I- Il professionista dell’Orazione riesce sempre a pregare, persino mentre parla d’altro, mangia o respira.
Nel secolo XI Simeone il giovane, abate di Xerokerkos, insegnò che la preghiera non va recitata, né va cantata: va respirata. I suoi allievi furono detti Esicasti, cioè cercatori di pace. Gli Esicasti, pregando respiravano addirittura l’intero Gesù: “Ecco dunque quale dev’essere la nostra occupazione continua, il nostro esercizio prediletto: una respirazione perpetua di Gesù Cristo come nostra aria spirituale, e poi una espirazione e un rinvio di Lui a Dio”. Siamo all’assunzione di Gesù per via nasale.
Più “virtuoso ancora”, ma più inquieto, Gregorio Lopez si rifiutava di respirare se, tra un respiro e l’altro, non interponeva una preghiera: se non proferiva mentalmente, tra un respiro e l’altro, “Fiat voluntas tua sicut in Coelo, in terra”. “Quali parole ripeteva sì continuamente – racconta don Francisco Losa –, che per lo spazio di tre anni in ciascun respiro, che dava sempre, mentalmente le replicava senza mai cessare né scordarsene, né l’impedivano o divertivano da questo esercizio il mangiare, il bere o il parlare con qualunque persona. E richiesto una volta da me, se era possibile, che ogni qual volta si riscuoteva dal sonno, avesse in mente le sopradette parole, mi rispose di sì: a segno tale, che trovandosi svegliato, mai respirava la seconda volta, se prima non le avesse profferite con la mente”.
Ci sono poi Preghiere talmente asfittiche, che non possono essere respirate: sembra anzi che abbiano come unico scopo un risparmio di fiato totale, radicale, da parte di chi prega. The Cloud of Unknowing – “La nube della Non-Conoscenza”, una guida spirituale, anonima, compilata nel quattordicesimo secolo – teorizza, ad esempio, l’eccellenza, tra tutte, della “preghiera monosillabica”. Non so se Jean-Jacques Rousseau ignorasse quel testo, ma ne conosceva di certo una seguace, “una vecchia che come preghiera sapeva dire soltanto Oh, che faceva a meno di ogni parola o segno per lodare Dio”. Un saggio vescovo giudicava questa donnina “per l’elevazione dell’anima sua, più vicina all’Essere Supremo di tutti i sapienti teologi”. Del resto, l’invito a monosillabare viene da Gesù stesso, che nei Vangeli [Matteo, 5, 37] sentenziò: “Sulla vostra bocca sia il sì, sì, e il no, no, perché il di più viene dal Maligno”. Così che, non sbaglia mai chi domanda: ma chi risponde rischia di dannarsi, anche solo dimostrandosi educato, nella conversazione.
L’Orazione non è priva d’Effetti Collaterali: in genere, il professionista ne esce usurato.
Quando al-Umawi, santo musulmano, “si prostrava in preghiera si udiva il suo cervello, nel cranio, fare un rumore come di sassolini dentro una borsa di cuoio incartapecorito, effetto delle sue dure mortificazioni”.
Rabbi Shlojmele, ebreo, era “solito pregare con tanto ardore, con tanta tensione non solo spirituale, ma anche fisica, che dopo le preghiere, spossato, urinava sangue”. Si accese anche un dibattito tra le menti più fervide – in senso religioso – d’Israele, se il devoto pregando ardentemente e muovendosi “avanti e indietro, come nel rapporto”, potesse spingersi fino a eccitarsi sessualmente e persino a disperdere il suo seme. Di questi eccessi furono accusati, secoli fa, i chassidim.
Santa Teresa d’Avila – lo riporta de Rougemont – scrisse materna e comprensiva a un religioso che si lamentava di essere assalito da un’emozione sessuale ogniqualvolta meditava in preghiera: “Io trovo che ciò resta indifferente all’orazione, e che la cosa migliore sia di non porvi attenzione alcuna”. E “a uno dei suoi fratelli che non poteva comunicarsi senza provare emozione sessuale, e al quale era stato ordinato, in conseguenza di ciò, di non comunicarsi che una volta all’anno, san Giovanni della Croce consiglia di non affliggersi, di ricevere il Sacramento tutte le settimane, qualunque cosa avvenga, e il fratello si trova guarito, perché abbandona i suoi morbosi timori”.
II- La preghiera somiglia anche a una palestra, a una giostra, a quello che in italiano si chiama “quadrato” della Boxe, e invece nei paesi anglosassoni “ring”, cioè: anello. Juan de Los Angeles ha intitolato uno dei suoi Dialoghi: Lotta spirituale e amorosa tra Dio e l’Anima [lo si legge in Zolla, nel favoloso Mistici dell’Occidente]. Il campo di gara o di battaglia prescelto, era, appunto, la “preghiera”. Il saggio francescano riteneva che Dio dovesse soccombere in questo combattimento, e suggeriva anche alcuni “artifici e stratagemmi dai quali l’anima deve trarre partito affinché Dio si arrenda a noi in questa lotta”.
È ovvio che il devoto, prima di accingersi a pregare, dovrebbe trarre giovamento dai consigli pratici di certi famosi culturisti e attenersi alle tecniche codificate del wrestling. “Guillaume de Paris indica le tre o quattro mosse di cui gli uomini si servono lottando tra loro. La prima consiste nel sollevare l’avversario per aria (…), perché, una volta sollevato, lo si rovescia facilmente e in tal modo lo si è già vinto. La seconda è lo sgambetto che serve a far perdere l’equilibrio, sì da far crollare l’avversario, togliendogli ogni punto d’ appoggio. La terza mossa mira a esaurire le forze dell’avversario; artificio da cui traggono partito uomini di lieve peso contro avversari robusti e vigorosi. La quarta insegna a piombare d’un colpo sull’avversario”. Juan invita ad adottare tutte e quattro le tattiche, combattendo con Dio. Ma, per esempio, come possiamo sollevare Dio sopra di noi? Certo non possiamo afferrarlo! Il trucco però è possibile: se non si riesce a sollevare l’avversario, si può “sprofondare” sotto di lui, ottenendo lo stesso effetto, di mantenerlo saldamente sopra di noi. Quindi: si vince umiliandosi, ossia “sottomettendoci a lui con profonda umiltà”. Per la seconda astuzia: Dio, lottando contro di noi, si appoggia ai nostri peccati. Non peccando più, gli sottrarremmo questo puntello, e perderà l’equilibrio. Il terzo stratagemma sembra, tra tutti, il meno praticabile: essendo Dio dotato per definizione di inesauribile energia, come può stancarsi? Eppure è successo: basta tormentarlo con l’insistenza, con la petulanza, ridurre Gesù allo stremo delle forze, in modo che alla fine reagisca come di fronte all’intollerabile cicaleccio della donna di Canaan: ” Fiat tibi sicut vis”, cioè: “Ma insomma, fai come ti pare!” (Matteo,15).
In quanto alla quarta astuzia attuabile pregando: “Piombare all’ improvviso sull’avversario”, è lecito, sulla falsariga delle precedenti, esercitare la propria Fantasia.
[CONTINUA]