Tutti i pianeti del nostro sistema solare, esclusa la Terra, portano infatti i nomi di Divinità greche o romane: Mercurio, Marte, Venere, Giove, Saturno – dai tempi del paganesimo –, Urano e Nettuno – da quelli dei secoli illuminati o positivisti (13 marzo 1781, 23 settembre del 1846). Il povero Plutone – scoperto il 13 marzo 1930 –, così importante per l’astrologia, è stato recentemente, e spietatamente, declassato a “pianeta nano”, come ce ne sono molti altri nella fascia di Kuiper. Però anche lui si fregia d’un nome latino, da idolo, da “Dio pagano”.
E qui sta il “busillis” che vorremmo affrontare in questo articolo.
I- Il primo lavoro intellettuale sulla Terra fu quello del “Solutore di Enigmi”. E il più grande codice enimmatico che si è manifestato agli Uomini, non è stato, tout-court, il “gran libro della natura” galileiano: ma “il cielo stellato sopra di noi”. Una miriade infinita di Segni celesti che “doveva” esser dotata di senso.
In nessun momento il Firmamento è apparso all’Umanità un bruto dato naturale: fin dalle prime coscienze. Che cosa raccontava il cielo? E con quale lingua universale? Il primo sforzo fu quello di separare il mobile dall’immobile. Poi, combinatoriamente, legare tra loro le stelle con un tratto, in modo che formassero figure di racconto: nacquero le costellazioni.
«Il più “antico tesoro,” – scrivono De Santillana e von Dechend –, “lasciatoci dai nostri predecessori di quel Lontano Passato è l’idea che gli Dèi siano in realtà astri e che non ne esistano altri. Le forze risiedono nel cielo stellato e tutte le storie, i personaggi, le avventure di cui narra la mitologia si concentrano su coloro che, fra gli astri, sono le potenze attive, i pianeti. […] Quelli che, in astratto, potrebbero essere per l’uomo moderno i diversi moti di questi indicatori sul quadrante, divennero, in tempi ignari di scrittura, quando ogni cosa era affidata alle immagini e alla memoria, il Grande Gioco che si svolgeva nel corso degli eoni, un racconto senza fine di posizioni e di rapporti iniziato a un dato Tempo Zero, una complessa rete di incontri, drammi, accoppiamenti e conflitti».
Già Luciano di Samosata, nel suo dialogo Sull’Astrologia, aveva opinato che nella favola di Ares e di Afrodite, presi al laccio durante un connubio d’amore dalla rete di Efesto, doveva esserci un risvolto di verità”: e che il vero racconto, originario, dal quale attinse anche Omero, riguardava un’antica e osservata “congiunzione” dei Pianeti cui era stato dato quel nome. È probabile, commentano ancora DeSantillana e von Dechend, che la “rete” con cui il Dio zoppo avvolse gli adulteri, fosse quella delle Pleiadi, il luogo del quadrante stellare nel quale era avvenuto il loro fatale accoppiamento.
Se questa ipotesi, oltre che convincente, è vera, la Grammatica che precedé l’umana scrittura dové essere una grammatica celeste: i sostantivi erano i pianeti, le azioni, le loro rotazioni, i contesti – i luoghi in cui apparivano nel quadrante stellare.
Dato un nome mitico a ognuno di questi soggetti, congiungimenti e disgiunzioni diventavano Storie. Nel Firmamento stellato si incrociavano i destini divini come nel Castello di Italo Calvino le carte uscite dalle “mani” di Tarocchi.
Per millenni gli uomini, grazie a questo gioco celeste, non hanno avuto bisogno di scrivere. Nessun racconto d’azione umana valeva quello che avevano osservato in cielo, o che continuavano a vedere tra le stelle: e se le gesta degli uomini erano veramente grandi, erano un canovaccio terreno, ben più mediocre, di quanto era stato visto nel planetario che si accendeva ogni notte.
Imitazioni, copie artefatte, mimesi. Eroi, ma anche uomini e donne comuni, ripetevano sulla Terra un eterno ritorno di cose già viste nella Volta Celeste.
II- Anima avevano gli Astri, a detta di Tolomeo e di tutti i pagani; gli Israeliti la pensarono allo stesso modo; e quando vennero i seguaci di Gesù, sui Corpi Celesti sostanzialmente non mutarono parere. Per alcuni Padri della Chiesa, Giove, Marte, Venere, tutti dotati di anima, nel loro moto incessante testimoniavano la bellezza del Creato, nonché la lungimiranza e le virtù “architettoniche” del Signore.
Dionigi Aeropagita, nel IV secolo, collegò gli ordini angelici e le gerarchie spirituali al moto delle sfere planetarie.
Origene – che a loro attribuì il libero arbitrio –, nel Secondo Libro dei Principii, opina: “le anime dei corpi celesti sono state create prima di essi, e di malavoglia sono entrate in cotesti corpi”; e inoltre sospetta che «gli astri abbian peccato, e che il Redentore sia morto ancora per essi, “poiché”, dice, “neppure gli astri sono del tutto puri al cospetto di Dio, giusta quel luogo del libro di Giobbe: Et stellae non sunt mundae in cospectu eius”».
Esiste infatti un “Inferno delle Stelle”: ne parla Il Libro di Enoc, che gli Etiopi considerano parte integrante della Scrittura.
Quando Enoc giunse a un luogo alla “fine del cielo e della terra”, gli venne mostrata la “prigione delle stelle”, dove gli astri malvagi “si rotolano nel fuoco”: un luogo di dura e ardente purgazione creata da Dio per punire la loro “ribellione”.
La loro colpa non è chiara, ma si dice che abbiano meritato il castigo perché “hanno trasgredito l’ordine del Signore fin da prima del loro sorgere”.
Riporta Leopardi che Stelle e Pianeti furono considerati “animati” anche dai cristiani usciti dal Medioevo, persino dagli scienziati: e primi tra loro “Ticone [Tycho Brahe] il cittadino del cielo, Keplero il padre dell’astronomia moderna, il rigeneratore della scienza celeste, il legislatore degli astri”.
L’idea che gli Astri posseggano un’Anima, o siano “dotati d’autonoma volontà”, ripugna invece ai Cosmologi nostri contemporanei. Ma perché? Perché riteniamo che solo gli “organismi viventi”, anche i più minuscoli e miserabili, si battano per la propria sopravvivenza e perpetuazione? Cosa impedisce allo scienziato d’attribuire (come fecero gli antichi) le stesse capacità d’autoconservazione ai Corpi Celesti?
Si potrebbe, forse, riconoscere una dose di “volontà” in tutto quanto è soggetto alla gravità. Come mai i pianeti girano su stessi e intorno al sole, invece di caderci dentro? Una risposta sensata potrebbe essere: per istinto di sopravvivenza. I Corpi Celesti si comportano come se volessero sopravvivere, sfuggire al collasso: non è escluso, allora, che in futuro si prenderanno in considerazione, nuove leggi per il “darwinismo stellare”.
Ma lo dico solo per avanzare un’ipotesi “fantastica”: il problema che ora vorrei affrontare non è questo.
III- Il problema vero è: se tale era l’importanza degli Astri, come mai, dico, in duemila anni di Cristianesimo occidentale, a questi Corpi Celesti, animati, ragionevoli, probabilmente angelici, come mai, ripeto, in venti secoli e passa, ai pianeti, alle stelle, alle costellazioni, si tollerò venisse lasciato un nome pagano?
E non un nome qualsiasi, laico e profano, ma proprio il nome degli Dèi, gli stessi che erano ritenuti demòni?
“Omnes dii gentium daemonia”, ossia, secondo la formula indiscussa di sant’Agostino: “tutti gli Dèi dei pagani sono demòni”. E lo sono, non per giudizio dei Teologi, ma per loro stessa ammissione. Accadeva ancora, ai tempi di Tertulliano (lo dice Voltaire), che i seguaci di Cristo, col solo segno della croce sugli idoli, costringessero “Giunone, Minerva Cerere Diana a confessare la loro qualità di diavolesse” .
Se dunque erano immondi, gli Astri, perché la Chiesa Cristiana non li ha purificati, a cominciare dal nome? Perché ha lasciato gli Dèi dove sono, in Cielo, dopo averli chiamati diavoli e Anticristi? Perché i nomi idolatri di Stelle e Pianeti sopravvissero alla condanna cristiana dell’Astrologia, dello Zodiaco?
L’Enigma della conservazione dei “Nomi dei Pianeti” permane, è lo stesso, nei nomi dei mesi e perfino dei giorni, che in molte lingue dell’Occidente hanno mantenuto anch’essi delle connotazioni pagane: gennaio, febbraio, marzo, ecc., martedì, mercoledì, addirittura “Giove-dì” e “Vener-dì”, in italiano. C’è da domandarsi, allo stesso modo che per gli Astri: come mai la Chiesa di Roma non è intervenuta a riformare e a disinfettare questi termini, d’uso fin troppo comune?
IV- Nei primi decenni del Seicento, Pio Rossi, pubblicando il Convito morale per gli etici, economici e politici, giustamente, da cristiano, si sdegna così: “la perfidia umana ha voluto infamare infino il cielo, e fra le stelle chiare e risplendenti riporre la mercede degli stupri (chiamando le medesime con nomi d’uomini scelerati: di Giove, di Saturno, di Marte, e d’altri simili)”.
Il secolo è quello giusto: si può soppiantare il Rinascimento, col suo “ritorno degli antichi Dèi”, e proseguire nel solco della Controriforma. Chiese e Inquisizioni appaiono potenti quanto mai prima: perché non si è approfittato per sbaragliare questo corteo pagano che ci appanna la Via Lattea con nomi lascivi?
Addirittura Venere ci osserva luminosa ogni sera, ricordandoci che esistono Eros e Lussuria: come rifuggire le sue tentazioni?
Invece: quando, a partire dalle osservazioni astronomiche di Galileo, si scopersero i satelliti dei grandi pianeti del sistema solare, a quelli furono dati nomi egualmente presi dalla mitologia pagana. Un satellite di Giove fu battezzato Titano, nel cattolicissimo, contro-riformato, diciassettesimo secolo.
Chi avrebbe protestato se invece di Venere la Chiesa Latina avesse chiamato quel pianeta, che so: la Maddalena, o Giove: Giuseppe, o Marte: San Paolo? Oggi, chi si ricorderebbe del dio Saturno, se non fosse rimasto associato a un giorno e a un astro del nostro sistema solare?
A questi Corpi Celesti i Concili dovevano dare denominazioni cristiane: almeno quelle delle Potenze che reggono il Trono, o le altre schiere angeliche dei perenni laudatori di Dio. Ma non l’hanno fatto: perché?
Che gli Astri non si chiamino come gli Angeli, o come gli Apostoli Santissimi, nell’Occidente cristiano, è ancora più enigmatico spiegarlo, se si considera (lo sostiene Morton Smith, e lo approva Elémire Zolla) che fu Gesù medesimo a parlare ai discepoli “dei loro nomi iscritti in cielo: della loro identificazione, al termine della salita mistica, con una particolare stella o costellazione”.
Anche se fu il Redentore stesso a incidere i nomi degli Apostoli sugli Astri, la Chiesa di Roma non divulgò, né volle, né permise questa denominazione “iniziatica” e decise che rimanesse segreta.
Pare anche che intorno al 1100 ci fu, tra i teologi cristiani, chi disse che il Cristo risorto era sì, asceso al Paradiso privo di prepuzio, com’era ormai lui stesso da più di trentatré anni, ma che il prepuzio in questione, per suo conto, si trovava in Cielo, e era andato a formare uno degli anelli di Saturno, a santificazione di quel Pianeta.
V- Qualcuno potrebbe ribattere: riformare i nomi pagani dei Pianeti, e cristianizzarli, e allo stesso tempo mutare anche le denominazioni dei mesi e dei giorni, era impresa troppo grande per qualsiasi potere temporale, e troppo andava contro l’uso e il buon senso. L’obiezione non va presa in considerazione. Stiamo parlando della stessa Potenza, la Chiesa, che piantava la Croce sulle basiliche romane e le convertiva, da un giorno all’altro. La stessa Autorità che trasformava le feste degli idolatri in celebrazioni cristiane, facendole cadere nello stesso giorno.
Solo appellandosi al Lume della Ragione, il governo che spazzò via la Monarchia, dopo la Rivoluzione Francese, impose a tutti i cittadini un nuovo calendario e, davvero contro ogni consuetudine e contro il senso comune, li costrinse a abiurare le vecchie unità di misura e a adottare il sistema numerico decimale. Nel nuovo calendario scomparve qualsiasi riferimento ai nomi degli Dèi pagani. Ogni scadenza fu associata a un prodotto della natura, a uno strumento agricolo o a un animale domestico. I mesi dell’anno si chiamarono da allora in poi: Vendemmiaio, Brumaio, Piovoso, Termidoro, Fruttidoro, Germinale, ecc. A essi si aggiunsero, per pareggiare i conti, dieci “giorni sanculottidi”. Il capodanno slittò dal primo gennaio al 22 settembre 1792, giorno di proclamazione della Repubblica.
Le norme erano drastiche e inaudite, eppure i francesi a partire dal 24 ottobre 1793, si adeguarono al nuovo regime, e anche le nazioni travolte (o liberate) da Napoleone dovettero far proprie quelle direttive, almeno fino al 1806.
Il 5 maggio – cioè il 15 Fiorile – del 1871, i comunardi di Parigi ripristinarono il calendario rivoluzionario: ma la loro esperienza fu breve e soffocata nel sangue.
Il filosofo francese Augusto Comte escogitò nel 1849 un Calendario perenne di 13 mesi, ispirato alla “Religione Positivista dell’Umanità”. in cui ai nomi dei Santi venivano sostituiti quelli dei grandi uomini. I mesi fino allora contrassegnati da appellativi paganeggianti, si chiamavano come gli Eroi dell’Arte, della Letteratura, della Scienza, del Governo, della Strategia: Mosè, Omero, Dante, San Paolo, Cesare, Shakespeare, Descartes, ecc. La proposta piacque e fu recepita in tutto il mondo, per cui ancora al tempo di Alberto Savinio, “se un positivista residente a Montevideo ha da scrivere una lettera a un positivista residente a Lione, pone in capo alla lettera li 12 Archimede oppure il 25 Giordano Bruno”.
Perfino, dunque, i senzaddio riuscirono a imporre nuovi nomi dei mesi.
Paradossale è che questo coraggio astrologico e astronomico lo abbiano avuto proprio i rivoluzionari francesi inebriati di mode pagane, e non i Papi che, soprattutto durante il Medioevo, avevano ben altri e sovrumani poteri, non di convinzione, ma di coercizione. Il ribaltamento dei Nomi dei Pianeti, di cui ho parlato, era ampiamente alla loro portata.
E anche più tardi, nel 1584, la riforma gregoriana del calendario avrebbe potuto dimostrarsi, in questa direzione, più incisiva e “integralista”.
Gregorio XIII, senza timore di sommosse, soppresse addirittura 10 giorni dalla storia dei popoli e delle nazioni: alla mezzanotte del 4 ottobre non subentrò il 5, ma il 15 di ottobre. Eppure il papa non toccò il nome di quel giorno, lunedì, né il significato “mitologico” che questo nome comportava. Né si pensò fosse giunto il momento di esorcizzare il Cielo dai Diavoli che occhieggiavano lassù, travestiti da Pianeti.
VI- A questo punto, come risolvere il nostro quesito principale: perché mai i Pianeti hanno mantenuto il loro Nome Pagano, nonostante lo strapotere della Chiesa?
Al momento, non ho soluzioni al problema che ho posto, ho dubbi.
Sondando la saggezza proverbiale dei Rabbini, si può forse trovare una risposta provvisoria alla questione.
«Fu chiesto a Roma agli anziani ebrei: “Se il vostro Dio non si compiace dell’idolatria, perché non la fa cessare?”.
“Se la gente adorasse cose di cui il mondo potrebbe fare a meno, – risposero – la farebbe cessare; ma adorano il sole, la luna, le stelle. Dovrebbe distruggere il Suo Universo a causa dei pazzi?”».
Questa tesi, se fosse quella giusta, renderebbe vana qualsiasi disputa sulla denominazione dei Pianeti. Al massimo, la controversia sarebbe una propaggine dell’annoso dibattito: realismo/nominalismo. Qualsiasi nome o attributo si fosse dato ai pianeti, o alla nostra stella, gli uomini avrebbero comunque provato la tentazione di adorarli.
Gli Astri, così belli, grandiosi e scintillanti, sobillano nell’Uomo una antica e connaturata nefandezza: la propensione per l’idolatria. O, peggio, per il Panteismo.
Già una perniciosa Tradizione cristiana, in odore di Gnosi, cominciava ad equiparare i Dodici Apostoli con i dodici segni dello Zodiaco. Probabilmente, giunti al bivio della scelta, i papi e i teologi più sensibili non si batterono per rinominare gli Astri, volendo preservare Angeli e Beati dal traffico di oroscopi che da allora in poi sarebbe stato fatto nel loro sacro nome. Evitarono d’associare figure venerabili a una materia – quella dei responsi astrologici – che laica, pagana, ed esecrabile, doveva rimanere.
Forse, ipotizzo, la Chiesa di Roma ha lasciato ai pianeti intelligenti i nomi diabolici degli Dèi latini proprio perché nessuno li venerasse più come Iddii – anche se sotto il nome di Santi. Preferendo che l’Astro che brilla di lassù, nei nostri cieli, portasse, almeno, il nome d’un inutile e un po’ ridicolo Buon Diavolo.
[in copertina: Giove (Zolfo/Aria), Nettuno (Mercurio/Acqua) e Plutone (Sale/Terra), affresco del Caravaggio nel Casino di Villa Ludovisi, a Roma]