I- Il 5 agosto 1473, per celebrare con i suoi compaesani la festa della Madonna della Neve, Leonardo torna da Firenze nel suo borgo natio, Vinci. Raggiunto un luogo elevato nei dintorni, si ferma a osservare il paesaggio. Altre volte, fin da giovanissimo, avrà desiderato fissare su un foglio quel panorama, ma solo adesso, a 21 anni, afferra finalmente la penna appuntita. E disegna.
Questo gesto che oggi a noi pare il più banale per un artista, è invece il sigillo di un primato.
Leonardo è stato il primo tra i pittori dell’Occidente, a “disegnare un paesaggio”, come lo intendono i moderni. Anche in questo l’artista fu un innovatore, dotato del dono di una Visione totalmente differente da quella dei suoi contemporanei…. un Altro Sguardo con cui riscopre la Natura come fosse generata in quel momento.
Fin da ragazzo, Leonardo ha intuito che lo studio della natura doveva essere interamente rinnovato, e rifondato sulla scorta di un’accurata osservazione:
“La natura” – ha lasciato scritto – “è piena d’infinite ragioni che non furon mai in isperienza, [..] la quale è maestra vera”. Le cose “che con isperienza ogni ora si possono chiaramente conoscere e provare, sono per tanti seculi ignorate o falsamente credute!”
E poi: “ricordati d’allegar prima la sperienza e poi la ragione”
II- Leonardo, nato a Vinci nel 1452, ha solo 22 anni quando dipinge il suo capolavoro giovanile: L’annunciazione, e poco più tardi, nel 1481, comincia la grande pala dell’Adorazione dei Magi. L’opera, incompiuta, spazza via ogni convenzione e non appartiene a nessun genere noto fino allora.
La illumina, interiormente, una sola luce: la luce del Genio.
Rotto l’argine della Tradizione, da quella breccia l’ingegno di Leonardo si prodiga a ridisegnare il mondo, a riempirlo senza sosta di invenzioni nuove e di figure, spaziando ben presto in ogni campo del sapere, e padroneggiandolo: dall’astronomia, alla fisica, dall’ottica all’anatomia, dalla geometria all’arte del chiaroscuro. Con la ferma volontà, d’uomo moderno, e laico, di costringer la Natura a rivelargli ogni segreto.
Per raggiungere questo scopo Leonardo si propose di rifondare il significato stesso del “guardare”, creando un nuovo modo di vedere: vedere se stessi, e il mondo esterno, alla luce della grande avventura dell’evoluzione dell’Occhio umano:
“…l’occhio, che così chiaramente fa sperienza del suo ofizio, è insino ai miei tempi per infiniti autori stato definito in un modo: trovo per isperienza essere un altro”. “L’occhio (è) universale giudice di tutti i corpi”; ”l’occhio, che si dice finestra dell’anima, è la principale via donde il comune senso può più copiosa(mente) e magnificamente considerare le infinite opere di natura”.
E questo nuovo modo di “guardare” lo porta a riscoprire il lato “fantastico” della visione:
“Se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, potrai lì vedere similitudine di diversi paesi ornati di montagne, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose […]; entreviene in simili muri e misti come del sòno di campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocavolo che tu immaginerai”.
Vedere è anche, per l’artista (come per l’uomo comune), giocare con la propria immaginazione.
III- I due dipinti a soggetto sacro e profano più famosi nel mondo, li dobbiamo al genio e al pennello dello stesso pittore: l’italiano Leonardo da Vinci.
La “Gioconda” – detta anche “Monna Lisa” –, esposta al Louvre di Parigi, quadro privato, da cui Leonardo non si è mai separato, ci sorride oggi come il suggello di tutti gli enigmi di Leonardo. Il suo segreto di sfinge non è mai stato sciolto.
A Milano, nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, è visibile l’affresco pubblico, icona irrinunciabile, archetipa folgorante creazione, che ha stabilito una volta per sempre il canone ideale di una rappresentazione religiosa: l’Ultima Cena di Gesù.
Come e più della Gioconda, anche il Cenacolo (cominciato nel 1494) è stato studiato – o, meglio, ammirato – come un messaggio in codice, una crittografia ricolma di misteri.
La scelta di Leonardo non fotografa il momento della benedizione del pane e del vino: la nascita dell’Eucarestia. È il coup de théâtre che ispira il dipinto; si sono appena spente le parole di Cristo: “uno di voi mi tradirà”…
Racconta il Vangelo di Matteo che Gesù,
“venuta la sera, si mise a mensa con i dodici. E mentre mangiava disse:
‘in verità io vi dico
che uno di voi mi tradirà’.
Ed essi grandemente contristati, cominciarono a chiedergli:
‘sono forse io, signore ?’
Egli rispose:
“colui che ha messo insieme a me la mano nel piatto, quegli mi tradirà”…
La repentina protesta degli Apostoli li ipostatizza in pose sorprendenti: puntigliosamente descritte dall’artista:
“uno che beveva …lasciò la zaina nel suo sito, e volse la testa verso il proponitore…
un altro tesse le dita delle sue mani insieme e co’ rigide ciglia si volta al compagno…
l’altro colle mani aperte mostra le palme di quelle e alza le spalli inver li orecchi e fa la bocca della maraviglia…
un altro parla nell’orecchio all’altro, e quello che l’ascolta si torce inverso lui e gli porge li orecchi, tenendo un coltello ne l’una mano e nell’altra il pane mezzo diviso da tal coltello…
l’altro, nel voltarsi, tenendo un coltello in man, versa con tal mano una zaina sopra della tavola…
l’altro posa le mani sopra della tavola e guarda…
l’altro soffia nel boccone…
l’altro si china per vedere il proponitore e farsi ombra colla mano alli occhi…
l’altro si tira indirieto a quel che si china, e ‘l vede il proponitore infra ‘l muro e ‘l chinato”…
In questo parapiglia, due personaggi mantengono una calma irreale.
Uno è Gesù, l’altro l’orrido Giuda. Il traditore stringe nella mano quello che le Scritture gli attribuiscono: il prezzo pattuito, la borsa dei trenta denari.
Per trovare i modelli e i caratteri che potessero incarnare i personaggi, Leonardo perlustrò senza sosta i quartieri di Milano, anche i più malfamati, mai separandosi dal suo taccuino degli schizzi. Gli ci volle più di un anno prima di imbattersi in un volto, o meglio un profilo, che reggesse il confronto con l’abbiezione di Giuda.
L’abominio perpetrato corrode e scava il volto del traditore: la faccia perduta a metà, l’anima invece, tutta.
Già i primi cristiani si chiesero, come poté Giuda tradire il suo Signore Gesù nonostante ne avesse appena ricevuto il Corpo Divino sotto forma di mollica. Egli era in quel momento sublimato in santo, e quindi doveva subito pentirsi delle proprie male azioni. Alcuni apologeti tuttavia trovarono la soluzione del mistero: perché Giuda – dissero – in realtà, quell’Eucaristia non l’aveva trangugiata. Per irrisione, aveva solo finto d’inghiottirla, e l’aveva trattenuta segretamente nel palato. Così sostiene ad esempio Teofilatto, arcivescovo di Ochrida (Bulgaria): “Giuda infatti prese il pane e non lo mangiò; ma lo nascose, per mostrare ai giudei che Gesù chiamava pane il suo corpo”.
IV- I lenti progressi dell’affresco del Cenacolo, le tecniche e i colori nuovi utilizzati quasi per esperimento, il metodo stesso del lavoro di Leonardo, divennero leggenda già tra i contemporanei.
Racconta un testimone, il Bandinelli, che Leonardo ogni giorno si levava all’alba a “contemplare” il suo dipinto. Poi per due, tre ore, lo “ritoccava” soltanto – quindi, al tramonto, tornava al suo studio. A volte, dipingeva forsennatamente per ventiquattrore intere – ma poi, passavano settimane, senza che lo si vedesse mai “por mano al pennello”.
“È bono” – spiega Leonardo – “spesso levarsi e pigliare un poco d’altro sollazzo, perché nel ritornare alle cose tu v’hai miglior iudizio, ché lo stare saldo su l’opera ti fa forte ingannare; ancora è bono lo allontanarsi, perché l’opera pare minore e più si comprende in una occhiata, e meglio si conosce…”
Il Cenacolo sopravvive oggi a Milano tra le sue piaghe visibili: ma sconcerta ancora di più grazie alla grana delle sue screpolature che nessun restauro potrà – né dovrà – più nascondere.
Anche l’incompiutezza, e persino la rovina, sono divenuti con Leonardo marchio e indice del Genio.
Quasi avesse presentito, col suo sguardo proiettato sul futuro, che solo il tempo, poteva dare, al suo capolavoro, l’ultimo colpo di pennello.
V- Nel 1482 il trentenne Leonardo lasciò Firenze per Milano, inviato da Lorenzo de’ Medici come ambasciatore di Firenze presso Ludovico Sforza, detto il Moro.
E Leonardo riprogettò per quel signorotto l’intera città, che andava ricostruita, secondo i suoi propositi, dalle fondamenta.
“Dammi l’alturità, – gli scrisse – che, sanza tua spesa, si farà tutte le terre obbediscano ai lor capi […]. Fa da seccare il Navilio e nettare i canali […] e trarrai di dieci città cinquemila case con trentamila abitazioni, e disgregherai tanta congregazione di popolo, che a similitudine di capre l’un’addosso all’altro stanno, empiendo ogni parte di fetore, si fanno semenza di pestilente morte. E la città si fa di bellezza compagna del suo nome, e a te utile di dati e fama eterna del suo accrescimento…”
Visionato il progetto, il Moro non avvierà mai i lavori. Sordo all’Utopia – come ogni vero tiranno – il duca resterà arroccato nel suo castello sforzesco, centro visibile del potere politico e della mappa urbana di Milano.
VI- Presentando le sue credenziali scritte a Ludovico, Leonardo si era proposto al suo servizio come ingegnere militare, architetto di fortificazioni, inventore di bombarde e, solo da ultimo, come artista e musico di corte.
“Farò carri coperti,” – prometteva – “securi et inoffensibili, e quali intrando intra li inimica cum sue artiglierie, non è sì grande multitudine di gente d’arme che non rompessimo. et dietro a questi poteranno seguire fanterie assai, illesi e senza impedimento” […]. “Et quando accadesse essere in mare, ho modi da molti instrumenti actissimi da offender et defender, et navili che faranno resistenzia …”
Nulla accadde di tutto questo. Per Leonardo, era più importante l’invenzione, che la realizzazione. Le avveniristiche macchine guerresche, che costellano i suoi codici, restarono per lui un mero esercizio di Fantasia. Piaceri destinati all’Occhio.
La verità, è che l’Uomo perfetto di Leonardo non è un guerriero: è l’Uomo pronto a spiccare il volo.
La “madre di tutte le macchine”, per Leonardo, è l’Ala, una grande ala meccanica ricalcata su quella dell’uccello. Nessun altro congegno l’intrigò tanto quanto quello che avrebbe permesso agli esseri umani di librarsi in volo.
“L’uccello è strumento operante per legge matematica, il quale strumento è in potestà dell’omo poterlo fare con tutti li sua moti… adunque diren che tale strumento, composto per l’omo, non li manca se non l’anima dello uccello”. […] “Se questo strumento fatto a vite sarà bene fatto, cioè fatto di tela lina stoppata i sua pori con amido, e voltato con prestezza che detta vite si fa la femmina nell’aria e monterà in alto…”
È inventando una macchina volante che Leonardo pensò di potersi meritare l’eterna fama e la riconoscenza dei posteri.
Ci fu una prova generale di quel volo tanto atteso: un assistente di Leonardo provò a innalzarsi dal monte Cecere, vicino Firenze, spianando l’ali d’un primo imperfetto apparecchio aereo.
L’esperimento ebbe un esito rovinoso. Leonardo non lo ritentò più, né si lamentò, mai, del suo insuccesso.
Eppure Leonardo era sicuro, dopo tanti anni di osservazioni e studi, d’aver carpito i più minuti segreti del volo degli uccelli. Soprattutto lo affascinavano i movimenti nervosi e rapidi del nibbio, e degli altri uccelli di rapina:
“Se ‘l nibbio discende voltandosi e crivellando l’aria col capo si sotto, esso è costretto a torcere la coda …”
“…Quando ‘l nibbio monta o discende senza battimento d’ali, esso tiene l’alie oblique” …
Altrove, spiegò che a quel rapace era legato il suo primo ricordo, di bambino: “Questo scriver si’ distintamente del nibbio, par che sia mio destino, perché nella prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprisse la bocca con la sua coda, e molte volte mi percuotesse con tal coda dentro le labbra”.
Frasi, queste ultime, che resero felice Sigmund Freud.
VII- Comunque si giudichi il suo ricordo infantile, il tocco perturbante del nibbio è stato, per Leonardo, il battesimo del volo della sua immaginazione. Il vero inizio del suo sogno d’Icaro: levarsi al di sopra d’ogni gravità – e sfidarla, in fuga da ogni dogma, prigione, gabbia, o labirinto.
Non sappiamo perché quest’Occhio creativo, questo “altro sguardo” sia stato dato in dono solo a lui e a nessun altro: ma forse sappiamo dove e come il suo vero genio ha battuto il proprio primo “colpo d’ala”: a Vinci, in un lontano giorno del 1473.
Quando Leonardo prese la penna dalla sacca e, disegnando a “volo d’uccello”, quasi con gioia “inventò il paesaggio”, sollevandosi a osservare la natura da un’altezza vertiginosa, mai raggiunta prima dalla mente…
Leonardo morì ad Amboise nel 1519.
La leggenda dice che spirò tra le braccia del re di Francia, Francesco Primo.
Un enigmatico appunto ritrovato tra i suoi codici, datato 24 giugno 1518, profetizza:
“Io continuerò”
[dalla sceneggiatura di Franco Porcarelli del documentario televisivo: “Leonardo, l’origine del Genio“, regia di Paolo Brunatto, presentato al Prix Italia del 2007]