Ottobre 1984, Roma. Borges si presta candido al dialogo con tutti, signorile e indifferente al mare di superficialità che lo avvolge. L’ambiguità di questa visita italiana, dove è stato dignitoso e sobrio Ospite di Stato, e insieme “fenomeno librario”, preda designata della voracità dei media, non sembra l’abbia sfiorato. È un miracolo, un miracolo gentile, come possa sentirsi a suo agio in un mondo che a lui ispira e ha sempre ispirato un riso omerico, parodico, infinito. Il mondo reale, disgraziatamente “esistente”, gli è piombato addosso con il volto e l’alito, tanto spesso sperimentati, della burocrazia e del giornalismo di terza pagina. Puntualmente chi l’ha intervistato, è ricaduto nella Trappola delle domande sempre uguali che meritano risposte identiche fin nelle virgole (Specchi, Maestro? Enciclopedie? e Roma com’è? dove ha messo i suoi labirinti? Dante, Maestro, e il tango?). È vero che intervistarlo è difficile. Come tutte le persone che odiano le domande personali, Borges ha trovato una formula per rispondere che, senza offesa, potrebbe essere chiamata una “onesta finzione”. Questa è diventata una sua seconda natura, al punto che incontrando un se stesso più giovane, nella finzione fantastica del racconto “El Otro”, che si trova nel Libro di Sabbia, si sorprende a rispondersi, a ritrarsi e a darsi consigli come se stesse parlando a un giornalista…
Ma Borges ama sinceramente il dialogo, i piaceri della conversazione. Il dialogo, ha detto una volta a Mujica Lainez e a Maria Esther Vazquez, è l’unica virtù rimasta agli argentini, dopo il tramonto del loro mitico “coraggio”.
Certe sue dichiarazioni “irresponsabili” rilasciate in passato, soprattutto su Pinochet e Franco, sembravano aver reso tabù, impossibile, una conversazione “politica” col Maestro. Ma Borges è un “irresponsabile” anche in letteratura, e questo atteggiamento è proprio quello che sollucchera i fans delle sue astratte e erudite geometrie. I suoi racconti rimandano a un autore che si nasconde, che “cita “, che irride le sue stesse narrazioni. Questa irresponsabilità, che Identifica il mondo come “gioco”, non gli viene perdonata, naturalmente, appena lui stesso la traspone in politica.
La sua ingenua disposizione a compiacere i potenti (di qualsiasi colore politico siano) e la sua fama di anti-umanista (per certi versi, più che giustificata), gli sono già costati gli ultimi dodici Nobel. Ma stavolta arrischiamo con lui proprio un argomento politico: la pace, il disarmo, la guerra. Su questi, la riflessione di Borges è andata avanti, anche sotto l’impulso delle conversazioni tenute con un suo amico italiano, Riccardo Campa.
Abbiamo incontrato Borges e Campa al termine della loro estenuante odissea attraverso il Quirinale e i ministeri italiani. Lo scrittore era visibilmente stanco e affaticato, ma, di nuovo, si è prestato gentilmente ad essere intervistato.
Adan Zzywwurath:
Sappiamo, señor Borges, che lei è molto interessato ai problemi della Pace e del disarmo…
Jorge Luis Borges:
Sì, io credo che ci sarebbe un mezzo per arrivare alla pace… di fatto, dopo che l’Europa, disgraziatamente ha perduto la sua egemonia…
Adan Zzywwurath:
Disgraziatamente?
Jorge Luis Borges:
Disgraziatamente, perché ci sono state la guerra civile e due guerre mondiali… ora di fatto esistono due potenze mondiali, Unione Sovietica e Stati Uniti. Una di esse dovrebbe disarmarsi e confidare, aver fiducia nell’onore dell’altra. Questo potrebbe accadere più facilmente in Russia, dove le decisioni vengono prese da poche persone, perché c’è una dittatura e comanda quindi una minoranza. Negli Stati Uniti è diverso, non si prendono decisioni senza passare per molte votazioni, per molte consultazioni… io non so se questa è una mera utopia mia, ma ho l’idea che, se una di queste grandi potenze si disarma unilateralmente, confidando nell’onore dell’altra, l’impegnerà moralmente a fare lo stesso, di modo che la pace sarà assicurata…
Altrimenti che può accadere? Se c’è una terza guerra mondiale è un suicidio dell’Umanità: una terza guerra sarebbe il ritorno degli Dei sulla terra e l’Apocalisse. Ma questa forse è una visione utopica solamente mia. Sospetto sia veramente difficile far affidamento sull’onore degli altri, ma penso che bisognerebbe ugualmente comportarsi così.
Adan Zzywwurath:
Dopo la guerra mondiale e lo scoppio dell’Atomica, ci sono state altre guerre, come quella del Vietnam…
Jorge Luis Borges:
Oh, oltre alle guerre mondiali, anche il Vietnam è stato terribile. Ma è ora, con le nuove armi nucleari che il suicidio appare inevitabile. Siamo di fronte a un nuovo trauma che cancella tutti i precedenti, e a cui bisogna rispondere con una risoluzione altrettanto inevitabile. Finora alla base delle guerre c’erano vecchi traumi, come la distruzione ingiusta delle risorse, la differenza eccessiva tra le condizioni dei ricchi e dei poveri… io felicemente appartengo a una classe media… (ridacchia)
Adan Zzywwurath:
Professor Campa, la sua collaborazione con Borges oltre che a motivi di amicizia si fonda anche sul suo tentativo personale e teorico di recuperare una immagine di Borges provocatoria e trasgressiva. Non solo quando chiede alla Russia un disarmo unilaterale, ma fin nell’ispirazione dei suoi racconti fantastici.
Riccardo Campa:
Sì, e non capisco perché intorno a Borges si scatenino tante letture regressive, o inutili, superficiali. Borges – come Garcia Marquez, Cortazar e gli altri narratori fantastici latino-americani –, racconta favole che diventano vere scientificamente cioè raggiunge esteticamente certe verità che la scienza moderna, anti-positivistica, ha raggiunto nei suoi diversi settori. Nello stesso tempo questa rivincita del Caos sul Cosmo non è distruttiva, ma ha una funzione utopica: nel caos si riesce a intravedere, attraverso un’emozione estetica, un clinamen, una deviazione che apre all’Uomo nuove possibilità. L’immaginario libera l’Uomo dai suoi incubi e prefigura nuove aspettative, e una nuova condizione umana…
Adan Zzywwurath:
Anche noi crediamo che l’ordine e le geometrie di Borges sottendano una critica (e forse una parodia) della pretesa dell’intelletto e della Scienza positivistica di dominare il mondo… ma lei, Maestro, che tipo di Utopia rintraccia nei suoi racconti? C’è insomma nella sua letteratura l’utopia della Pace e del disarmo?
Jorge Luis Borges:
Puede ser [ride], forse sì. Ma questi concetti io li sto ripetendo tante volte, al di fuori dei miei racconti. Solo una volta ho scritto un racconto utopistico: “Utopia di un uomo che è stanco” [si trova in 25 agosto 1983, edito da Franco Maria Ricci]. Ma bisogna essere coscienti che l’Utopia non è mai stata una cosa esplicita: ora bisogna cominciare a renderla esplicita. So che è necessario un atto di fede, e questo atto di fede deve diventare un modo e uno strumento per giungere al disarmo.