Il famoso dottor Eugenio Torralba – il “licenciado Torralba” di cui parla il Don Chisciotte (II, XLI) di Cervantes –, medico dell’ammiraglio di Castiglia. personaggio realmente esistito, nel 1503 si era stabilito a Roma, e veniva considerato, per la sua sapienza, una delle personalità più in vista della corte pontificia. Improvvisamente, però, divenne ombroso, sospettoso e geloso della propria intimità. I suoi cambiamenti d’umore erano dovuti al fatto che aveva “cominciato a percepire al suo fianco, soprattutto al sopraggiungere della luna nuova, un essere fantastico che lo seguiva nei suoi movimenti e viaggi” e che approfittava, quando lo trovava solo, per scambiare con lui qualche conversazione.
Il dottor Torralba si convinse così che, ad apparirgli, era un Genio: di natura angelica, però, e non maligna, visto che lo pedinava anche in Chiesa. Dai lineamenti inerti, “quest’essere straordinario portava talvolta il saio dell’eremita, e talaltra si presentava in abiti di turista viaggiatore”. Pare si chiamasse, questa Entità, Zeqiel, ossia Ezechiele, e che indossasse, quand’era in società – anche se invisibile – un bel vestito alla moda, rosso e nero. Secondo alcune fonti il Genio era stato “regalato” al dottore da un frate domenicano, forse in vena di doni generosi, forse, invece, ansioso di liberarsene.
Quando Torralba tornò in Spagna, nel 1510, il suo Alter Ego ovviamente lo seguì, ma sempre come un dandy sfaccendato. Il sapiente a questo punto ruppe gli indugi e denunciò alla Corte e all’opinione pubblica di essere perseguitato. La circostanza non sfuggì all’Inquisizione. Torralba cercò di persuadere il suo etereo accompagnatore a mostrarsi, almeno una volta, al vescovo di Tolone: “l’angelo però – è verbalizzato negli atti del processo di Torralba – si rifiutò di comparire davanti al prelato”. Nel 1519, per l’ennesima volta, il dottore tornò a Roma: stavolta, disse d’essere partito dalla Spagna a cavallo d’un bastone, e d’avere attraversato l’aria – grazie al suo genio – per raggiungere in un lampo la Città Eterna. Il cardinale di Volterra chiese di vedere quell’essere così straordinario. “Per la seconda volta il Fantasma si rifiutò di apparire” – riferisce, sospettoso, il Calmeil.
Nel 1527, da Valladolid, Torralba disse d’essere stato trasportato in un batter d’occhio a Roma, e di aver visto la capitale della Chiesa messa a sacco dai Lanzichenecchi. Era purtroppo vero, e l’eccesso di precisione del racconto, sommato alla distanza che separava la Città Eterna da Valladolid, fu di nuovo ritenuto degno dell’Inquisizione. Il dottore fu arrestato e, insieme a lui, anche il suo invisibile sodale – che lo seguiva sempre, accomodante – finì ovviamente nella stessa cella.
Solo Torralba, però, subì la tortura.
Il Santo Uffizio ardeva di conoscere la natura dell’Essere che l’accompagnava, sapere se era angelo o demonio. L’inquisito, a quel punto, cedé senza ritegno. Tradì il suo Doppio, disse che lo importunava, che nuoceva ai suoi sonni; affermò che era impaziente d’essere disinfestato da quell’infausto genio. Vendé all’Inquisizione l’Essere Fantastico, quel gentiluomo che senza darlo a vedere aveva fatto la sua fortuna negli ultimi vent’anni, favorendolo con spettacolari viaggi aerei, conversazioni alate e continue rivelazioni.
Il processo fu lunghissimo. Alla fine il dottore salvò la vita solo grazie a un influente intervento dei Regnanti. Prevalse la tesi che Ezechiele fosse un Angelo Custode, sia pure sui generis. Il Tribunale di Cuenca, in cui si svolse il processo il 29 gennaio del 1530, sentiti i testimoni compiacenti , si dimostrò misericordioso.
L’Inquisizione comunque condannò Torralba come eretico e lo costrinse a vestire il sanbenito. Sembra, però, che il Doppio l’abbia perdonato per la sua delazione e l’abbia continuato a visitare, in carcere e per tutto il resto della vita.