I- C’era, nel Circolo frequentato da Nicolai Vsevolodovic Stavrogin, un rispettabile e benemerito anziano, un tal Galganov, che godeva dell’apprezzamento comune e non aveva altro vizio, o vezzo, che quello di intercalare in ogni suo discorso l’aforisma: “eh, no, a me non mi si prende per il naso!”
Un giorno Stavrogin, che aveva assistito in disparte a questa innocente battuta, si avvicinò a Galganov, “lo afferrò improvvisamente, ma con forza, per il naso, con due dita”, e se lo trascinò dietro per alcuni passi nella sala, suscitando lo sgomento e lo scandalo di tutti.
Non sembrava, dopo quel gesto, più di tanto contrito; anzi assaporò le proteste generali, e l’umiliazione del vecchio, con un misto di maligna allegria.
L’episodio suscitò comunque tanto scalpore che giunse presto all’orecchio delle massime Autorità della Regione. Sua Eccellenza il Governatore convocò personalmente Nicolai Vsevolodovic per esigere scuse e spiegazioni circa il suo comportamento. Stavrogin, ricevuto in privato, si chinò sul governatore per sussurrargli qualcosa che pareva attinente al fattaccio accaduto, ma – non appena ebbe il suo orecchio a portata di canini e di incisivi –, gli diede un morso terribile, e non staccò la presa fin quando Sua Eccellenza non mancò quasi, per un attacco di spavento.
Riassumo così sei pagine dei Demoni di Dostoevskij perché mi paiono pertinenti e efficaci a introdurre i cartoni animati di ”Screwy Squirrel” (reperibili in DVD) e il loro autore e profeta, il Titanico Tex Avery, l’unico degno, e totale, antipodico, antagonista di Disney.
In Screwy (protagonista di un’epopea targata 1944-1946), e prima di lui in Daffy Duck (1937) e in Bugs Bunny (1940) – per citare solo tre delle sublimi creazioni di Tex – ritroviamo esattamente lo stesso brivido vandalico che movimentò la giovane esistenza dell’eroe dostoevskiano, il gusto proibito per le villanie inaudite, “mostruose e del tutto diverse da quelle che usano attualmente, compiute lo sapeva il diavolo perché, assolutamente senza motivo” (cito ancora dai Demoni).
È tipico di Tex, e nessuno è stato altrettanto coerente di lui nel regno del cartone animato, lo stesso rapporto “fisico” e “oltraggioso” col Linguaggio. Come Stavrogin, Avery si precipita lì dove qualsiasi linguaggio introduce un limite o una proibizione, e lo fa “letteralmente” a pezzi.
Oppure con lo stesso furore iconoclasta, smaschera il mondo, come sarebbe, se il Linguaggio riuscisse veramente a dominarlo.
Le Parole diventano Cose e hanno uno spessore succoso e carnale, concreto e commestibile. Sono parole che non vanno mormorate, ma morse, come l’orecchio del Governatore.
Ecco perché nei film di Tex Avery i modi di dire, le metafore, i “cartelli segnaletici “, e infine qualsiasi frase e/o definizione, vengono “presi alla lettera”, con effetti esilaranti.
Il gatto “poeiano” di Cuckoo Clock (1950), perseguitato dallo strabico e malvagio uccellastro che esce da un orologio a cucù che “segna” l’ora ogni secondo, cade “letteralmente” a pezzi, seminando coda e bacino sulla moquette. Il giovinastro di Symphony in Slang (1951), piantato da una “pupa”, in un giorno in cui “piovevano cani e gatti”, non ha altra vita che quella concessagli dalle frasi idiomatiche e gergali. Il topo di King Size Canary (1947) se ne sta, vivo e pimpante, in attesa dell’apriscatole, “dentro” un barattolo chiuso in dispensa, che reca per l’appunto l’etichetta: “cibo per gatti”.
Anche frasi come: “sgranò gli occhi” o: “gli schizzarono gli occhi dalle orbite” non hanno mai trovato resa visuale superiore e più delirante che nel ciclo di “Wolfy”, il lupo perennemente eccitato dalle movenze della reginetta del burlesque “Red” (Red Hot Riding Hood, Shooting of Dan McGoo, Swing Shift Cinderella, Wild & Wolfy, Little Rural Riding Hood), o nei cartoni di Droopy “cane poliziotto” (Dumb Hounded, North West Hounded Police).
Sono solo alcuni esempi. Ma fuori di questo stretto rapporto con il “Letterale” non si comprenderebbero, di Tex Avery, né la propensione per le parodie dei “Travelogues” (in cui si irridono i film-luce e le meraviglie del futuro) né la sua ossessione per i “cartelli”. I suoi cartoni sono infatti costellati di scritte che chiamano in causa il pubblico, di commentini controcommentati, di proclami della direzione per “prendere le distanze” da questa o quella gag, “irriverente” o sciocca. Come dice Benayoun, “gli eroi di Avery non capiscono niente, non credono a niente fintanto che non lo abbiano decifrato su un muro, o su un cartello indicatore” [Le Mystère Tex Avery]. Persino il Lupo e Cappuccetto devono stazionare a lungo davanti al titolo del film prima di scoprire di aver sbagliato cartone – che parla di tutt’altro, ossia del cambio d’abito veloce di Cenerentola, una procace punzonatrice (“Red”) che a mezzanotte deve raggiungere l’industria bellica per la quale lavora (Swing Shift Cinderella, 1945).
I personaggi di Tex Avery non solo circolano con il nome, la qualifica e la propria definizione morale stampigliata addosso (“The Villain”, per esempio, in Hick Chick o in Aloha Hooey), ma su di loro brilla talvolta, rivelazione ancor più sadica e feroce, il tagliando col “prezzo”, il controvalore in dollari della persona, o il loro corrispettivo in punti della tessera annonaria (Jerky Turkey, Big Hill Watha, Lonesome Lenny). Tutto ciò che vive, è capitalisticamente in vendita. Merce fagocitabile. È incredibile come Bertolt Brecht, che pure lavorava a Hollywood quando Tex era alla MGM, non si sia accorto che “qualcuno”, accanto a lui, aveva già capito tutto…
II- Tex ha costretto anche il Linguaggio, come quasi tutti gli altri suoi protagonisti, a fare uno striptease. Ma la sua cifra comica non riposa, naturalmente, solo in questo amore per il Letterale e per il cartello “esplicativo”. Il ritmo, il parossismo, la velocità, il sesso, lo stile “enorme” (come lui stesso lo autodefinì per Benayoun), e in genere la vorace “aggressività” delle gag furono gli altri marchi distintivi dei suoi cartoni. “Cerchiamo di essere più folli”, era il suo programma. Riuscì nel miracolo di sorprendere costantemente lo spettatore: e quello del comico, si sa, è in assoluto uno dei pubblici più smaliziati e più esigenti (almeno era così una volta quando i comici puntavano al meglio, a superarsi l’un l’altro).
Avery ha fatto scuola, ma ha fatto anche cartoni che, come osserva giustamente Leonard Maltin [in Of Mice and Magic], non somigliano a quelli di nessun altro, né prima, né dopo di lui. Nessuno ha tentato gag “spropositate” come quelle che, a raffica, toccano l’apice in Slap Happy Lion (1947), nel quale un Leone, per riaffermare il suo predominio in quanto “re della foresta”, ruggisce in modo talmente reboante che, per reazione, espelle, e si “vomita”, dalla bocca spalancata tutto il resto del corpo.
Oppure opere “smisurate” come King Size Canary (1947), inseguimento post-atomico tra un gatto e un topo che, nella loro ansia di sopraffarsi, ingigantiscono, fino a superare le dimensioni della terra; o What’s Buzzin’ Buzzard? (1943) dove la guerra, e la fame, sono ben poveri Cavalieri d’Apocalisse in confronto alle due poiane protagoniste, che desiderano carnalmente l’uno la carne dell’altro, o addirittura la propria, per soddisfare un appetito cosmico, colossale:
o Bad Luck Blackie (1949) nel quale nessuna esagerazione è preclusa, compresa una pioggia di transatlantici e schiacciasassi dal cielo; o i cartoni per truppe e bambini con il Lupo che ghermisce la ballerina Red; o il ciclo della “Ninna Nanna”, stupefacente, dell’ultimo Avery: quello del “divieto di far rumore”, con gli eroi, o le vittime, che una volta ferite sono costrette per non farsi sentire a correre per chilometri, per urlare i loro dolori e furori (Rock-a-Bye Bear. Deputy Droopy, Legend of the Rock-a-Bye Point).
Per questo in un ambiente come quello dell’animazione, dove l’imitazione è tutto (a cominciare da quella della Realtà), e dove tutti i cartoni, anche i migliori, finiscono per rassomigliarsi, visto che giocano apertamente con il “risaputo”, va riconosciuto a Avery il talento di aver realizzato film largamente imitati ma sostanzialmente inimitabili. È stato, certamente, copiato nelle vette della sua comicità. È stato saccheggiato da Jerry Lewis e dal suo ex collega Frank Tashlin, da George Sidney nei Tre Moschettieri (la scena in cui Gene Kelly osserva lo spogliarello di June Allyson), e ha ispirato persino omaggi dichiarati al suo antagonista, Walt Disney (cito un Cip e Ciop: Due spasimanti e una damigella).
Ma Tex è unico in questo: è riuscito a far ridere con “altri” materiali, inusitati, inauditi, mostruosi, stravaganti, bislacchi e “di scarto”, che ha sempre riscattato col tocco della sua genialità.
[PROSEGUE]