I- Nel Museo del Prado di Madrid si mostra un quadro del Veronese che giustamente è stato intitolato: Il Sacrificio di Abramo. Di Abramo, non di Isacco. Non è solo un tranello, un’ambiguità della lingua. Il patriarca è dipinto nell’atto di scannare il figlioletto. C’è un motivo per cui in questa tela, e nel racconto biblico, il carnefice sia più importante e riverito della vittima.
Afferma la Bibbia (Genesi, 22, 2): «Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che io ti indicherò». Abramo ubbidì senza tentennamenti.
Tuttavia, la grandezza del patriarca non si misura con il metro della santa devozione che lo indusse a avallare il comandamento di Dio: Sacrifica per Me e Uccidi tuo Figlio! Ottemperare a un’ingiunzione diretta, esplicita dell’Onnipotente, è doveroso per tutti e persino leggermente triviale, un po’ come rispondere a una chiamata alle armi. Ma, dicono i più accorti tra gli Ebrei, Abramo è sublime e inarrivabile quando obbedisce non al primo, ma al “secondo ordine di Dio” – quando viene sorpreso dall’improvviso e inatteso arrivo dell’Angelo che l’ammonisce: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!” (Genesi, 22, 12). Eroico quando “rinunzia, ossia sacrifica anche quel sacrificio che gli era prima così caro”.
È così che il patriarca ha superato la prova più strenua: rinunciando al sacrificio ormai apparecchiato, ha mancato di offrire al suo Dio il segno d’affetto più grande che una creatura possa dare al Creatore. Ha rischiato, coscientemente, di apparirgli un ometto da Niente. Ha sacrificato la “primizia” del suo orgoglio.
Secondo un’altra tradizione, che certo non contraddice quella riferita, “Abramo fu sottoposto due volte alla prova: la prima volta quando collocò Isacco sull’altare, la seconda quando lo fece scendere di là. La seconda prova imposta fu molto più forte della prima. […] Come si può ascoltare un Angelo e disubbidire a Dio? Ci volle una grande padronanza di sé per rinunciare alla meravigliosa occasione di compiere il sacrificio supremo, e abbandonarsi alla chiamata dell’Angelo”.
Questa seconda lettura – alla luce della Celeste “Gerarchia” –, dell’episodio narrato in Genesi, lascia ampiamente intendere che gli Ebrei trovavano naturale censurare Abramo, per non aver ammazzato il figlio, e che potevano essere convinti del contrario solo da qualche sottigliezza dei Rabbini.
I malevoli, è probabile, rinfacciavano al patriarca: pur avendo promesso a Dio in persona di sacrificare Isacco, Abramo per rimangiarsi il voto si è accontentato della parola di un semplice giannizzero dei Cieli. Si è aggrappato al primo segnale, alla prima apparizione, e tanti saluti al giuramento. Abramo sacrificò il Protocollo, sacrificò l’ etichetta, sacrificò il rispetto per i Gradi, se ne fregò del Cerimoniale – tutto, almeno sembra, pur di salvare suo figlio.
Ma è solo apparenza.
La prova più straziante cui fu sottoposto fu esattamente questa inconcepibile disubbidienza: l’infrazione al Celeste Galateo.
Così i cavillosi rabbini innalzarono ad Abramo un altro monumento: perché lui, accettando per buone le parole dell’Angelo, attestò al contempo che Dio non si era mai ricreduto.
Il Signore è Unico: incrollabili, inalterabili, infallibili sono i suoi Ordini.
Proprio nel momento in cui non ha eseguito quel Comando, in verità, il Patriarca ha difeso l’eterna credibilità di Dio, che non torna mai indietro nelle sue decisioni.
II- La Bibbia afferma: “Iddio tentò Abramo”. Ma il cocciuto patriarca, da parte sua, non fece di tutto per esasperarLo, arrivando fino al punto di brandire un coltello famelico sulla giugulare del figlio? Per questo – ce lo ricorda Ferruccio Fölkel, in Cinque Sogni –, «alcuni maestri dicevano: “Dio mise alla prova Abramo”. Altri maestri dicevano: “Abramo mise alla prova Dio”». E non è chiaro, chi costrinse l’Altro a fare una figura peggiore.
III- Quanti devoti lettori della Bibbia hanno seguito l’intera vicenda dal punto di vista del figlio di Abramo? Con gli occhi sbarrati di Isacco, steso come un abbacchio sull’altare, immolato per una faccenda che non lo riguarda minimamente? Nulla ci viene detto dei suoi pensieri, in Genesi. Non è mai in gioco la sua Fede. Non sappiamo se fu sul punto di rinnegarla. Quella del padre, invece, non vacillò mai, neppure di fronte all’Orrore.
In verità, Abramo avrebbe scannato in quattro e quattrotto Isacco, se a suo scorno e dispetto non fosse stato fermato.
Chi si inoltra nel primo libro della Bibbia, può nutrire pochi dubbi circa le sue, eventuali, debolezze “paterne”: esse, semplicemente, non esistevano. Il patriarca con l’altro suo figlio si comportò senza pietà. Spinse Ismaele – e sua madre Agar – a girovagare nel deserto, con la prospettiva certa della morte. Lo cacciò, e invece di acqua e viveri, si contentò di dargli la benedizione.
“Suo figlio era anche Ismaele, e fu sacrificato!” – si sdegna Stendhal. Sopravvisse, Ismaele, con mezzi propri, autarchici. Non ci fu un Angelo, come sarebbe successo per Isacco, che venne a salvarlo; né Abramo si pentì mai d’aver abbandonato la propria prole al suo destino.
IV- Anche per il cattolico il “Sacrificio di Abramo” ha un che di grandioso: ma la “Legge Combinatoria” che governa il Pensiero Religioso (e non solo), impone di variare – complicando ogni lascito del passato, e ogni credenza del geografico, o storico, Vicino. Bisognò dunque trovare nuovi argomenti, per distinguersi dall’ammirazione di cui il patriarca godé presso gli Ebrei.
Paolo in modo geniale, inventa per il gesto omicida di Abramo la giustificazione più esaltata e inattesa: il santo patriarca poteva pure, dice l’Apostolo, senza ritegno massacrare il suo primogenito; “pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti” (Ebrei, 11,19 ).
Uno di quei casi, in cui la posta è superiore alla vincita e rovescia la disfatta. Uccidere Isacco, facendo contento il Signore, per ricevere poi indietro suo figlio come revenant: tutto ciò ha una sua Logica.
Invece, il buon senso arriccianaso dei Protestanti, non approvò, più tardi, la condotta di Dio. Proprio perché, come crede Paolo e, in genere, il cristiano, Isacco prefigura il Salvatore. Lutero, invitato da Dio a sopprimere il suo unico figlio, come era già successo a Abramo, si sarebbe probabilmente rifiutato: “Litigherei davvero con Dio, se Egli mi facesse una proposta simile”, s’infervora il teologo.
Tra le critiche che il promotore della Riforma rivolgeva a Dio c’era infatti questa: di non essere stato un buon padre, almeno “secondo il giudizio della ragione”: “Dio si è comportato più paternamente con Caifa, Pilato, ecc., che col suo unigenito figlio che egli lasciò assassinare così miseramente”.
Certo, con queste premesse, per il proselito dell’Antico o Nuovo Testamento è poi difficile criticare Erode per la sua strage degli innocenti.
V- La chiesa cattolica celebra il patriarca Abramo come santo il 9 ottobre.
Di solito non si usa festeggiarlo per la Festa del Papà, il 19 marzo. È solo trascuratezza, o è ipocrisia?
[in copertina: L’Angelo impedisce ad Abramo di sacrificare suo figlio Isacco, “studio” di Rembrandt van Rijn]