I- Nelle Meraviglie della Natura, Zolla ricorda che il sufi Fazlullah, nel secolo XIV, “divulgò una lettura del volto come divina calligrafia, dando inizio alla trafila delle scuole hurufi ovvero: alfabetizzanti”. Tra Sette e Ottocento, la nostra scienza fisiognomica diventò analfabeta, e quindi, come sempre accade all’ignorante, più presuntuosa.
Lombroso e certo ancor di più Lavater hanno stabilito che la fisionomia d’un uomo ne rivela il carattere, e ne determina le propensioni, il destino. Eredi incoscienti di una tradizione millenaria, che va da Zoroastro, a Della Porta e Cardano, fino e oltre Robert Fludd, essi hanno secolarizzato e trascinato giù sulla terra quello che apparteneva alle stelle e lo hanno stampato, come fosse un oroscopo scadente, su un grugno umano.
Johann Caspar Lavater, che era considerato, ai suoi, il più grande esperto di Fisiognomica di tutti i tempi, veniva spesso pregato di dar prova delle sue qualità divinatorie in questo campo. Un giorno, viaggiando in carrozza per le strade di Sciaffusa, gli si domandò di indovinare chi fosse uno dei passeggeri. Lavater sentenziò che aveva di fronte un uomo mite, protettore dei deboli, che amava guidare i bisognosi e i sofferenti per mano. Non sbagliò, ma solo in senso lato. Quell’uomo, si scoprì poi, era il boja di Sciaffusa.
II- Nell’ipotesi fisiognomica più radicale le teste e i volti d’uomini e donne non sono altro che maschere rapprese nella carne, mentre il cranio – o il teschio – che c’è dietro questa facciata rivelano la loro autentica natura.
A parte le inevitabili implicazioni “razziste”, da queste convinzioni deriva, applicandole con coerenza, che il nostro destino di brave persone o di furfanti è iscritto nei nostri tratti distintivi più invisibili e profondi. Un cranio da ladro è il cranio del ladro; l’assassino può perfino avere la faccia d’angelo, ma il teschio, le ossa della testa, lo denunciano: è lui, l’assassino.
Grazie alla Fisiognomica, si disse, non ci sarebbe stato più bisogno di torturare nessuno, per provare la sua colpevolezza: ma come essere sicuri che un uomo o una donna predisposti all’omicidio abbiano compiuto proprio il delitto su cui si indaga e non un altro, che avverrà solo in futuro?
Non si può allora dar torto a Lichtenberg quando metteva in guardia da un possibile eccesso di coerenza: “se la fisiognomica diventerà un giorno quello che si aspetta Lavater, s’impiccheranno i bambini prima che abbiano compiuto delle imprese che meritano la forca”.
Il grande narratore di fantascienza Philip K. Dick ha trasformato questa iperbole in un convincente racconto, “The Minority Report”, pubblicato nel 1956 su Fantastic Universe. Grazie alle capacità oracolari di alcuni sensitivi, che menano una vita assai grama in fondo a una vasca, una squadra speciale della polizia, la “Pre-Crimini”, ottiene le “prove” visionarie di ogni delitto futuro. Così gli agenti irrompono in tranquille case borghesi, arrestando e condannando all’isolamento carcerario a vita chi non ha fatto (ancora) niente.
Dove non è arrivata la fisiognomica, sono intervenute altre vere o pseudo scienze e discipline: ma il risultato finale a cui tendevano era lo stesso. Jean de Martin, barón de Laubardemont, acuto grafologo seicentesco, si vantava d’essere un detective spiccio e infallibile: “Datemi tre righe della grafia d’un uomo” – diceva –, “e io lo farò impiccare”.
Ancora nel secolo XX, e anche in Italia (dove però manca, per fortuna, la pena di morte) certi processi penali si sono basati su prove grafologiche o fantasiose interpretazioni dei disegni e degli “schizzi” degli imputati.
Tra Ottocento e Novecento gli scienziati positivisti (come Cesare Lombroso) potevano pensare che i volti e i crani esprimessero un’essenza interiore: o come smorfia, postura, o come morfologia anatomica. L’utopia borghese fu che l’esterno rappresentasse sempre adeguatamente l’interno: che lo scheletro potesse essere lo specchio veritiero dell’anima.
La fine di questa illusione coincise con la fine della Fisiognomica come pretesa “Scienza”, caduta in disuso soprattutto con l’avvento dei quiz televisivi.
I crani odierni sono solo parabole ossee che si limitano a nascondere i cervelli, senza nulla dirci neppure se ce ne sono, dentro.
Segno di totale decadenza – e colpo di grazia alle residue aspettative dei grandi Fisiognomisti – contemporaneamente oggi assistiamo alla fine dell’ “espressione”. Le facce non ne hanno più – al massimo ne fanno la pubblica parodia.
[in copertina: “Faradizzazione dei muscoli frontali”, da Mecanisme de la physionomie humaine ou analyse electrophysiologique des passions, di Duchenne de Boulogne (1876)]