Vincenzo Mollica è un patrimonio dell’Umanità, intesa non come somma dei bipedi implumi che percorrono il pianeta, ma come (Treccani) “sentimento di solidarietà, di comprensione” verso gli altri esseri umani, e – aggiungo – di conoscenza istintiva d’ogni loro difetto o talento, atteggiamento nel quale gioca un ruolo preminente una sconfinata simpatia. Vincenzo è inoltre, e non solo, un intellettuale coltissimo dotato di memoria prodigiosa. È sempre stato un uomo libero nelle sue scelte, cosa assai difficile nell’ambiente “televisivo” in cui ha brillato per quaranta anni. Prima di andare in pensione nel 2020, ha superato di gran lunga i 10mila servizi giornalistici, e ha trovato anche il modo, e il tempo, di pubblicare libri e antologie (cito per tutti due testi che ho particolarmente a cuore: Romanzetto esci dal mio petto, e Mi ritiro dai Miracoli). E ha sempre detto ciò che pensava e, quando ha lodato, ha sempre seguito il proprio giudizio. Ricordo una volta, che un direttore, con ipocrita cortesia, lo invitò a realizzare un servizio su una persona che operava nel settore dello spettacolo e che gli era “amica” o che qualcuno gli aveva indicato come tale. Vincenzo accettò, con la consueta correttezza. Poi nel servizio stroncò il personaggio che gli era stato segnalato. Non per ripicca, ma perché valeva davvero poco. Da allora non subì nessun altro tipo di sollecitazioni, neanche “criptiche”.
L’Umanità di Vincenzo risalta oggi anche nel rapporto che ha con le proprie disavventure “fisiche”, che non sono riuscite a piegarlo, ma alle quali lui reagisce quasi sempre con un contagioso sorriso. E una sequela di strambotti esilaranti. Ne ha dato prova ulteriore con “L’arte di Non Vedere”, un formidabile “assolo” di due ore andato in scena a Roma e a Milano, e salutato da un successo strepitoso.
Adan Zzywwurath:
Nell’aprile del 1991 è comparso il primo numero de “Il Grifo”, edito da Mauro Paganelli e da te diretto. Mi dici cosa ti ha spinto a inventare una rivista così bella e anche così originale, perché prima nel panorama dei Fumetti non esisteva niente di così ricco, curato, prezioso, pensato. C’è dietro, immagino, un lungo percorso.
Vincenzo Mollica:
Sì, certo. Quarant’anni fa ho fatto uno Speciale del Tg1 che si chiamava: “Letteratura disegnata”, intervistando Hugo Pratt e altri grandi. Poi, alla fine degli anni ’80, avevo immaginato con Mauro Paganelli una collana di saggi dedicata al Fumetto d’Autore, che aveva come sottotitolo: “Il Fumetto è Arte”. Perché fino a quel momento lì il fumetto veniva considerato artigianato, e solo degli artisti grandi come Crepax e Pratt si erano battuti in prima persona perché il Fumetto venisse giudicato come un’opera d’arte. Allora ho avuto l’idea, sempre con la complicità di Mauro, di fare una rivista nella quale, alla quarta di copertina, ogni Autore, tra i nostri collaboratori, realizzava un’illustrazione, o proprio un quadro, che dimostrasse fino a che punto il Fumetto era diventato Arte e potesse essere considerato, interpretato, come Arte. Da questa idea è nato piano piano “Il Grifo”. Invitai degli amici, che condividevano questo “sentimento” del Fumetto, a creare storie apposite per la rivista, e aderirono in tanti: Manara, Pratt, Danijel Žeželj, Matticchio, Staino, Pablo Echaurren (che aveva una rubrica: “Pittore e fumetto, artista perfetto”) e nacquero personaggi come Ava di Cavezzali e Fuori di Testa di Mauro Cicarè e Zzywwuruth, che, visto di faccia, era un po’ Carnera, un po’ Carneade…
Adan Zzywwurath:
Avete coinvolto in questa impresa molti artisti, come Crepax, Moebius e Loustal, e tanti altri, tra letterati, saggisti e cineasti…Così tanti, davvero, che è impossibile ricordarli tutti.
Vincenzo Mollica:
Certo, ma per fare un solo esempio, sono molto orgoglioso che Daniele Del Giudice abbia scritto sul Grifo dei bellissimi “pezzi”.
Adan Zzywwurath:
Avresti sicuramente voluto che ci fosse anche Pazienza tra i tuoi collaboratori…
Vincenzo Mollica:
Purtroppo Andrea era già partito per il suo viaggio nell’aldilà… però pubblicammo a colori tutte le storie di Zanardi che lui aveva lasciato in bianco e nero e anche altre sue tavole: insomma Andrea Pazienza è stato presente nella rivista come se fosse rimasto tra noi.
Adan Zzywwurath:
Poi c’erano, sul Grifo, le tue “riscoperte”: mi piace ricordare Guareschi e Jacovitti, riesumati dall’oblio, ma tra queste c’è anche Vito Riviello, che hai rilanciato come poeta ad hoc.
Vincenzo Mollica:
E come no! Vito Riviello, da Potenza, faceva una rubrica che si chiamava “Fumoir” e componeva appositamente per la rivista delle poesie dedicate ai personaggi dei Fumetti. La prima che gli chiesi fu una poesia su Paperino. Lui me la mandò dopo tre giorni: “Paperino ha il dono dell’ubiquità: ora qui, ora quo, ora qua”.
Adan Zzywwurath:
Come sanno tutte le migliaia di fans che ti seguono sui social, anche tu, oltre che per le curve di Betty Boop e gli appetiti e la filosofia di Poldo Sbaffini, hai sempre avuto una corposa inclinazione per i versi fulminanti e gli epigrammi comici e icastici. Aprivi ogni numero del Grifo con una tua riflessione “poetica” che si intitolava “Colgo l’occasione” e non perdevi l’occasione per seminarvi le tue godibili rime baciatissime. Però, visto che siamo arrivati a parlare dei tuoi collaboratori eccezionali, credo che la sorpresa più inattesa da parte dei lettori fu quella di scoprire l’assiduità con la quale Federico Fellini frequentava le pagine della rivista. Come è nata la passione di Fellini per Il Grifo?
Vincenzo Mollica:
Federico quando seppe che io avevo intrapreso questa, diciamo così, “avventura”, mi chiese: “Ma io non posso collaborare?” “Per me è un onore, se collabori”, gli ho risposto, “Ma che vorresti fare?”. Fellini aveva appena vinto il Nobel giapponese, e tornando mi aveva detto: “sai che mi piacerebbe pubblicare il libro dei miei Sogni? Come se fosse scritto in giapponese, così nessuno capisce niente, vede i disegni e basta”. Così lui, per II Grifo, mi propose: “in ogni numero pubblichiamo qualcuno dei Sogni che ho fatto”. Mi diede molti fogli scritti, da leggere, e mi disse: “Scegli i Sogni migliori, quelli che ti piacciono di più”. Io me li portai a casa, e ne scelsi qualcuno. La cosa eccezionale fu che mi permise non solo di pubblicare i disegni collegati a quei Sogni, ma poi si inventò, solo per la rivista, anche uno psicanalista che interpretava i suoi Sogni. Ma era sempre lui, che era sognatore ma anche analista di se stesso! Insomma fu un’esperienza veramente bellissima. La sua rubrica si chiamava “Dal librone dei Sogni di Fellini”. In pratica era un’anteprima del libro che poi è uscito da Rizzoli.
Adan Zzywwurath:
Vorrei che tu ci parlassi un po’ dell’impresa titanica del “Mastorna”, sceneggiato da Fellini e mirabilmente illustrato da Milo Manara in esclusiva per “Il Grifo”. Un vero colpo da Maestri, che fece epoca. Per la seconda volta, dopo Viaggio a Tulum (nel quale sei stato immortalato anche come “fumetto vivente”) tu hai fatto da mediatore “tra le resistenze di Fellini e le insistenze di Manara”, e hai fatto il modo che il Genio del Cinema ricominciasse a appassionarsi delle possibilità creative del Fumetto. Ma il Mastorna, mi pare, ha ancora più valore, se si pensa che all’origine di questa nuova avventura grafica, letteraria, artistica, c’era il soggetto di quello che tu hai chiamato “il film mai fatto più famoso della storia del Cinema”. Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet fu letteralmente riscritto da Fellini, perché diventasse un Fumetto, e arrivasse finalmente in questa forma rinnovata allo “spettatore”.
Vincenzo Mollica:
Abbiamo lavorato sul progetto per quasi un anno, dopo la pubblicazione di Viaggio a Tulum su Corto Maltese. Sembra incredibile a raccontarlo adesso, ma pur di realizzare il Mastorna Manara interruppe, di colpo, la storia a fumetti Il Gaucho, che stava pubblicando sul Grifo e che aveva creato a quattro mani con Hugo Pratt. Pensa: una cosa pazzesca! Si fermò per tre-quattro mesi, naturalmente d’accordo con Pratt, che era un fan di Fellini. Per Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet Federico si comportò come se dovesse fare un film vero e proprio. Convocò Paolo Villaggio, al quale facemmo delle fotografie. Poi io le mandai a Manara. Andò avanti così per mesi: la domenica andavo a casa di Fellini e lui scriveva la sceneggiatura e dava indicazioni a me, che facevo da ambasciatore tra i due. Poi Milo veniva a Roma e gli faceva vedere le tavole che ne aveva tratto. Quella storia nacque da uno storyboard di Fellini, da lì si passò ad una prima prova disegnata da Manara e poi in successione una seconda e una terza prova, finché si arrivò a una quarta prova, che si decise di fare tutta in acquatinta, che è una vecchia tecnica pittorica, bellissima. Fu una cosa meravigliosa, insomma.
Adan Zzywwurath:
Credo di non sbagliare se dico che Fellini era molto attento ai segni del destino. In effetti quest’opera “incompiuta”, il Mastorna, costituiva per lui un ricordo particolare, visto che mentre si accingeva a girarlo negli anni ’60 ebbe un grave malore, una specie di avvisaglia della malattia che poi se lo portò via, e lui prudentemente non riprovò più a iniziare questo film, che associava a qualcosa di negativo.
Vincenzo Mollica:
Sì, è vero, lui al principio non era convinto. Poi cambiò idea, quando si rese conto che si divertiva moltissimo a seguire questa storia. Senonché successe che quando fu pubblicata sul Grifo la prima puntata, che era di 26 pagine, il grafico scrisse sotto l’ultima tavola la parola “Fine”, invece che “fine della prima parte”. Erano previste altre due puntate, ma Federico, allora, volle interrompere il Mastorna. La mattina successiva all’uscita della rivista, aveva anche ricevuto una telefonata di Ermanno Cavazzoni, che gli aveva fatto i complimenti per la bellezza del racconto. Guarda che non è finito, gli rispose Fellini. Ma no, disse Cavazzoni, è un racconto perfetto così, non deve durare di più. E Federico, che aveva raccolto anche altri elogi, decise di non toccarlo più. Effettivamente, era comunque un Fumetto bellissimo.
Adan Zzywwurath:
A gennaio compirai 71 anni… Se qualcuno ti chiedesse: ma che è successo, in tutti questi anni?
Vincenzo Mollica:
Quando mi chiedono di scrivere la mia biografia, rispondo: è molto semplice. “Vincenzo Mollica fu uomo di fatica”. Finita. Oppure: “Omerico non fui per poesia, ma per mancanza di diottria”. Ecco; queste sono le due facce della stessa medaglia.