Lo spegnimento del fuoco dell’Inferno, è impresa filantropica, e quindi ragionevole. Ma anche l’atto contrario, ossia bruciare il Paradiso, fu considerato un compito altamente morale, dai Mistici: quasi fosse una prova suprema dell’Amore di Dio.
Ne fu testimone Ivo (1040-1115), santo e pio vescovo di Chartres.
Ivo incontrò durante un viaggio una matrona – dall’aria grave, triste, e fantastica –, che portava un cantaro ricolmo d’acqua in una mano e una torcia accesa nell’altra. Ivo le chiese cosa intendesse farne. “Il mio proposito – rispose quella – è incendiare col fuoco il Paradiso, e con l’acqua smorzare le fiamme dell’Inferno; di modo che gli Uomini servano Iddio senza il pungolo della speranza o del terrore, ma puramente per amor di Dio”.
Questa “Moralità Leggendaria” appare sublime, ma non è originale. La matrona – nel caso improbabile sia mai esistita – ha copiato la sua impresa da quella d’una famosa santa musulmana, la sufi Rabi’a :
«Un giorno un gruppo di giovani vide Rabi’a correre in gran fretta, con del fuoco in una mano e dell’acqua nell’altra.
Le chiesero allora: “Signora, dove stai andando? Cosa intendi fare?”
Disse: “Sto andando in cielo, per gettare il fuoco nel paradiso e versare l’acqua nell’inferno: non resterà così né l’uno né l’altro, e apparirà Colui che si cerca. […] Se non ci fosse più speranza del paradiso e timore dell’inferno, non lo adorerebbero forse come il Verace, e non gli ubbidirebbero?”».
“Verace” è uno dei 99 “bellissimi” nomi di Dio.
L’ “impresa impossibile” non si ferma qui, ha una storia, un ulteriore sviluppo “occidentale”. La troviamo così citata in una versione appena diversa:
«Una donna passeggiava per le vie di Alessandria d’Egitto a piedi nudi, scapigliata, una torcia in una mano, una ciotola d’acqua nell’altra, e diceva: “Voglio dar fuoco al cielo con questa torcia e spegnere l’inferno con quest’acqua, affinché l’uomo ami il suo Dio solo per se stesso” ».
L’episodio è stampato come “Capitolo XXXIII” della Storia della Pittura in Italia di Stendhal, sotto il titolo: “Prova sotto la statua di Iside” – ed è giudicata dall’Editore “inserto abbastanza oscuro”. Non oscura, però, è la fonte: perché il racconto originale, si dice, “appartiene a Diderot”. Noi sappiamo tuttavia che è nei Detti di Rabia, che troveremo la prima versione dell’aneddoto.
[in copertina: miniatura di Guillaume Le Rouge]