I- L’imberbe Adamo e lo sfruttamento padronale in Eden
Come molte altre cose sulla Terra (ma non Eva) il Lavoro Minorile fu creato insieme a Adamo. Si può anzi parlare nel suo caso di Lavoro Infantile, più che minorile: e meglio ancora sarebbe definirlo “Lavoro Neonatale”.
Adamo non aveva neppure festeggiato il primo giorno d’età quando fu messo a “faticare”.
Si pensa erroneamente che il nostro progenitore cominciò a guadagnarsi di che vivere solo quando fu cacciato dal Paradiso Terrestre assieme alla moglie, perché prima soggiornava in una specie di Bengodi o pinocchiesco Paese dei Balocchi, dove faceva “la vita del Michelaccio”: ma non è così.
In Genesi (3, 17-19) in effetti si legge che il Signore Iddio, un tantino alterato per la sua disubbidienza, disse a Adamo: “maledetto sia il suolo per causa tua! / Con dolore ne trarrai il cibo / per tutti i giorni della tua vita. / Spine e cardi produrrà per te / e mangerai l’erba campestre. / Con il sudore del tuo volto ti procurerai il pane; / finché tornerai alla terra, / perché da essa sei stato tratto: / polvere tu sei e in polvere tornerai!».
Il passo si è impresso così profondamente nella memoria di tutti che l’immaginario collettivo si è convinto che il Lavoro sia stato comminato al genere umano come condanna e come punizione per il Peccato Originale. In realtà era stato creato in precedenza. Non è che Adamo e Eva stessero in Eden in vacanza. Sgobbavano per Dio, ma: senza sudare. Tutta qui sta la differenza. Il primo Libro della Bibbia (2, 15) lo puntualizza in modo esplicito, là dove afferma che “il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”.
Lo ribadisce la madre di noi tutti, Eva, nell’Apocalisse di Mosè, testo apocrifo veterotestamentario, probabilmente datato I secolo dell’era volgare. Al Serpe, invidioso degli Uomini, che la interrogava come un Ispettore del Lavoro sulle sue mansioni in Eden (e con lui c’era il Satana, che le apparve nell’aspetto d’un Angelo splendente) la sciagurata rispose: “Dio ci ha messi a fare la guardia e a mangiarne (dei suoi frutti)”. Di tutti, meno che di uno.
Da una lettura di Genesi non superficiale s’evincerebbe dunque: che il giardino del Paradiso Terrestre era più importante, agli occhi del Signore, che non Adamo stesso. E che l’Onnipotente creò l’uomo, plasmandolo con la polvere del suolo di qualche paese mediorientale, e inalandogli un’Anima vivente, esclusivamente a questo scopo: farne un bracciante, un massaro, al massimo, un mezzadro che “soggiogasse” la terra gettando sulle cose, ma per Suo conto, uno sguardo “padronale”. Quindi, l’Uomo non fu creato nel Paradiso Terrestre, ma per il Paradiso Terrestre. Nel caso di Adamo, sarebbe pericoloso scambiare il luogo di nascita con la residenza. Certo, non era del Paradiso. Era un emigrato. Così si poté espellerlo, più facilmente, come indesiderabile.
Lui e Eva erano Servi; poveri d’anni e d’esperienza, nonché sottopagati: vitto e alloggio solamente, anzi non avevano neppure una casa, perché, come dice Filarete, il primo tetto che li riparò dalla pioggia furono le loro stesse mani, con le dita intrecciate sopra la testa. Né altro possedevano: nemmeno una tuta da lavoro, neppure tasche per conservare un obolo, un salario: giravano nudi. Perché stupirsi allora se, quando dimostrarono di possedere un certo “libero arbitrio”, si ribellarono contro lo sfruttamento al quale erano sottoposti? Dietro il Peccato si nascose forse un atto (non dichiarato e neppure da loro percepito come tale) di lotta di classe. Bisognerebbe rileggere i capitoli della “dialettica servo-padrone” nella Fenomenologia di Hegel per capire di più, di questa loro Infrazione misteriosa.
II- Non c’erano fuochi accesi, nel Paradiso Terrestre. Almeno non se ne ha notizia. Non c’era bisogno di inventarli o di rubarli a nessun Dio, come fece Prometeo. Di erba fresca e frutta vivevano tutti, uomini e bestie, compresi gli animali selvatici più grandi e più dentuti, e quella del custode dei campi, e contadino, fu, per Adamo, la condizione naturale, prima della Cacciata. Il cibo era, sì, a disposizione, ma andava tirato giù dagli alberi, oppure coltivato e rastrellato; come lasciano intendere i detti dei Rabbini, quando sentenziano: “Neppure il primo uomo gustò qualcosa prima di aver lavorato”.
Genesi non parla mai d’un Adamo che dissoda l’Eden con la vanga, ma certamente anche il suo “dar nome” a tutti gli Enti esistenti – ufficio al quale l’obbligò il Signore –, fu un Lavoro, e non dei più grati o leggeri.
Infatti il nostro progenitore, al cospetto del Signore, conferì un Nome a tutte le cose e a tutte le creature: e lo fece – la pregevole metafora è di Filone – “come un principe distribuisce titoli”: ma con l’approvazione, aggiungo, dell’Imperatore. Dovette quindi condurre questa operazione con la paura di sbagliare e con un certo affanno, perché gli fu comandato di catalogare tutte le specie animali, tutti i vegetali e tutti i minerali (compresi i funghi, che non appartengono a nessuno dei tre Regni) in meno d’un giorno. Pare che gli toccò poi classificare anche i pesci, i molluschi, gli invertebrati e i mammiferi marini inclusi quelli degli abissi. I biblisti ignorano però come poté vederli, considerando che in Eden non scorreva acqua salata. E poi, che dire degli astri che brillavano in cielo, a uno a uno? Quando, come, finì di enumerarli? Ma forse, oltre alla luna, al sole, e ai cinque pianeti che orbitano nel firmamento, nessun altro astro era visibile. La luce delle Stelle necessita di un tempo immensamente superiore ai “sei giorni”, prima di arrivare sulla Terra. Il Cielo di Adamo, nelle notti senza luna, doveva apparire buio, come quello di un cieco.
In ogni caso, finendo il suo lavoro di Denominatore, Adamo sicuramente era spossato. Non gli bastò come attenuante, la stanchezza, quando durante il suo relax con la moglie si concesse il lusso di sbocconcellare un frutto che forse neanche ricordava – tanto era stracco in quel momento –, fino a che punto fosse proibito.
Da allora migliaia di commentatori hanno vergato milioni di pagine in cui si sono lambiccati per spiegare quella che a tutti i lettori di “buon senso”, pare un’enorme e insondabilmente misteriosa sproporzione tra colpa commessa e pena comminata.
Secondo Stendhal (per citarne solo uno) il “Dio infinitamente buono” della Bibbia, si sarebbe “irritato per il peccato di due persone create da lui palesemente perché quel peccato lo commettessero”. Lo scrittore opina che Dio si sarebbe dovuto comportare con Adamo e Eva come noi, se per caso siamo feriti da un uccello impaurito per la nostra improvvisa apparizione. Ma non accadde proprio questo? Non scacceremmo quell’uccello esattamente come il Signore fece con i nostri progenitori? Anzi, nel caso valesse la pena anche dargli la caccia, è probabile che noi spareremmo subito al volatile con una doppietta caricata a pallettoni, o lo rincorreremmo giù per i campi con uno spiedo.
Stendhal dimentica, come molti altri, che Dio è stato anche Legislatore. E dei più severi.
Allora: letto con la lente di una progredita giurisprudenza del Lavoro, il Peccato Originale assume tutto un altro aspetto e ben altri contorni. La Cacciata appare sproporzionata solo quando non si analizza il fatto in sé, il reato. Adamo e Eva erano stati non assunti, ma addirittura “creati” come custodi del Giardino: invece 1) non sorvegliarono le entrate; 2) permisero a un serpente di issarsi a forza di braccia sull’Albero del Bene e del Male, al quale nessuno doveva avvicinarsi; 3) non diedero l’allarme, e non si accorsero delle cattive intenzioni del complice che ispirava il Serpe, cioè Satana; 4) messi a far la guardia a un bene giudicato il più prezioso dal suo Proprietario, lo rubarono, e ne godettero l’uso per primi; 5) non avvertirono il loro Padrone di quel che era successo, e anzi si diedero alla macchia e si nascosero, con la scusa ridicola che “erano nudi”.
Vennero quindi cacciati: ma si trattò d’un licenziamento per “giusta causa” al quale nessun sindacato avrebbe potuto opporsi.
Erano “minori”, lo si ammetta pure, certo, ma nessun Codice del Lavoro li proteggeva. Non dobbiamo scandalizzarci, per questo. Stiamo parlando di episodi che risalgono a più di seimila anni fa. La tutela, per legge, del Lavoro minorile è un’invenzione non moderna, ma modernissima, questione di anni. Tant’è che sul nostro pianeta in moltissime nazioni viene del tutto ignorata, e non solo non figura nella legislazione, ma proprio non esiste come “concetto”.
Le stime statistiche rilevano l’ampiezza del fenomeno: nella sola area asiatica si parla di centinaia e centinaia di milioni di bambini che vengono immessi sul mercato del lavoro, e in tutti quei paesi del Globo che noi lasciamo colpevolmente poveri si moltiplica ogni giorno il loro impiego, svolto in condizioni di lavoro antiigieniche e malsane, pericolose per la loro incolumità e per lo sviluppo della loro crescita naturale. E la cosa peggiore da scoprire, una vergogna, è che anche noi, in Occidente, chiudiamo gli occhi sugli infiniti casi di sfruttamento dei bambini che ci circondano, nei nostri stessi Paesi.