allora “baciò l’ammattonato, giurò che purché ce lo lasciassero non sarebbe mai più uscito di casa, e nonché di casa ma dallo studio; e fu così di parola che ci rimase diciotto anni”. Senza mai uscire. Solo nel 1909 recuperò una parvenza di vita sociale.
In verità, il ricorso al clistere è stato sempre ritenuto un atto vergognoso, ma solo da chi lo pratica saltuariamente: cioè, lo stitico sporadico.
Tuttavia, chi voglia evitare questa imbarazzante irrigazione intestinale, ma intenda ottenerne gli stessi risultati, apprenda da Encyclopédiana: ci fu un norvegese, vissuto fino a 147 anni, che per purgarsi usava inghiottire una palla di moschetto. Le ridava la luce nel modo più liberatorio, e più esplosivo.
[in copertina: Pescatoriello, di Vincenzo Gemito]