C’è un “corto” nel quale Tex Avery rivela, senza mezze misure, cosa pensa del “cartone animato per bambini”. Il bersaglio sembra essere l’universo di Disney, irripetibile per lui e i suoi allievi, a causa della sua assoluta perfezione. Il breve film si intitola Screwball Squirrel, e è datato 1944. Tempo di guerra: si può essere feroci.
All’inizio, uno scoiattolino zampetta allegro in un bosco cinguettante di esserini graziosi, in un ambiente tipico da Silly Symphony o da Bambi. Lo scoiattolo sta per raccogliere una noce per il suo canestrello quando spunta sullo schermo una zampaccia che, schiacciandola, glielo impedisce. È apparso “Screwy Squirrel”, un pari-specie mostruoso e debosciato che, tirando su il moccio dal naso, l’apostrofa: “Che ci fai qui? Non sei previsto nel copione!”. “Sono il primo attore, e mi chiamo Sammy”, gli risponde la creaturina disneyana abbracciandosi la coda con mossettine vezzose; “questo film parla soprattutto di me e dei miei piccoli amici della foresta, il castorino, l’anatroccolo, Barney orsetto, il picchiottino…”. Mentre parla, l’orrido teddy-boy Screwy lo accompagna annuendo dietro un albero e (fuori campo) lo gonfia di botte. Quando riemerge tira il moccio e dice felice: “tanto quel film non vi sarebbe piaciuto!”
Screwy Squirrel, il più catastrofico scoiattolo della storia dell’animazione, ebbe una vita breve e fulminea. Nacque nel 1944, e miseramente spirò, nel 1946, nel corso di un cartone. Altre Star sono scomparse durante la lavorazione di un film, ma di solito ciò è avvenuto dietro le quinte, non davanti la macchina da presa, non per precisa volontà del copione. Screwy Squirrel, fa eccezione. Nel suo ultimo capolavoro, Lonesome Lenny, “Lenny”, un cagnone enorme e sgraziato, ma nobile di rango (ha per stemma un idrante e due ossi) così annuncia la sua dipartita: “Avevo un amico una volta, ma adesso non si muove più!”; quindi estrae dalla tasca la salma dello scoiattolo, da lui stesso precedentemente garrotato in uno dei finali più agghiaccianti mai visti in una sala cinematografica.
“Una triste fine, no?”, commenta il cartello conclusivo. Tristissima, perché definitiva. Screwy non tornerà più. Solo un parallelo con James Dean (che si era di certo nutrito di cartoni di Tex Avery), può vagamente rendere l’idea di come Screwy Squirrel sia vissuto, per quale ribelle utopia si sia schiantato sullo schermo.
Niente è più alieno dalla sensibilità di Tex Avery del “racconto morale”. Nelle sue “favole per adulti”, Tex aborriva il lieto fine. Come Maldoror, istintivamente si schierava dalla parte del male, dell’inconscio, della trasgressione. L’opera di sgretolamento dei tabù, iniziata nel periodo Warner con Daffy, Bunny e altre creature profondamente “immorali”, fu condotta a perfezione dopo il suo trasferimento alla MGM, nel decennio 1942-1951. Per sbeffeggiare il “lieto fine”, Avery ha letteralmente inventato il “triste finale “. In almeno tre cartoni, l’ultima parola, prima del fatidico “the end “, spetta a un cartello, impugnato dal protagonista ucciso, o dal suo sterminatore: “Sad Ending, isn’t it?”. Altre volte il personaggio principale viene ucciso da un fulmine, o si suicida con un colpo di pistola alla tempia o viene soppresso e maciullato da un rivale ancora più privo di scrupoli. In questo modo atroce Avery ha perduto lungo la via non solo Screwy Squirrel, ma almeno altre due star dei suoi cartoons: George e Junior.
I quattro cartoni con gli orsi George e Junior, come Lonesome Lenny, sono l’ennesima variazione di un “duetto” che appassiona Tex da molto tempo: quello dei protagonisti del libro Uomini e topi di John Steinbeck. Già il titolo di questo famoso romanzo sembra fatalmente consegnarlo alla storia dell’Animazione, più che alla letteratura. Avery si impossessò di soggetto e caratteri del libro, ne fece anzi la sua ossessione personale.
In Of Mices and Men, giganteggia la figura di Lenny, il bruto forzuto e ritardato che strangola tutto ciò che è amabile e prezioso. Stritolare le cose, era il suo modo di conoscerle e possederle. Esattamente come Tex nei suoi cartoni: ed era destino che Avery si identificasse con i suoi personaggi alla “Lenny” fino al punto da prestare loro, più volte, la voce. Come Walt Disney fece con la sua creazione preferita, Topolino.
Un “Lenny” compare già in un Warner (Of Fox and Hounds) del 1941: è un segugio che, correndo, si vanta di “conoscere ogni albero della foresta”. Immediatamente si schianta contro una quercia e strilla: “ce n’è uno proprio adesso!”. L’ultimo dei suoi “Lenny”, del ’46, è quello che si annoia e soffre di solitudine, un sanbernardo al quale regalano, come “pet” di compagnia, Screwy Squirrel. E si affeziona a lui fino a che, ovviamente, non può fare a meno di polverizzarlo.
Ma prima lo Scoiattolo pazzo aveva trasformato la sua rissa privata con il cagnolone in una caccia senza quartiere, devastante e frenetica. In pochi secondi Tex aveva coinvolto in questo surreale e leggendario inseguimento, compiuto tutto all’interno di una tranquilla dimora altolocata: elefanti, mucche e giraffe, triplici sosia dello scoiattolo e del cane, cervi, leoni e l’immancabile capoufficio che bracca la segretaria.
Dal punto di vista della rapidità, Screwy era imbattibile. Era il “Re” dell’Inseguimento. E l’arte dell’inseguimento, in Avery, è tutta l’Arte della Commedia.
Lo scoiattolo, appena Lenny riuscì finalmente a catturarlo, per forza dové morire: destino che tocca spesso le creature mitologiche, come quelle sgominate da Ercole nelle sue dodici fatiche. Non so se poi Tex Avery abbia mai giudicato irreparabile questa perdita. Ma non credo: la guerra era davvero finita. I lutti erano altri. I suoi personaggi, ai quali un corpo vero era negato dal disegno, erano troppo “veloci” per permettersi anche un’Anima. Un’anima, almeno, su cui valesse la pena spendere una lacrima.
[Di seguito si può vedere, in Screwball Squirrel, l’agguato al zuccheroso scoiattolino Sammy: al quale, alla fine del cartone, sarà poi riservata una doppia razione di legnate]