Nella storia dei Duelli non deve essere successo molto spesso che uno dei contendenti, non appena ricevuto il cartel di sfida, abbia aperto il fuoco, tout-court, sui padrini che glielo recapitavano. Accadde però nel gennaio del 1870 in Francia e la sparatoria ebbe esiti rivoluzionari: sotto la pressione di quelle pallottole barcollò un Impero, quello di Napoleone il Piccolo, e si inaugurarono i moti, le parole d’ordine, e le insegne che culminarono, in quello stesso anno, nella Comune parigina.
Il padrino che fu ucciso a colpi di revolver era un redattore del quotidiano d’opposizione La Marseillaise, non ancora ventiduenne, che si firmava Victor Noir (ma che in realtà si chiamava Yvan Salmon). Doveva sposarsi il giorno successivo. L’altro “secondo”, Ulric de Fonvielle, un suo collega, salvò la pelle per un pelo, nascondendosi dietro un divano, mentre il padrone di casa, quello che era stato sfidato al duello, apriva il fuoco anche contro di lui, sforacchiandogli il soprabito.
L’uccisore, il “principe” Pierre-Napoléon, era un Bonaparte, nipote del grande conquistatore corso e cugino carnale dell’allora (e per poco) Secondo Imperatore dei Francesi. Il processo che seguì questa inaudita sparatoria fu quindi, essenzialmente, politico. Si giudicava una dinastia – un nome: temuto, ammirato, abominato da almeno un settantennio.
I fatti, come i protagonisti, sono straordinari e meriterebbero ognuno un lungo saggio.
Pierre Bonaparte, nato a Roma nel 1815, terzo figlio di Luciano, il fratello di Napoleone, si era già macchiato d’omicidio, azzuffandosi nelle terre del papa con una trentina di carabinieri: uno di loro finì per rimanere ucciso. Condannato a morte, fu spedito in gattabuia a Castel Sant’Angelo. La madre intervenne presso il pontefice con le sue lacrime e i suoi appoggi. Ben presto, quindi, il lestofante ottenne la grazia in cambio dell’esilio. Pierre, che dormiva sempre con un revolver sotto il cuscino, era anche poeta: secondo un testimone storico, il politico Émile Ollivier, i suoi versi denunciavano un’elevata ispirazione.
Ulric de Fonvielle, l’unico sopravvissuto tra i padrini, era stato garibaldino: fu tra i mille che sbarcarono a Marsala.
Lo sfidante del “principe”, Jean-François Paschal Grousset, utopista enciclopedico, grande firma del giornale “La Marseillaise” – per vendicare il giovane reporter assassinato fomentò poi in tutti i modi il furore popolare contro i napoleonidi. Arrestato dopo la Comune di Parigi, fu condannato ai bagni penali in Nuova Caledonia. Riuscì a fuggire: un famoso quadro di Édouard Manet ci ricorda la sua evasione avventurosa, su una barchetta fragile affollata da altri cinque forzati.
Trovato rifugio in Inghilterra, Grousset scrisse romanzi di anticipazione e di fantascienza: tra questi, anche I 500 milioni della Begum, che fu poi “rimaneggiato” da Jules Verne. Difese, impavido, Dreyfus. Si batté con tenacia per realizzare e per propagandare le Olimpiadi Moderne. De Coubertin, si dice, ne usurpò la fama, rubandogli l’idea.
Pierre Bonaparte, all’epoca del “Duello” era un bravaccio di cinquantacinque anni, che per motivi famigliari si sentiva legittimato a qualsiasi soperchieria. Aveva provocato i patrioti corsi su un giornale filogovernativo, con un articolo bilioso intriso di ingiurie e contumelie. Si era augurato di vedere i repubblicani della Corsica sventrati, con le budella sparse per i campi. Paschal Grousset, geniale polemista del quotidiano corso La Revanche e animatore del giornale parigino La Marseillaise raccolse (e non fu l’unico) quella provocazione e decise di sfidarlo a duello. Mandò Victor Noir e Fonvielle, i suoi padrini, a casa del principe, e restò ad attenderli, irato e ansioso, in strada. Poco dopo, vide il giovane Noir scendere precipitosamente dalle scale del palazzo, cercare il suo soccorso, e poi stramazzare sull’acciottolato. Non era un uomo vero, quello che avanzava verso lui: era un cadavere vivente. Un colpo di pistola gli aveva trapassato il cuore.
Si appurò che Bonaparte, ricevuto il cartel di sfida, aveva offeso pesantemente i due padrini, e alla loro reazione risentita, aveva estratto un revolver dalla tasca della veste da camera, e subito l’aveva scaricato su entrambi, mirando a ucciderli.
Nel processo, che non si tenne presso la Giustizia ordinaria, ma davanti all’Alta Corte d’Assise – cioè, di fronte a una diretta emanazione del Potere –, i difensori puntarono a scagionare l’assassino, accusando Noir d’aver colpito il Bonaparte con un pugno. Ulric de Fonvielle, il testimone principale, negò che il disgraziato collega avesse alzato le mani. Il procuratore però non gli credette; l’imputato era un nobile, un principe, disse, era stato ingiuriato e percosso in casa sua, e ciò costituiva più che un’attenuante. Tuttavia, chiese ugualmente che il cugino dell’Imperatore venisse almeno condannato per eccesso di legittima difesa.
L’attenzione di tutta la Francia era concentrata sul verdetto. Ma il processo si dimostrò, in tutto il suo sviluppo e nei suoi esiti, una tragica burletta. Il “prince” Pierre Bonaparte fu assolto, quasi con le scuse d’averlo importunato. Istruita e sapientemente pilotata da chi era ancora più in alto di lei, l’Alta Corte aveva giudicato un Nome, non un crimine, ed era uscita dall’imbarazzo con un inchino, un salamelecco, non con una sentenza.
Già i funerali di Victor Noir, che si svolsero a Neully, avevano richiamato una folla enorme – duecentomila persone – cui fu impedito a stento di marciare su Parigi; ma ora, quando il verdetto che assolveva Pierre fu reso pubblico, manifestazioni antibonapartiste sbocciarono d’incanto in tutta la Nazione, sdegnata per quel torto macroscopico. Ricomparvero le bandiere rosse. Ci furono disordini, tafferugli, trincee improvvisate, spari.
L’ingiustizia, la tirannia, divennero a tal punto intollerabili, che il Secondo Impero vacillò. Così che, quando si giunse alla guerra con i Prussiani, in un certo senso, il potere di Napoleone Terzo, insieme al consenso che l’aveva accompagnato, già non esistevano più.
I protagonisti di questa epica storia non cessano di stupirci. Ma il destino “postumo” più fantastico toccò, è incredibile dirlo, al padrino morto, a Victor Noir, vigliaccamente ucciso da Pierre Bonaparte.
Nel 1891, una sottoscrizione popolare raccolse i fondi necessari per commemorarlo con una statua. Lo scultore Jules Dalou, che ne ebbe la commissione, lo ritrasse, in bronzo, così come l’avevano trovato i primi soccorritori: disteso supino sul selciato, contratto negli spasimi d’una brevissima agonia, con il cilindro scivolato accanto ai piedi <d>. L’artista di sicuro era a conoscenza che il giorno dopo Noir – alto e robusto, un bel ragazzo che scoppiava di salute –, si sarebbe dovuto sposare. Prendendosi una licenza fisiologica o poetica, mise in risalto la sua virilità nei pantaloni, come se l’immaginazione cominciasse a predisporre il giovanotto agli assalti della prima notte di nozze.
Karl Kraus – seppellendo con un apoftegma l’annosa dialettica Eros/Thanatos – una volta ha scritto: “dov’è che l’approssimarsi della morte dovrebbe dare il suo segnale se non là dove risiede la vita, nel sesso? È stato osservato negli impiccati l’ultimo manifestarsi della voluttà”. Per questo, duplice, motivo innominabile, la statua “orizzontale” di Victor Noir è divenuta oggetto d’un vero culto, neppure tanto segreto: il culto della “Protuberance”.
Le donne che hanno problemi amorosi con il partner vanno da più di un secolo al Cimitero Père Lachaise di Parigi, a lucidare questa parte che sporge più di ogni altra dentro alle sue brache scolpite. La ossequiano, la baciano, la raschiano per conservarne le polveri come una reliquia, o per mischiarle a vivande e bibite. Oppure si stendono, se possono, mollemente sopra la Protuberance. Esattamente come le matrone sui simulacri fallici del tempo dei romani, o come le devote che, nella Francia cristianizzata, fatto un voto, si strofinavano sopra le parti zotiche della statua di san Guerlichon, posta anch’essa sul terreno, e pronta ad accoglierle nel suo abbraccio.
Victor Noir, invece d’essere il martire che col suo olocausto abbatté una tirannia, è diventato, contro le sue intenzioni, il santo laico della fertilità e il patrocinatore delle gioie dell’amore fisico.
[Dalla Fantaenciclopedia: voce “Duelli”]