II- Hawthorne e i cadaveri delatori
Si crede che le indagini intorno agli omicidi, almeno fino al XVIII secolo, siano state facilitate da una particolare caratteristica dei Morti.
La Medicina (alleata della superstizione popolare) scoprì che i cadaveri d’uomini e donne si mettono normalmente a sanguinare davanti ai propri assassini; sdegno emorragico che essi producono allo scopo preciso di consegnarli alla Giustizia.
Il teologo frà Noel Taillepied, pubblicando nel 1600 il suo Traicté de l’Apparition des Esprits, afferma senza equivoci: ‘‘se un delinquente si avvicinerà al corpo della sua vittima, il morto comincerà a schiumare, trasudare e mostrare altri segni’’.
Sulla base di questo tipo di “testimonianza” del cadavere, fu deciso, a esempio, il processo contro Jonet Rendall, nel 1629.
«Ancora alla vigilia della Rivoluzione Francese, alcuni tribunali bretoni accettavano come prova processuale i “sanguinamenti” delle vittime”», ci informa lo storico Jean Delumeau.
In Normandia, la deposizione muta dei Defunti contro i loro assassini – via emottisi – era data per certa e per scontata. È questo il senso del proverbio popolare, da quelle parti e non solo: “Le sang rejaillit sur le coupable”: “Il sangue – del morto – ricade (schizzando) sul colpevole”.
Il giorno successivo alla sua dipartita, ossia il 7 luglio 1189, il corpo di Enrico II Plantageneto, duca di Normandia e sovrano d’Inghilterra, fu collocato nell’abbazia di Fontevrault. Le spoglie del re ricevettero l’omaggio del popolo e della corte, prima di essere inumate.
Appena alla bara si avvicinò il figlio Riccardo – dicono le cronache –, il naso del defunto Enrico cominciò a sanguinare “in segno d’indignazione”.
Si consideri che il re non era morto assassinato, ma di naturale malattia. Tuttavia Riccardo divenne subito colpevole agli occhi dei sudditi e dei congiunti e persino per la propria coscienza.
Fu schiantato dal rimorso perché – come si evinse dall’emorragia –, con le sue ribellioni aveva procurato così tante pene al padre, che la forte fibra di Enrico II ne era rimasta scossa per sempre, e l’aveva spinto prematuramente nella tomba.
Solo per inciso: Enrico II non era neanche lui uno stinco di santo. Fu il mandante morale e forse anche materiale dell’assassinio del primate di Inghilterra Thomas Becket, avvenuto nel 1170, durante una messa nella cattedrale di Canterbury.
Il romanzo Il Fauno di marmo di Hawthorne, che si svolge nella Roma moderna, descrive ancora in pieno Ottocento una di codeste sanguinagioni cadaveriche.
I tre protagonisti, penetrati in una cripta dove riposano le spoglie di un cappuccino, «videro che un rivoletto di sangue aveva principiato a colare dalle nari del frate; scorse pian piano verso il folto della barba, ove, nel lasso di pochi istanti, si nascose”.
“– Strano!” – esclamò uno di loro – “Conoscete naturalmente l’antica superstizione circa questo fenomeno del sangue che sgorga da un cadavere. Chissà che l’assassino del frate (o magari soltanto quell’assassino privilegiato ch’è il medico curante), non sia entrato in chiesa testè».
È noto in tutte le epoche che il medico può essere esecutore di delitti perfetti e più o meno involontari, ma non è questo che ha urtato certa critica letteraria, anche la più benevola. Fu imputato a Hawthorne di aver peccato di verosimiglianza, di aver ecceduto ricorrendo a un tale espediente esageratamente “gotico”. Fosse avvenuta, una tale ordalia del Sangue, nel Medioevo più superstizioso, passi; nel Seicento, ancora si può tollerare: ma reiterarla a Roma, a metà del diciannovesimo secolo, via, è un po’ ridicolo.
In realtà, Hawthorne non ha fatto che riferire nel romanzo un evento al quale ha assistito personalmente, e che si è verificato proprio come viene riferito nel romanzo. Il 17 febbraio 1858, il grande scrittore americano annotò nei suoi Diari d’aver visitato la celebre “Chiesa dei Cappuccini” (ora “di via Veneto”), a Roma. C’era, disteso nella cripta, il fresco cadavere d’un frate. “Il Fauno di marmo” – scrive Hawthorne in una nota ai Passages from French and Italian Note-Books – “riprende questa descrizione della chiesa e del monaco morto, che abbiamo davvero visto, esattamente come l’abbiamo raccontato; e ci fu persino quel flusso improvviso di sangue che scorreva dalle sue narici, appena ci mettemmo a guardarlo”. Fu una delle visioni più bizzarre e indimenticabili, cui avesse mai assistito.
Si può arguire da un fatto come questo, che le salme dei defunti, sanguinino, non solo in presenza dei loro assassini, ma anche dei romanzieri che turbano il loro sacrosanto riposo?
[CONTINUA]