Tra le più stimate seduttrici e “fellatrici” d’ogni tempo, figura certamente Teodora imperatrice di Bisanzio. Prima di divenire moglie di Giustiniano, secondo che di lei dice Procopio, “in ogni città aveva esercitato un mestiere che, a nominarlo, un uomo perde per sempre, credo, la misericordia divina”.
Il polemista bizantino la ritrasse in un libello scandaloso, Carte Segrete, che, anche se pubblicato dopo la morte dell’autore, ebbe un successo superiore a ogni altra sua fatica letteraria, esercitata in campo militare o architettonico.
“Mai – racconta Procopio – ci fu donna più schiava del piacere in ogni sua forma”. “Dopo aver esaurito le arti del piacere sensuale, con la massima ingratitudine ella si lamentava della parsimonia della natura […]. Ella desiderava un quarto altare, su cui potesse offrire libazioni al dio dell’Amore”.
Era, in tutti i sensi, un’Esploratrice: prima dell’avvento di internet c’erano donne che non sapevano neppure di averne tre.
Con stile meno tacitiano, meno affettato, più scandalizzato, Procopio senza arrossire precisa: “Utilizzando i tre orifizi, se la prendeva con la natura perché non la aveva fornita di capezzoli con fori più larghi, per inventarsi un’altra forma di piacere”.
Teodora, come una “prostituta “da truppa”, amava – a detta di Procopio – spogliarsi in palcoscenico: “con tutti che la guardavano”. “Stette nuda, al centro della scena, con un semplice perizoma intorno alle vergogne e all’inguine […]. Combinata in questo modo, si stendeva supina per terra: allora alcuni schiavi addetti all’incarico le gettavano sul pube dei chicchi d’orzo che delle oche, espressamente ammaestrate, beccavano via ad uno ad uno. Lei, non soltanto non dava segni d’imbarazzo, rialzandosi, ma sembrava molto soddisfatta della sua prestazione”.
Smitizzatrice del Sesso, Teodora non poteva essere compresa dai suoi contemporanei. Era, l’accusano, una “buffona”, fin troppo “spiritosa e mordace”. Pur di far divertire gli astanti, prendeva volentieri “pugni e schiaffi” per “scherzarci e sghignazzarci su”. Sollazzava gli amanti con la lascivia e l’inventiva inesauribile, ma non dimenticava tutti gli altri maschi del regno di Bisanzio; spogliandosi all’improvviso, davanti e di dietro, anche con loro era generosa.
Teodora, direbbero i moderni, prima che imperatrice, fu una Reginetta del “Burlesque”. L’austero Procopio, era un suo nemico “politico”, ma più che altro, quella donna così generosa delle sue passioni e della sua epidermide, sembrava nata per fargli smarrire la ragione; non ne veniva a capo, si sdegnava che potesse addirittura “esistere”. Perciò, nello stesso libro, la trattò da Demoniessa in Terra. Infatti – sosteneva l’accalorato e partigiano libellista –, Teodora aveva fatto un patto con Satana pur di “accalappiare” Giustiniano e diventare ricca, famosa, e imperatrice.
Procopio dice che, “arrivata a Bisanzio, sarebbe andata a letto col Signore dei demoni; ricorrendo ad ogni astuzia, ne sarebbe diventata la legittima sposa e da quel momento sarebbe stata padrona di ogni ricchezza”.
Assunto il potere, poté esercitare senza freni le sue libidinose fantasie. Pare – ma la fonte di queste dicerie è sempre Procopio –, che l’imperatrice fosse specializzata in “sparizioni”. Nelle profondità del Palazzo del marito “c’era un sotterraneo sicuro, pieno di meandri, una specie di Tartaro”, dove Teodora ordinava fosse rinchiuso chi poteva ostacolarla, denigrarla o rifiutarsi di cedere alle sue pretese. Poi capitava che laggiù finissero anche quelli di cui era soddisfatta. Certi suoi amori ancillari, per esempio.
“Una volta sorse il sospetto che Teodora si fosse accesa per un servo di nome Areobindo, barbaro, ma bello e giovane, che lei stessa aveva nominato dispensiere; volle spegnere l’accusa: da un momento all’altro, benché si sussurrasse che ne era innamorata alla follia, ordinò che venisse torturato selvaggiamente, senza nessun motivo; d’allora in poi non ne abbiamo saputo più niente e nessuno lo ha più rivisto a tutt’oggi”.
La diabolica Teodora, racconta ancora Procopio, quando calcava ancora le scene, fu ingravidata da uno dei suoi amanti. “Lei si accorse tardi della disavventura e per quanto ricorresse a tutte le consuete pratiche abortive, non riusciva assolutamente a liberarsi del feto che aveva cominciato a prendere forma umana. Visto che non approdava a nulla, abbandonò ogni tentativo; non le restò che partorire.
Il padre del neonato si accorse che lei era preoccupata e angustiata perché la maternità le avrebbe impedito di servirsi del corpo come prima ed ebbe netta la sensazione che avrebbe eliminato il bambino. Glielo sottrasse, allora, lo chiamò Giovanni, perché era un maschio, e lo portò con sé in Arabia dove era diretto.
In punto di morte rivelò a Giovanni, ormai ragazzo, ogni cosa circa sua madre. Giovanni prima rese al padre defunto i dovuti onori funebri e, qualche tempo dopo, si recò a Bisanzio e rivelò la faccenda ai camerlenghi della madre. I quali non sospettarono minimamente che avrebbe avuto una reazione inumana: perciò annunciano alla madre l’arrivo di suo figlio Giovanni. Lei, agghiacciata al pensiero che la notizia arrivasse all’orecchio del marito, ordinò di condurre il ragazzo al suo cospetto. Non appena se lo vide davanti lo consegnò a uno dei suoi intimi, incaricato abitualmente di affari del genere. Come sia stato fatto sparire quell’infelice, non potrei dirlo; comunque a tutt’oggi nessuno lo ha più visto, nemmeno dopo la morte dell’imperatrice”
Le Carte segrete (chiamate anche Storia arcana) rimasero inedite: tuttavia il libello quando fu scoperto impose ai posteri la fama di Teodora come sovrana licenziosa. Ecco cosa succede quando uno scrittore che sa maneggiare la penna ti è nemico: perché ciò che scrive di malevolo resta, anche se nascosto sotto una pietra, invece le buone azioni del tuo bersaglio, se nessuno le tramanda, rischiano di svanire come sogni del mattino.
[in copertina: Teodora durante uno dei suoi spettacoli, stampa ottocentesca]